Da La Repubblica del 04/05/2005

Giacomo Piccioni, 78 anni, era il cassiere della banca: il verdetto non mi stupisce

"Sangue e corpi ovunque Quell´orrore morirà con me"

di Paolo Berizzi

MILANO - Si stringe nelle spalle, gli occhi liquidi, le mani robuste e nervose. Mani che hanno toccato soldi e sfiorato l´orrore. «Questa sentenza me l´aspettavo, purtroppo... Tutti assolti, nessun colpevole. Punto e a capo. E se adesso penso a quei poveretti, all´umiliazione dei famigliari dopo tutti questi anni di processi e di dolore...». Un manto di capelli bianchi pettinati all´indietro, una camicia beige a maniche corte, la voce impastata dall´emozione.
Parla il sopravvissuto Giacomo Piccioni, racconta, e allora ti trovi a pensare che per entrare e uscire da un film di terrore bastano le parole di un anziano ex impiegato di banca.
Lui era uno dei cassieri. Custodiva titoli e obbligazioni. E stava lavorando sotto la bomba, nel ventre della Banca nazionale dell´Agricoltura. Quattro metri sotto il salone centrale sventrato dallo scoppio.
In piazza Fontana sono le 16,37 del 12 dicembre 1969. L´inizio di un incubo. Che oggi, trentasei anni dopo, anziché dissolversi è riacceso da una sentenza forte, gelida come la targa di marmo posta all´ingresso della banca in ricordo delle 17 vittime della strage. «Ero seduto al mio posto. Stavo passando delle carte. A un certo punto ho sentito un boato, e poi un rumore fortissimo di vetri distrutti, e subito dopo delle grida, e poi le sirene. Tante sirene. Sono rimasto fermo lì, immobile, con il sangue gelato. All´inizio non capivo, non ho pensato subito a una bomba. Paura? Troppo poco tempo per avere paura. Più che altro, là sotto nel caveau, era il rumore che impressionava. Ma non solo. A qualche metro dalla mia scrivania, anzi, al di là di un muro, si è aperta una voragine. Un buco enorme che me lo ricordo come se lo avessi davanti agli occhi. Ecco, lì c´era una specie di mensa. Un posto dove noi impiegati in pausa pranzo andavamo a mangiare la schisceta. Per fortuna in quel momento non c´era nessuno. Sennò altro che diciassette morti...».
Giacomo Piccioni, settantotto anni oggi, quel pomeriggio bagnato di sangue di anni ne aveva quarantadue. Era un omone che viveva per il lavoro e la famiglia. Ed era, anche, un ex carabiniere. Uno che in quegli anni caldi a Milano ne aveva viste di tutti i colori.
Ma quel giorno, pochi minuti dopo le quattro e mezzo... «Sono salito di sopra, ho fatto le scale in quattro secondi. Il salone centrale era un ammasso di corpi ricoperti di sangue, alcuni straziati, altri solo feriti. Sulle pareti c´erano pezzi di gambe, carne a brandelli. E braccia conficcate nelle vetrate. E rottami, polvere, calcinacci, tutto avvolto in una nuvola di fumo».
Il venerdì, quel venerdì. «Era il giorno del mercato del grano... Noi lo chiamavamo così. Gli agricoltori venivano da tutta la Lombardia. Si scambiavano grano, riso, segale, fagioli. Una specie di baratto, come ancora oggi avviene in certi paesi. Ecco, loro lo facevano in banca. Me li ricordo bene: ognuno con la sua borsa. E dentro i pacchettini con la merce. Dicono che la borsa con dentro l´esplosivo gli attentatori l´avessero mischiata a quelle degli agricoltori. E loro sono morti. Ma che colpe avevano, poveracci? Che obiettivo erano, i contadini?». Perché proprio la Banca Nazionale dell´Agricoltura?, si è chiesto tante volte Piccioni. E, soprattutto, chi ha messo quella bomba? «Ci guardavamo negli occhi senza parlare, noi dipendenti, e davanti avevamo una scena impossibile da dimenticare. Le ambulanze che andavamo e venivano. Nessuno capiva niente. Vedevo colleghi che per non guardare i cadaveri iniziavano a raccogliere i calcinacci dentro i sacchi. Potevo morire, certo. La nostra fortuna è stata che il salone era circondato dalle vetrate. Così lo scoppio ha potuto deflagrare all´esterno. Altrimenti ci avrebbe seppelliti tutti quanti».
E i colleghi: che fine hanno fatto i dipendenti che come Giacomo stavano lavorando quando dentro la banca il terrore ha fermato il tempo? Dove sono gli uomini che due giorni dopo l´esplosione, il lunedì, hanno dovuto ricominciare a servire i clienti come se niente fosse successo? «Non ho più visto nessuno. Qualcuno è morto, altri non vivono più a Milano. Io sono rimasto qui. Ancora oggi ogni mese entro in quella banca a ritirare la pensione. Ogni volta che vado in piazza Fontana mi fermo un attimo. Immobile. Come quel pomeriggio. E penso, penso, penso».

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