Da La Repubblica del 29/04/2005

L´ultima beffa

di Giorgio Bocca

Il procuratore generale della Cassazione, Enrico Delehaye, ha respinto il ricorso delle parti civili, cioè dei rappresentanti dei morti ammazzati dalla bomba fascista di Piazza Fontana e ha riconfermato l´assoluzione degli imputati Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi e Giancarlo Rognoni, cioè dei tre terroristi di Ordine nuovo condannati in prima istanza per strage. Il procuratore generale, all´inizio della sua requisitoria, ha chiesto un´interruzione per «commozione provata nell´affrontare questo processo che ha segnato il mio ingresso nella magistratura». Per chi se ne fosse dimenticato la strage di Piazza Fontana aprì la stagione del terrorismo nero, strage di massa fatta per bloccare i movimenti sociali.
C´erano due persone che avrebbero potuto aiutare a risolvere il caso giudiziario: una è il capo del governo Giulio Andreotti, l´altra è Pino Rauti, referente nazionale di Ordine nuovo, un´associazione - ha ricordato l´avvocato dello Stato Giannuzzi - «che aveva una strategia stragista di ampio respiro». Ma i due non hanno dato aiuto all´accertamento della verità. Un´inchiesta seria o non è stata fatta o non è stata presa in considerazione e i servizi segreti hanno nascosto o confuso indizi e prove, esattamente come accadde per le altre stragi di piazza della Loggia a Brescia e alla stazione di Bologna.
E adesso che la strage di piazza Fontana viene cancellata, evitiamoci per carità la beffa di un altro processo (dopo che ne sono stati già celebrati 11) e questa orrenda accademia dell´insabbiamento. La tragica presa in giro pare sufficiente: l´avvocato dello Stato chiede se non sarebbe il caso di fare un nuovo processo dopo i tanti fatti, proprio per impedire l´accertamento della verità e il procuratore generale osserva lapalissianamente: «Non ritengo che la Suprema corte sia la sede più adatta per accertare la verità, quando la verità non è stata accertata nelle fasi precedenti di giudizio». Ineccepibile! Che la luce sulla verità dei fatti sia mancata pare evidente, tant´è che abbiamo avuto due verdetti di merito completamente opposti.
Non ritengo che si possa sostenere, come fa il procuratore di Milano nel suo ricorso, che due persone assolte con sentenza passata in giudicato, Freda e Ventura, siano responsabili di un reato. Dunque «vengono meno le censure di aver trascurato i rapporti fra l´Ordine nuovo del Veneto e la destra eversiva milanese». Forse non riusciamo a capire l´alta giurisprudenza della Suprema corte, ma il succo della faccenda ci pare questo: la nostra giustizia non ha voluto, non ha saputo, non ha potuto indagare su una strage che coinvolgeva i servizi segreti nostri e stranieri. Non ha potuto, voluto, saputo rifiutare le corresponsabilità nella strategia della tensione e ora compie l´ultimo gesto, se ne lava le mani, confessa tranquillamente di aver fallito, di aver dato partita vinta a chi non voleva che giustizia fosse fatta. Spesso da noi ma anche altrove la giustizia, specie quella blasonata e indiscutibile della Suprema corte, viene usata come la classica quadratura del cerchio, per mettere d´accordo il codice con la ragion di Stato, le leggi con l´esercizio del potere.
Ma a che servono queste manfrine, questi raffinati giochi di cui tutti capiscono la strumentalità, la falsità? E´ proprio questo ricorso alla giustizia formale, questo ridurre lo Stato a un giocatore scaltro che uccide la democrazia e ne svuota il consenso. Evidentemente il potere non è ancora riuscito a ideare nulla di nuovo e di meglio, come conferma il caso Calipari, che cancellare le prove e sostenere versioni assurde, incredibili. Intanto i morti di Piazza Fontana, come tutti i morti per errori dello Stato si danno pace.

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