Da Equilibri.net del 25/05/2005
Originale su http://www.equilibri.net/africa/somalia605.htm

Somalia: aspettando il tanto atteso ritorno in patria del governo

di Giandomenico Pumilia

La Somalia è una Repubblica del Corno d’Africa, conta circa 10 milioni di abitanti quasi interamente somali di religione musulmana sunnita. La Somalia raggiunge l’indipendenza nel 1960 formandosi dall’unione tra l’amministrazione fiduciaria italiana ed il protettorato britannico (Somaliland); vive 22 anni di regime del generale Siad Barre che viene destituito nel 1991 determinando, anziché un sollievo, una condanna ai successivi 14 anni di guerra civile e ad un processo di frammentazione del territorio. Infatti, dalla caduta di Barre si sono autoproclamati indipendenti il Somaliland nel 1991, il Puntland nel 1998 e la Somalia del sud-Ovest (SWS, controllata dall’Esercito di Resistenza Rahanwein) nel 2002. Nessuno dei tre può vantare al momento il riconoscimento della comunità internazionale.

Governo in esilio

A distanza di 14 anni dalla caduta del regime di Siad Barre, scanditi da altrettante conferenze di riconciliazione, si possono contare pochi risultati dal punto di vista politico in Somalia. Nel 2000 si svolse la Conferenza di Gibuti durante la quale vennero nominati un Presidente ad interim, Abdulkassim Salat Hassan, ed un governo con a capo Ali Khalif Gelayadh. Rappresentanti che però non hanno trovato l’appoggio ed il riconoscimento delle repubbliche secessioniste che nell’opporsi trovano un fedele complice nella vicina Etiopia tanto da dare vita, nel 2001, ad una struttura parallela come la Somali Reconciliation and Restoration Council (SRRC).
Nel 2004 durante i colloqui condotti in Kenya dai rappresentanti politici e dai warlord venne creata un’assemblea parlamentare e nell’ottobre questo parlamento ha nominato presidente Abdullahi Yusuf, vicino al clan dei Darod, mentre, nel dicembre successivo, viene nominato Premier Ali Mohammed Ghedi, vicino al clan Hawiye. Questo governo, che almeno sulla carta e negli intenti dei suoi artefici dovrebbe durare fino al 2008, presenta una composizione rilevante quantomeno nei numeri: è composto da un premier, 94 tra ministri e viceministri, e 5 segretari di Stato. L’assemblea parlamentare composta su base tribale conta 275 deputati. Numeri che potrebbero sembrare eccessivi ma giustificati dall’esigenza di dare una rappresentanza ad un numero più ampio possibile di clan, sottoclan e gruppi sociali.

Il problema è che queste istituzioni sono state pensate e create fuori dalla Somalia e non è stato possibile realizzare un rimpatrio e una sistemazione nella capitale Mogadiscio, nonostante le diverse e successive previsioni e pianificazioni puntualmente rinviate. Attualmente, infatti, i rappresentanti di governo e dell’assemblea parlamentare si trovano in esilio a Nairobi, in Kenya. L’ultima dichiarazione del premier Ghedi indicava la data del 31 maggio come prossimo riferimento per il “trasloco”. Gli analisti comunque non considerano realizzabile un trasferimento prima di agosto.

Di fatto il governo somalo si trova pressato tra urgenze ed emergenze: il governo keniano esercita frequenti pressioni al fine di liberarsi degli ospiti che rappresentano una bomba inesplosa al centro della propria capitale; un Paese per niente sicuro e tranquillo è in preda ad uno stato d’anarchia ed ha bisogno d’istituzioni perfettamente funzionanti ma la capitale Mogadiscio però non si mostra per niente pronta ad accogliere il governo.
Mogadiscio è messa a ferro e fuoco dai vari clan e dai warlord che si battono per il controllo della capitale non garantendo quindi la necessaria sicurezza per il rientro del governo. Si stimano circa 15 mila guerriglieri pesantemente armati che operano nella capitale.

Missione di pace e trasferimento

A tal fine si sono rese necessarie la costituzione di una missione di pace, a carattere regionale, (diversa quindi rispetto a quelle fallimentari targate ONU del periodo 1992-1995) nell’area della capitale.
Il presidente Yusuf ha chiesto l’invio di 7500 soldati da parte dell’Unione africana (UA) e dalla Lega Araba, mentre l’IGAD (Inter-Governmental Authority on Development), l’agenzia che riunisce sette stati dell’Africa orientale, prevede l’invio di circa 10 mila uomini anche se in fasi successive.
A febbraio il Consiglio di Pace e Sicurezza (PSC) dell’UA aveva autorizzato l’IGAD all’organizzazione della missione di pace in Somalia. Inoltre il premier Ghedi aveva già avuto modo di dichiarare che nessun trasferimento poteva avvenire in assenza della suddetta missione di pace. Le milizie, come previsto, dovrebbero arrivare a Mogadiscio almeno 2 settimane prima dell’arrivo del governo.

Il verificarsi di un grave episodio ha rallentato i preparativi sia della missione che del rientro del governo somalo. Il 3 maggio nel contesto di un tour nel Paese del premier Ghedi seguito da una delegazione, durante il suo discorso allo stadio di Mogadiscio si è verificata un’esplosione che ha provocato la morte di 15 persone lasciando illeso il premier considerato l’obiettivo di questo attentato.
L’UA ha annunciato l’imminente invio di un primo contingente di 1700 peacekeeper provenienti per metà dall’Uganda e per l’altra metà dal Sudan.
Di certo però è che non si conoscono i tempi necessari a riportare la situazione alla normalità nella capitale Mogadiscio tanto da programmare il trasferimento del governo nelle due capitali ad interim Baidoa e Jowahar, rispettivamente a nord e a sud della capitale, così come deciso dal parlamento.
La realizzazione di questa missione di pace incontra non pochi problemi: difficoltà nel reperimento dei fondi per finanziare la missione che si prevede possa costare circa 500 milioni di dollari statunitensi; inoltre tra i più influenti warlord si registra l’ostilità ad eventuali truppe provenienti dai paesi confinanti come la storica rivale Etiopia.

Non tutti i segnali dalla capitale sono negativi infatti si è dato inizio, condotto dai maggiori warlord, all’esecuzione del programma di disarmo volontario delle milizie. Mediante questo disarmo, senza precedenti in Somalia, sono stati consegnati ad un deputato della regione armi di qualsiasi genere: carri da battaglia, pickup con artiglieria antiaerea e pistole d’ogni tipo.

Le ingerenze della vicina Etiopia nelle questioni interne della Somalia ed i rapporti più o meno leciti con alcuni warlord oppositori del governo di transizione si fanno sempre più frequenti. Un gruppo di legislatori somali il 10 maggio scorso ha accusato le milizie etiopi di avere condotto un’incursione in territorio somalo con lo scopo di vendere delle armi alle milizie che si oppongono al governo di transizione, violando così l’embargo imposto dalle Nazioni Unite da ben 13 anni. Sempre all’Etiopia vengono addebitati i tumulti verificatesi a Baidoa che non a caso è una delle due città designate come capitali ad interim.

Situazione interna del Paese

La veloce crescita della popolazione e la diffusa povertà nel Paese che registra un PIL pro capite pari a 110 dollari statunitensi rende preoccupante la situazione.
L’anarchia nel Paese non crea danni solo politico-istituzionali ma si riflette anche sul tessuto economico e sociale e si assiste infatti alla decadenza dei servizi pubblici.
Singolare è la differenza che si registra a distanza d’anni nel settore dell’istruzione: l’analfabetismo in Somalia ha raggiunto livelli insostenibili e impensabili quando, prima della guerra civile, l’istruzione gratuita ed obbligatoria aveva fatto sì che si potesse raggiungere un livello d’alfabetizzazione pari al 60%.
Una difficile situazione si profila nel nordest per migliaia di somali che, ha causa della prolungata siccità che ha colpito le regioni del Somaliland e del Puntland, hanno un’urgente necessità d’aiuto. Le scorte di cibo sono esaurite, i capi d’allevamento decimati e si seccano le sorgenti d’acqua. Tutto questo spinge parecchie persone a spostarsi verso le zone meno colpite dal fenomeno.

L’anomalia Somaliland

Al cospetto di un panorama così poco incoraggiante per un Paese che tarda ad avviare un processo di formazione politica prima, e di sviluppo poi, un caso alquanto paradossale è rappresentato dal Somaliland. Il Somaliland è quella parte della Somalia, con territorio semidesertico, che al nord si sviluppa lungo la costa che si affaccia sul golfo di Aden. Si è autodichiarato indipendente nel 1991 in occasione della caduta del regime di Siad Barre dopo essere già stato fino al 1960, anno dell’indipendenza della Somalia, protettorato britannico.
L’anomalia è rappresentata dal fatto che all’interno dei confini di uno Stato che praticamente ancora non esiste, la Somalia, si trova il Somaliland che pur non essendo riconosciuto dalla comunità internazionale presenta un sistema politico perfettamente funzionante, un corpo di polizia ed una propria moneta.
Nel maggio del 2001 un referendum, che chiamava ad esprimersi sulla nuova costituzione, ha finito per rappresentare una schiacciante conferma dell’appoggio della popolazione all’indipendenza. In linea con il processo di democratizzazione in atto sono le elezioni dei consigli distrettuali del 2002 e le elezioni presidenziali del 2003 con le quali è stato confermato presidente Dahir Riyale Kahin precedentemente nominato ad interim dal consiglio degli anziani, dopo la morte del predecessore.
L’economia del Somaliland si basa soprattutto sulle rimesse di denaro proveniente dagli emigrati all’estero che rimandano in patria gran parte dei loro guadagni. Altre fonti sono rappresentate dagli introiti frutto dei dazi portuali di Berbera, porto usato soprattutto dall’Etiopia che non ha sbocchi sul mare. La principale voce delle esportazioni è data dalla vendita del bestiame che però è ostacolata dall’embargo imposto dai paesi del golfo di Aden.

Conclusioni

La strada ormai è tracciata bisogna però intraprenderla al più presto. Prima l’invio di una missione di pace per riportare la sicurezza a Mogadiscio che come si dice da più parti “è e deve rimanere la capitale della Somalia”. Poi il trasferimento del governo e del parlamento dal Kenya in Somalia anche con tappa intermedia nelle città di Baidoa e Jowahar. Ripristinati questi tasselli il presidente Yusuf e il premier Ghedi dovrebbero darsi da fare per avviare un processo di pacificazione e democratizzazione reso irto di ostacoli dalla frammentazione della popolazione in tanti clan da anni in lotta tra loro. Sarebbe auspicabile, come ha più volte dichiarato il presidente Yusuf, pensare innanzitutto all’irrobustimento delle istituzioni del paese, rinviando ad un secondo momento la realizzazione degli obiettivi di riunificazione con il Somaliland ed il Puntland.

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