Da La Repubblica del 01/04/2005
Originale su http://www.repubblica.it/speciale/2003/papa/attentato.html

Il 13 maggio del 1981, un giovane turco tentò di uccidere il Papa. La cattura, la condanna, il perdono, la grazia e il ritorno in patria

L'attentato che scosse il mondo e i mille misteri di Alì Agca

Ma i motivi della sua azione non sono mai stati chiariti

di Barbara Ardù

ROMA - Quel colpo di pistola scosse il mondo. Gelò la folla per un lungo interminabile momento. E' il 13 maggio del 1981 e un uomo spara al Papa. Giovanni Paolo II si accascia, si porta le mani all'addome. I fedeli circondano la Papamobile, quasi a proteggerlo. Le immagini del Papa ferito e del braccio armato di Ali Agca, fermato dalla folla, fanno il giro della Terra. Sono le 17,19 di un pomeriggio assolato. Solo a tarda sera, quando i medici del Policlinico Gemelli, rilasciano il primo bollettino medico, il mondo tira un sospiro di sollievo. Il Papa è salvo e Alì Agca in carcere. L'uomo che ha attentato alla vita del Pontefice è un giovane turco di 23 anni, figlio di una famiglia poverissima, studente di economia, legato alla destra nazionalista e al suo braccio armato, i "Lupi grigi". Nel suo Paese è già un pregiudicato. Ha ucciso un giornalista ed è fuggito dal carcere nel 1979. Troppo facilmente. La Turchia ne chiede l'estradizione ma l'Italia rifiuta. E lo processa subito, condannandolo all'ergastolo dopo appena tre giorni di dibattimento, il 22 luglio del 1981.

Una condanna che è solo l'inizio di una storia giudiziaria e umana che durerà anni, tra accuse e sospetti. Tre processi e quattro inchieste giudiziarie tra due date: gli spari a Piazza San Pietro e la grazia concessa ad Alì Agca dal neo presidente Carlo Azeglio Ciampi il 13 giugno del 2000, anno del Giubileo. Tre processi e quattro inchieste che hanno proposto clamorosi scenari e tante piste di indagine, che hanno fatto emergere sospetti di depistaggio, complotti internazionali, senza mai giungere alla verità.

Quello di Agca fu il gesto di un folle o invece qualcuno armò la sua mano? Una domanda senza risposta, tanto che il pm Antonio Marini, (la pubblica accusa dell'ultimo grande processo), dichiarò che con il ritorno in Turchia di Alì Agca "si era spenta l'ultima speranza di giungere alla verità". I giudici parlarono di un unico grande complotto. E in effetti l'attentato al Papa finì per legarsi inevitabilmente ad alcune delle vicende più oscure degli Anni Ottanta. Due mesi prima era esploso lo scandalo P2, il 20 maggio finisce in carcere Roberto Calvi, al centro dell'affare Ior-Banco Ambrosiano. Tre anni prima, nel 1979, era stato ucciso Giorgio Ambrosoli, il liquidatore della Banca privata di Michele Sindona.

La prima pista a prendere corpo è quella bulgara. E' l'agosto del 1982 e il Muro di Berlino è ancora in piedi. La giornalista americana Claire Sterling scrive che la mano di Alì Agca è stata armata e guidata dai servizi segreti bulgari e sovietici. E Agca conferma. L'attentato sarebbe dunque un complotto dell'Impero del male per eliminare il Papa di oltrecortina. Si apre un'inchiesta. La Digos arresta Ivanov Antonov , caposcalo della Balkanair e nella vicenda vengono coinvolti altri personaggi, bulgari e turchi, tutti poi assolti.

Si cerca di ricostruire i mille giri di Agca prima dell'attentato. E la risposta che arriva da Mosca è netta: la pista bulgara è un'invenzione della Cia.

Non passa nemmeno un anno e scompare a Roma Emanuela Orlandi, figlia di un funzionario del Vaticano. I rapitori chiedono in cambio della vita della ragazza (che non verrà mai più ritrovata) la libertà per Alì Agca. Per molto tempo le due vicende sembrano intrecciarsi. E al centro c'è sempre lui, Agca, mitomane, scaltro, convinto di essere lo strumento di un disegno divino, abilissimo nel confermare e smentire sempre tutto e il contrario di tutto; ma soprattutto intenzionato a non dare mai una versione univoca dei fatti. Fino all'ultima grande rivelazione, quella di essere il portatore del terzo segreto di Fatima, che "annuncia" l'attentato al Papa. Un segreto mai rivelato dal Vaticano, fino al 2000.

Alì Agca se ne fa interprete più volte. E' lui l'uomo scelto per quel disegno. Un disegno che Agca aveva già annunciato al mondo il 28 dicembre del 1979, quando il Papa giunse ad Ankara per una visita ufficiale. Il giornale turco Millyet, pubblica in prima pagina una lettera di Agca, con una chiara minaccia: "Se questa visita non viene cancellata è certo che io ucciderò il Papa". Ci ha provato, Non gli è riuscito. "Strano", come disse una volta: "Ho mirato giusto, ma non sono riuscito ad ucciderlo".

Parallelamente si è svolta l'altra vicenda, quella umana. Il Pontefice ha perdonato più volte Agca. E' andato da lui in carcere, a Rebibbia. Ha incontrato la madre e il fratello. Alì Agca fu sempre molto abile a sfruttare la clemenza del Pontefice. Gli scrisse più volte e sempre per ottenere l'estradizione. L'ultimo appello fu quello decisivo: "Santità liberatemi per il Giubileo". L'estradizione arriva con la grazia. Alì Agca lascia il carcere di Ancona per la Turchia, a bordo di un aereo militare. E ringrazia tutti, il Pontefice, il Presidente, il Vaticano. Ma non passa nemmeno un mese e su di lui si riaccendono i riflettori. E' il 10 luglio del 2000 e dall'aula di un Tribunale di Ankara lancia parole di fuoco contro il Vaticano "nemico di Dio e dell'umanità". Salva invece il Pontefice, che esorta a lasciare la Santa Sede. Ma la vicenda di Agca, pur se misteriosa, è tutt'altro che archviata.

Nel suo libro,"La mia verità", una sorta di testamento politico, Agca racconta le ore precedenti l'attentato. E le parole che usa sono le stesse che Mohammed Atta, uno dei kamikaze delle Torri Gemelle, scrive di suo pugno nella lettera che gli agenti gli hanno trovato in tasca dopo lo schianto sul grattacielo del World Trade Center, l'11 settembre.

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