Da L'Espresso del 10/03/2006
Originale su http://www.espressonline.it/eol/free/jsp/detail.jsp?m1s=o&m2s=null...

I misteri di sua Eminenza

Con la morte di Paul Marcinkus svanisce l'ultima possibilità di far luce sugli intrecci tra Vaticano, mafia, massoneria e servizi segreti

di Enzo Biagi

Poco più di un mese fa se ne è andato Paul Casimir Marcinkus, l'uomo della finanza vaticana, il capo dello Ior, l'Istituto per le Opere Religiose, amico del 'banchiere di Dio' Roberto Calvi e di Michele Sindona. Grazie all'arcivescovo americano persino la Santa Sede, ebbe il suo 'caso': la banca vaticana fu compromessa dal crack del Banco Ambrosiano, e dalla misteriosa morte del suo presidente Roberto Calvi, trovato impiccato il 18 giugno del 1982 sotto un ponte di Londra.

Nel 1998 l'inchiesta sulla fine del banchiere fu riaperta e, dopo aver riesumato il cadavere, i sostituti procuratori della Repubblica di Roma, Luca Tescaroli e Maria Monteleone, stabilirono che Calvi era stato ucciso. E di Marcinkus e del suo ruolo si ridiscusse ancora.

Non ho mai conosciuto il prelato americano, ma ho incontrato Roberto Calvi due volte. La prima, a cena, ospite di un amico. Lui era ancora potente, ma non mi fece alcuna impressione. Era domenica, e parlò della sua casa in campagna, a Drezzo, al confine con la Svizzera, di uova fresche e di animali. Non invitava alla cordialità. Aveva gli occhi di ghiaccio, per questo era soprannominato 'il cobra'. Poi l'ho incontrato dopo l'arresto avvenuto nel maggio del 1981, arresto che fece scalpore e che fu criticato in Parlamento da Flaminio Piccoli e da Bettino Craxi, segretari della Dc e del Psi. Ci fu un processo, un tentato suicidio e la condanna a quattro anni per aver violato le norme valutarie con il conseguente fallimento del Banco Ambrosiano.

Nonostante la sua freddezza, Calvi mi diede l'impressione di un uomo solo, eppure, poco tempo prima, Marcinkus aveva detto di lui, durante un'intervista: "Abbiamo fiducia in questo banchiere". Mi pareva di essere di fronte a un uomo fuori dal mondo, non riusciva a immaginare, dopo quarant'anni di fatiche e di emozioni, una vita senza impegni, senza far niente. Neppure il discorso sui figli pareva rianimarlo. Gli chiesi che cosa gli insegnava, e mi rispose freddo: "Niente, perché li vedo poco". A certe domande non volle rispondere, neppure accennare: niente Gelli, niente P2. Si arrabbiò quando allusi a un finanziamento che, attraverso l'America o la Germania, sarebbe arrivato a un partito italiano: "Non rispondo a domande del genere", mi disse.

Non mi sembrò un uomo di forte carattere, con i baffi e i capelli tinti, il volto pallido, una specie di angoscia nelle parole, portava addosso i segni della sconfitta. Era riuscito a intrecciare i suoi 'numeri' con preti e massoni, onorevoli e servizi segreti, aveva dato soldi al 'Gazzettino' (Dc) e a 'Paese Sera' (Pci), con Marcinkus aveva cercato le pecorelle smarrite per poi tosarle insieme, era stato in società con Sindona e con Pesenti, ma ora al vecchio 'giocoliere' cominciava a cadere qualche pallina.

Allora mi domandai: "Come si è arrivati a questo disastro? Perché chi doveva non ha parlato? Perché chi ne aveva l'obbligo non è intervenuto?".

Qualche giorno prima di morire Roberto Calvi scrisse una lettera a papa Giovanni Paolo II nella speranza di avere un aiuto per salvare quello che rimaneva del Banco Ambrosiano e per togliere lo Ior dalle mani di Marcinkus che mantenne, invece, il suo incarico fino al 1989. Il contenuto della lettera venne reso noto molti anni dopo dal figlio del 'banchiere di Dio'. Scriveva il 5 giugno 1982 Calvi: "Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentati dello Ior. Sono stato io che, su preciso incarico dei suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell'Est e dell'Ovest".

Qualche mese dopo la morte del banchiere incontrai la vedova, Clara Calvi, le chiesi quando cominciarono i guai per suo marito. Lei mi rispose: "Mio marito era innocente e chi doveva pagare, chi doveva presentarsi come imputato, era lo Ior e un altro gruppo italiano che non dico. Alla vigilia del processo io mi precipitai da Marcinkus e lo supplicai di fare qualcosa, di assumersi le sue responsabilità. Non mi meravigliai che l'altro gruppo privato si difendesse come poteva, ma da parte della Chiesa non mi sarei mai aspettata che non si prendesse le sue responsabilità. Mio marito era in prigione e si era stancato di pagare per gli altri".

Adesso con la morte di Paul Marcinkus svanisce l'ultima possibilità di conoscere la verità su uno dei tanti misteri d'Italia, un intreccio tra massoneria, mafia, servizi segreti, Vaticano, riciclaggio di denaro sporco, traffico d'armi per la guerra delle Falkland, finanziamenti alla dittatura di Somoza e al sindacato cattolico polacco Solidarnosc, un intrigo internazionale che costò alla Chiesa 1.500 miliardi di vecchie lire oltre ai pesanti giudizi morali.

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