Da Diario del 19/02/2005

Taormina Connection

La Commissione parlamentare su Ilaria Alpi sta implodendo, tra dimissioni, trappole e depistaggi. Il suo presidente riabilita i servizi segreti, dimentica anni d'indagini e scopre la "pista islamica"

di Gianni Barbacetto

L'assassino di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin si chiama Osama bin Laden. È questa la clamorosa svolta che la Commissione parlamentare sull'omicidio dei due giornalisti del Tg3 uccisi in Somalia il 20 marzo 1994 si sta apprestando a dare. Il presidente della Commissione, Carlo Taormina, ha guidato i lavori i verso la pista dell'estremismo islamico. Per dieci anni le inchieste giomalistiche e giudiziarie hanno battuto la strada dei traffici di armi e di rifiuti radiottivi, degli affari italiani della cooperazione in Africa e delle contiguità dei servizi segreti con faccendieri spregiudicati e opachi giochi politici. In pochi mesi Taormina (dopo aver dato un contributo significativo a confondere le acque della Commissione Telekom Serbia) ha sparigliato le carte e ora è pronto a riabilitare 007 e faccendieri, offrendo un colpevole perfetto: un giovane Osama che nel 1994 si stava facendole ossa per diventare lo sceicco della guerra contro l'Occidente.
Per arrivare a questo risultato, Taormina ha gestito la commissione a colpi di segreto (ossessivamente imposto su quasii tutto anche ai consulenti a lui non graditi) e di perquisizioni all'alba (ai danni di agenti della Digos e di giornalisti): la Commissione sta silenziosamente implodendo. Dopo mesi di polemiche e scontri, l'8 febbraio se ne sono andati sbattendo la porta, un commissario - il verde Mauro Bulgarelli - e due consulenti - i giornalisti di Famiglia Cristiana Barbara Carazzolo e Luciano Scalettari: «I1 presidente non ci lasciava svolgere il nostro lavoro», hanno spiegato. In precedenza erano stati estromessi dalla Commissione altri tre consulenti: Afro Maisto, magistrato, Giorgio Cancelliere, presidente dell'ong Africa 70, e Roberto di Nunzio, direttore del giornale online Reporter associati. Altri due consulenti magistrati e un diplomatico se n'erano andati per motivi personali. I sopravvissuti sono per lo più poliziotti, e per lo più chiamati da Taormina, a cui rispondono direttamente. Così, tra risse, polveroni e veleni, l'organismo parlamentare che doveva fare finalmente chiarezza sulla morte di Ilaria Alpi a Mogadiscio è andato ad aggiungersi alle commissioni-vendetta (Mitroklain e Telekom Serbia) gestite dal centrodestra per regolare i conti con la sinistra e, più in generale, con la storia.
Il mistero dell'audizione segreta. Il presidente ha di fatto creato due livelli di consulenti (di serie A quelli di fiducia di Taormina, di serie B gli altri, tenuti all'oscuro di tutto e guardati con sospetto). E ha usato due pesi e due misure con i testimoni chiamati a raccontare i fatti. Durissimo contro giornalisti e poliziotti colpevoli di aver battuto la pista dei traffìci di armi e rifiuti. Morbido nei confronti di faccendieri e agenti segreti. Il giorno più critico è stato il 28 gennaio 2005 agenti mandati da Taormina si sono presentati all'alba nelle abitazioni di due giornalisti, Maurizio Torrealta e Luigi Grimaldi e di tre poliziotti, Michele Ladislao, Antonietta Motta Donadio e Giovanni Pitussi, gli uomini della Digos di Udine che avevano gestito una misteriosa fonte somala che a suo tempo aveva rivelato elementi sulla pista armi-rifiuti. Perché una perquisizione a sorpresa e non una semplice richiesta? E che cosa cercavano gli uomini di Taormina?
La risposta è contenuta nei verbali (subito segretati) dell'audizione di un misterioso testimone senza volto (la fonte somala di Udine?) convocato in tutta fretta la sera di martedì 25 gennaio e ascoltato il giorno seguente. Due giorni dopo, scattano le perquisizioni. Il verde Bulgarelli, a casa con l'influenza come milioni d'italiani, non è stato informato di nulla e ha potuto esprimere il suo dissenso, a cose fatte, solo con le dimissioni: «Hanno compiuto una pesantissima violazione della libertà di stampa. Taormina ha comunicato che la decisione delle perquisizioni era stata presa all'unanimità: a me risulta che invece fossero presenti solo tre commissari più il presidente. E poi una perquisizione si fa quando si ipotizza l'esistenza di prove occultate: che prove mai nascondeva Torrealta autore di libri e inchieste sull'omicidio di Ilaria Alpi? E Grimaldi? E gli agenti della Digos?».
Il «teorema omicidiario». Tutt'altra musica con gli uomini del Sismi venuti a raccontare la loro verità davanti alla Commissione. [1 colonnello Luca Rajola Pescarini, che nel 1994 dirigeva la Seconda divisione del Sismi (il vecchio Ufficio R, la sezione che si occupa dell'estero), il 12 gennaio ha potuto in tutta tranquillità sostenere l'assoluta estraneità della propria divisione alla vicenda Alpi. Di più: ha potuto scaricare ogni responsabilità facendo balenare per un attimo i fantasmi di una guerra interna ai servizi, affermando che nei primi anni Novanta in Somalia operavano anche gli uomini dell'Ottava divisione (quella deputata al lavoro d'intelligence sui traffici d'armi e di materiale strategico), guidata dall'ammiraglio Giuseppe Grignolo. Curioso: un presidente che impone il segreto su tutto, non lo fa su una dichiarazione così delicata. Così gli uomini dell'ottava hanno potuto sapere in tempo reale che il «collega» aveva parlato di loro. Che senso ha l'uscita di Rajola? Il Diavolo, dice la teologia cattolica, a volte dice il vero, a volte dice il falso; e proprio per questo è difficile distinguere e arrivare alla verità.
Ancor più lisce e senza contraddittorio sono andate le audizioni di Guido Garelli (il protagonista del fantomatico «Progetto Urano» per il riciclaggio in Africa di rifiuti radioattivi), di Giancarlo Marocchino (l'imprenditore italiano che opera in Somalia e che è stato coinvolto nel caso Alpi) e del suo difensore, l'avvocato Stefano Menicacci (già indagato, senza seguiti penali, nell'inchiesta palermitana «Sistemi criminali» per aver dato vita nei primi anni Novanta, con massoni, fascisti e mafiosi, alle Leghe del Sud).
Menicacci ha tranquillamente illustrato quello che chiama il «teorema omicidiario». Cioè una costruzione messa in piedi da giornalisti e magistrati che, spalleggiandosi a vicenda, nel corso degli anni hanno imbastito la leggenda di Ilaria uccisa perché aveva scoperto traffici illeciti, prima di armi e poi di rifiuti, sponsorizzati da politici italiani e guardati a vista dai servizi segreti. Menicacci scarica in Commissione anche chili di documenti in cui sparge veleni (e possibili calunnie) nei confronti di giornalisti come Torrealta e come gli inviati di Famiglia cristiana poi diventati consulenti della Commissione, o di poliziotti e magistrati come quelli che hanno condotto le indagini su traffici internazionali a Torre Annunziata (il maresciallo Vincenzo Vacchiano), Asti (il pm Luciano Tarditi), Milano (il pm Maurizio Romanelli).
Menicacci detta la linea. Ipotizza spiegazioni e getta fango su investigatori e consulenti (proprio quelli emarginati da Taormina). E nessuno in Commissione lo ha arginato. I commissari, a parte Bulgarelli, non danno segni di nervosismo. Quelli di centrodestra stanno allineati con Taormina, quelli di centrosinistra o sono poco presenti o non sembrano avere dalla loro né grande esperienza, né un'approfondita conoscenza dei fatti in discussione. In mezzo, Bobo Craxi, entrato in Commissione per viglilare sulla memoria del padre, in passato tirato in ballo per le vicende della cooperazione italiana e dei traffici internazionali.
Uomo chiave della Commissione è e resta Carlo Blandini che è il braccio operativo di Taormina. Chi è Blandini? Un generale dell'Aeronautica militare italiana incappato in più d'una inchiesta giudiziaria. Fu coinvolto in una lunga e complessa indagine dal giudice di Venezia Felice Casson - ironia del destino - proprio sul traffico illegale d'armi e spionaggio negli anni della guerra tra Iran e Iraq. Blandini all'epoca faceva parte dello Stato maggiore della Difesa ed era membro di quel Comitato interministeriale per l'esportazione di armi che permise la fornitura di materiale bellico, attraverso triangolazioni internazionali, all'Iran colpito da embargo.
Il processo appurò che i fatti erano avvenuti, ma non dimostrò le responsabilità penali di Blandini, il quale (difeso dall'avvocato Taormina) rimase però coinvolto in una nuova e ancor più intricata vicenda processuale: quello che ha giudicato le reticenze e false testimonianze dei vertici dell'Aereonautica sulla strage di Ustica. Uscito pulito anche da questa storia, il generale è stato chiamato dal suo avvocato difensore a lavorare per la Commissione Alpi. Subito ha messo a segno un colpo da maestro: ha fatto acquistare, con i soldi pubblici, il Programma Analyst, usato nientemeno che dall'FBI per le indagini su al Qaeda. A guadagnarci è stata soltanto la società fornitrice, la Sistemi e automazioni spa di Roma, perchè il programma, troppo complicato e inadatto, non è mai stato usato. Si continua a lavorare con un semplicie database (gratuito).

Il "depistaggio" Bulli.

La Commissione ha vissuto un momento di crisi quando il magistrato Afro Maisto ha proposto l'audizione di Fausto Bulli, un personaggio che gli promette le prove - foto e documenti - del complotto ordito da uomini del Sismi per eliminare Ilaria Alpi, colpevole di aver capito (e fotografato) i traffici di armi in corso in Somalia. Fausto Bulli dice di aver avuto le sue informazioni dal colonnello Mario Ferraro, l'agente del Sismi, ufficialmente suicida, trovato impiccato a un portasciugamani (a un metro e mezzo da terra) nel bagno di casa il 16 luglio 1995. Bulli compare sulla scena della Commissione il 25 novembre. Poi arrivano le feste di Natale. E il 4 gennaio, a sorpresa, scoppia il caso: Bulli, comunica Taormina, chiede un compenso di 5 milioni di euro per materiale che non ha. E' un depistatore, o almeno un truffatore. A questo punto, Maisto si dimette, anche perchè era incautamente intervenuto a favore di Bulli presso la Guardia di finanza che gli stava perquisendo (per tutti altri motivi) i suoi indirizzi: Maisto temeva che potessero essere sequestrate le prove che Bulli aveva promesso alla Commissione. Il giallo si fa intricato: truffa, depistaggio o trappolone? Certo è che la pista dei traffici d'armi e rifiuti riceve un colpo formidabile. La scena a questo punto è pronta per il trionfo della pista islamica.

La pista islamica.

La Commissione non sviluppa le indagini iniziate e poi lasciate a metà in questi dieci anni. Non cerca di capire senza pregiudizi se Ilaria e Miran sono davvero stati uccisi perchè avevano scoperto prove di traffici internazionali. Non verifica se la strada tra Garoe e Bosaso, percorsa nell'ultimo viaggio di Ilaria, sia stata luogo di seppellimento di rifiuti, come suggerito da alcune fonti. Non approfondisce se esistono eventuali correlazioni tra l'omicidio Alpi e la morte dell'agente del Sismi Vincenzo Li Causi, ucciso in Somalia il 12 novembre 1993. Non indaga sulle attività in SOmalia di Francesco Cardella e VIncenzo Cammisa, della comunità Saman, che rivendica di aver realizzato progetti in quel paese, ma aveva invece sul luogo imbarcazioni che potrebbero essere state usate, second alcune segnalazioni, per trasporti di armi. Non verifica se davvero Ilaria Alpi aveva avuto informazioni da sottufficiali e ufficiali dell'Esercito italiano in Somalia. Non sviscera la parte di commedia di Giancarlo Marocchino. In compenso Taormina, che non chiede un documento che sia uno sulle indagini di Torre Annunziata, Asti e Milano, di cui pure disquisisce in commissione, fa invece arrivare alla procura di Genova - chissà perchè - gli atti processuali del serial killer Donato Bilancia.
Il duplice omicidio di Mogadiscio, secondo l'interpretazione più minimalista, sarebbe il risultato causale di un agguato avvenuto nel clima di lotta tra bande locali. Ma Ilaria Alpi, secondo le anticipazioni di Taormina, è invece la prima vittima del terrorismo islamico. Anche a causa delle sue denunce sulla stituazione di sottomissione delle donne musulmane. E' probabilmente vero che Osama bin Laden era presente già nel 1993 in Somalia, dove aveva aperto quattro campi di addestramento e finanziato con 3 milioni di dollari la nascente al Qaeda. Ma sarà vero che al mercato di Mogadiscio erano già in vendita addirittura videocassette con mani mozzate e altri esempi di sharia? E sarà vero che due personaggi somali di questa tragedia - Bogor, il sultano di Bosaso, e Ali Mahdi, uno dei signori della guerra - sarebbero stati nel 1994 i referenti di Osama?
Non risulta ad alcun esperto di Islam. Risulta invece che nel 1992 e '93 i gruppi fondamentalisti, penetrati nella regione di Bosaso e della Migiurtinia, siano stati ripetutamente sconfitti da Abdullahi Yussuf, ai tempi signore della guerra con base in Migiurtinia e oggi presidente della Somalia. A Mogadiscio, poi, gli uomini forti dell'epoca erano Aidid e Ali Mahdi. Altro che Osama. La pista islamica, tanto cara agli agenti del Sismi fin dal 1994, è di tanto in tanto affiorata, in questi anni, ma sempre senza prove e subito smentita anche dal generale Bruno Loi, comandante del contingente italiano in Somalia nel 1993.
Ora la Commissione, se non sarà prorogata fino al termine della legislatura, ha pochi mesi (scade il 30 luglio 2005) per raddrizzare la barra o trovare prove convincenti. Per non perdere un'occasione e trasformare la ricerca della verità in un gioco sotterraneo tra politica e "barbe finte".

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