Da Diario del 17/01/2005

L'inchiesta vecchio stile

Una portaerei tra i boschi

Inquietudini e malumori a Little America, ovvero nei dintorni della base militare di Ramstein in Germania: gli 8 mila abitanti tedeschi minacciano di occuparla, in caso di guerra

di Ruth Reimertshofer

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Il mondo in guerra: ieri, oggi, domaniIeriLe guerre del Golfo
RAMSTEIN.

La cittadina con i suoi appena 8 mila abitanti è avvolta nelle nuvole basse di un inverno grigio e piovoso. L’atmosfera è quasi fiabesca e a tratti sembra irreale. Siamo a Ramstein nel Palatinato, regione confinante con la Francia, là dove la fortuna economica sembra non aver baciato la ricca Germania.
Dal 1952, qui la Us Air Force ha costruito il suo avamposto militare della guerra fredda in Europa. 1.300 ettari di terreno furono disboscati per far posto alla più imponente concentrazione militare fuori dagli Usa; 300 mila metri cubici di torba e più di un milione di metri cubi di legna dovettero essere prelevati per bonificare la vasta palude. Nascosta da boschi di abeti e betulle, la pista per gli aerei pesanti di supporto alla guerra vera, taglia lo spoglio paesaggio per tre chilometri di lunghezza come una ferita profonda.
Dall’autostrada che 400 km più a ovest porta dritta a Parigi, c’è una piccola uscita e qualche chilometro più avanti sembra finire il mondo: sbarramenti di mura alte, soldati armati di mitra, minuziosi controlli con metal detector ovunque, così si presenta la tana del leone al «civile visitatore», all’ingresso del 86th Security Forces Squadron. Qui finisce ogni libertà di movimento, esattamente come ai vecchi varchi per entrare nella Ddr. Chiedo di poter visitare la base.Un gentile soldato della Military police mi accompagna all’ingresso, chiama un numero interno, ma il telefono suona invano. È venerdì dopo Natale, ore 16.30. La fabbrica di supporto per la guerra sta ancora riposando. Nella comunità militare di Ramstein-Kaiserslautern vivono 43 mila americani, di cui circa la metà soldati attivi tra forze aeree e di terra. Da qui parte tutto l’equipaggiamento necessario per le operazioni militari Usa. Fino a 300 volte al giorno si alzano in volo i grandi aeri da trasporto Hercules C 130 e i Galaxy con il loro materiale da guerra, qui c’è il deposito di munizioni centrale, qui – si mormora e nessuno di competenza lo smentisce – sono ancora nascoste le testate e le bombe nucleari a dispetto della fine ufficialmente dichiarata della guerra fredda. Qui si trova anche il più grande ospedale militare americano all’estero, dove tutti i militari feriti o morti nelle operazioni in giro per il mondo vengono portati prima di essere trasferiti negli Usa. In caso di sospettata contaminazione, i cadaveri vengono svuotati e riempiti di materiale finto. Così modificati arrivano negli Usa, e i famigliari a casa spesso possono vedere i loro cari solo attraverso una piccola finestrella di vetro ritagliata nella cassa da morto sigillata e saldata.
ALLARGAMENTO MASSICCIO. In questa zona ad alta densità di sorvolo con il suo inquinamento acustico e tossico, per la fine del 2005 è previsto un allargamento massiccio della base già esistente: la pista vecchia dovrà essere prolungata ad una lunghezza di 3.600 metri ed è prevista la costruzione di una nuova per permettere il trasferimento dell’aeroporto Usa di Francoforte che dovrà far posto all’ingrandimento di quello civile.
Il sig. Fleischmann, un pensionato di 73 anni, capeggia la locale iniziativa dei cittadini contro ciò che lui chiama la catastrofe imminente: «Sa Signora, qui ci vogliono tappezzare con americani. Che disgrazia!». Fleischmann mi riceve nella sua bella villa con il commento amaro: «Se vuole fare un affare, compri la mia casa, ormai ha perso metà del suo valore come tutte le case in zona! Qui avviene una cacciata moderna. La gente se ne va, non c’è futuro per loro».
I cittadini di Ramstein e hinterland che si mobilitano contro l’allargamento della base, sono molto allarmati per l’aumento dell’inquinamento atmosferico e da rumore. È soprattutto il nuovo carburante JB 8 con gli additivi tossici, sviluppato per incendiarsi meno facilmente, a preoccupare la popolazione per i suoi effetti cancerogeni. L’attivissimo pensionato mi accompagna alla porta con le parole: «Ramstein, come già nella prima guerra del Golfo, diventerà il perno di tutte le operazioni nella guerra all’Iraq. Ma quando vogliono partire da qui, noi occuperemo la base con mezzi pacifici e ci dovranno portare via con la forza».
Trentamila volantini sono già stati distribuiti e 13 mila cittadini hanno depositato un esposto contro il progetto. Secondo le norme ambientali dell’Ue, la zona di Ramstein è classificata Ffh (Fauna-Flora-Habitat) ed è quindi una zona da tutelare. Tanta gente qui non ha nessuna voglia di fungere da portaerei per le future guerre degli americani, e sta creando una rete di mobilitazione. Parlo con il coordinatore del locale gruppo ambientalista, Kalle Kress, sulle prossime iniziative contro l’allargamento della base: «Si tratta di un’inaudita violazione del paesaggio e delle sue caratteristiche. Qui c’è il quartiere generale della forza aerea Usa, e nel caso di un attacco all’Iraq i voli devono essere coordinati da qui», ci racconta, «e noi saremo in prima linea anche contro la guerra».
Mentre parliamo, un centinaio di persone alla spicciolata o in piccoli gruppi avanza al bordo della gigantesca strada a quattro corsie che porta alla base militare. Alzano cartelli scritti a mano che con lettere cubitali recitano: «NO WAR», o «PRAY AND LIVE FOR PEACE». Bambini, anziani, giovani coppie, tutti si raggruppano davanti all’ingresso sbarrato. Una croce di legno dice «AMA I TUOI NEMICI». Sono mennoniti che stanno per iniziare una preghiera contro la guerra davanti una base militare americana, in un sabato pomeriggio dopo Natale sotto un cielo grigio e piovoso. Cantano «alleluia, risorgeremo in un regno di luce e amore».

DISCRETI. Ramstein negli Usa è famosa come Little America, e nel mondo per la sciagura del 1988, quando la formazione Tricolore aveva causato più di 70 morti per un incidente in volo tra i civili venuti a vedere le esibizioni che dovevano essere festose. La cittadina si presenta davvero come una piccola America: ovunque insegne in lingua inglese, dal rent a car alle agenzie assicuratrici. I cartelli stradali sono ovviamente bilingue e le targhe delle macchine spesso americane. Ma la presenza dei militari è molto discreta e la loro vita sociale si svolge quasi per intero all’interno della base. Là ci sono i grandi supermercati con i loro prodotti tipici, dalla carta igienica alla Coca Cola, tutto viene importato dagli Usa. Ci sono i cinema, le scuole, le abitazioni per le famiglie e le caserme, una piccola America isolata dal resto. Chiedo ad uno dei giovani soldati se ha paura di un’imminente guerra contro l’Iraq, e la sua risposta è semplice: «No, per me e per noi tutti decide il Presidente degli Stati Uniti d’America e il Pentagono, non certo io. Qui faccio solo il mio lavoro».
Qualche centinaia di chilometri più a nordovest, al confine con l’Olanda, dove il paesaggio si fa sempre più piatto e i mulini sventolano non più lungo i percorsi d’acqua, ma per produrre energia pulita sfruttando il vento, si trova Geilenkirchen, una tranquilla cittadina della Renania. Qui, dal 1981, è stazionato il quartiere generale del Comando E-3A, nel quale 13 Paesi aderiscono all’unica formazione multinazionale della Nato direttamente sotto la direzione dello Shape (Supreme Headquarters Allied Powers Europe). Qui gli aerei spia Awacs formano la Airborne Early Warning & Control Force (una specie di flotta aerea di avvertimento e controllo anticipata) che sono indispensabili come supporto a tutte le operazioni militari della Nato. Questi grandi aerei da ricognizione, che per funzionare hanno bisogno di 17 uomini tra piloti e tecnici, sono equipaggiati con un grande «fungo»: è un radar potentissimo che può «vedere» fino a 500 km e controlla da 9.500 metri di altezza un territorio di oltre 300 mila kmq. Il loro spionaggio crea la base per ogni attacco mirato in campo nemico. Sono rimasti in 17, dopo che un incidente in Grecia due anni fa ha fatto perdere il 18° di questi aerei superdotati. 1.500 il personale militare, e altrettanto civili, provenienti da 12 Paesi diversi: questa multinazionalità costituisce anche la particolarità della base aerea e della squadra di volo.
Vivono con le loro famiglie in un microcosmo tutto dipinto in verde militare: cappella, scuole, supermercati, ospedale, caserme, appartamenti, campi da tennis, il Club per gli ufficiali, quello per i soldati. Le strade si chiamano Nato Avenue o Trapani Line. Al cinema, alle 19.30, si può vedere in questi giorni Bloodwarks. Sulla destra i grandi hangar per la manutenzione e l’assistenza agli aerei, e la lunga pista. Accesso naturalmente proibito. Qui sono atterrati il padre Bush ai tempi della guerra del Golfo, Bill Clinton, il cancelliere Schröder, persino Arafat, e quasi tutti i capi di Stati e governo delle nazioni Nato partecipanti alla formazione dello squadrone degli Awacs. Nel centro cittadino tra le 12.45 e le 13.30: i grandi aerei sorvolano la cittadina anche dieci, dodici volte e rendono impossibile qualsiasi conversazione nelle case e le strade. Willy Davids, presidente dell’iniziativa di cittadini contro le immissioni degli Awacs, ingegnere nell’impresa di famiglia che si occupa di costruzioni di strade e case, racconta: «Sono stati trasformati dei vecchi Boeing 707. In nessun aeroporto del mondo potrebbero atterrare con questi motori che hanno 25 anni sulle spalle. Noi non siamo contro la Nato, ma vorremmo investimenti per nuovi motori meno rumorosi e meno inquinanti». Il gruppo ha già raccolto e inviato al governo tedesco e al segretario generale della Nato, 5.500 firme contro l’inquinamento provocato dagli aeri. Finora come risposta solo promesse. Davids lamenta l’onnipotenza e l’arroganza della Nato che non deve rispettare gli standard ecologici come tutti gli altri. «Da lunedì al venerdì di ogni settimana, dagli Usa arriva una flotta cisterna apposta per rifornire di carburante gli aerei in volo perché non possono decollare con il serbatoio pieno. Con nuovi motori tutto questo non sarebbe più necessario. Sopportiamo oltre 60 sorvoli rumorosissimi tutti i giorni direttamente sopra le nostre teste per otto, nove ore al giorno: è veramente troppo!». Il sindaco di Geilenkirchen è della Cdu e un vero amico della base Nato: «Non scriva niente contro di loro. Sono un fattore economico enorme per la nostra città che guadagna in affitti e nel commercio. I nostri rapporti sono amichevoli ed eccellenti».

INTEGRAZIONE DEI FIGLI. La città ha effettivamente guadagnato in benessere e soprattutto in crescita: in pochi anni la sua popolazione è raddoppiata. La città si impegna per l’integrazione dei figli dei militari stranieri nelle sue scuole e promuove delle iniziative culturali europee: ogni anno, un altro dei Paesi Nato della base, si presenta alla popolazione locale. L’anno scorso era il turno dell’Italia, che ospita a Trapani uno dei quattro aeroporti collegati allo squadrone Awacs di Geilenkirchen.
E qui, in questa tranquilla cittadina tedesca, si decideranno alcune delle sorti di un eventuale attacco prossimo all’Iraq. Il governo Schröder, che con la sua posizione contro la guerra all’Iraq, a settembre aveva vinto le elezioni al cardiopalma, ora deve attuare delle scelte delicate. Gli Awacs non possono volare senza i piloti tedeschi, che accanto a quelli americani, costituiscono il grosso della squadra. Entra in gioco la stessa operatività militare e strategica degli Usa e della Nato. Solo una rotazione potrebbe evitare la diretta partecipazione dei piloti tedeschi alla guerra, com’è già avvenuto in altre circostanze: le squadre di Geilenkirchen vanno a controllare il territorio degli Usa e quelli americani fanno il lavoro «sporco» volando da Geilenkirchen in Turchia per permettere la penetrazione aerea dell’Iraq. Gli Usa hanno già offerto alla Turchia un aiuto finanziario notevole in cambio dell’uso dei suoi aeroporti e del sorvolo indisturbato del Paese.
Il dibattito politico sulla posizione della Germania in un futuro conflitto non condiviso, è acceso e vivace e potrebbe mettere in discussione lo stesso governo a Berlino. E non basta: da gennaio la Germania fa parte dei 10 Paesi non permanenti nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu e da febbraio assumerà la presidenza di questo organismo che potrebbe diventare determinante nella decisione su una prossima guerra. Intanto, a Geilenkirchen, i voli di esercitazione sulle teste della piccola città stanno aumentando di giorno in giorno.

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