Da Aprile del 07/07/2006
Originale su http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=11309&numero='199'

Falchi, colombe, spie e carriere

Servizi. Per Amato occorre ''una riforma'' dell'intelligence. Il parlamento europeo approva la relazione di Claudio Fava

di Andrea Santini

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Servizi segreti, spie e dintorniServizi Segreti italiani
Fonte “Betulla”. Così il Sismi definiva il giornalista Alberto Farina, vice direttore di “Libero”. Chi conosce Alberto Farina, o l’ha visto almeno una volta in una delle tantissime apparizioni nei salotti televisivi e quindi, a spanne, ha potuto misurarne la circonferenza di vita, sicuramente sorriderà, pensando che, se non altro, i nostri 007 hanno il senso dell’umorismo. Ma queste ultime vicende, che si muovono tra intercettazioni abusive, barbefinte e similari, millantatori e felloni, fino all’ultima storia del sequestro dell’imam di Milano, offrono ben poco senso dell’umorismo. C’è una regola, nei servizi segreti, anche in quelli senza regole: non si arruolano né si usano giornalisti o magistrati, consapevoli o meno. E’ una delle poche norne a custodia dell’autonomia dell’organismo giudiziario e della libertà di stampa, ma sacra.

In epoche passate giornalisti, sindacalisti, politici e magistrati sono stati schedati e messi all’indice. Basti pensare agli anni ’60, al piano Solo, ai dossier del Sifar. Ci sono state le riforme, i dossier, assicurano, sono stati distrutti, l’idea di un golpe, oggi è, quella sì, veramente umoristica. Certo, un occhio d’attenzione i servizi lo hanno sempre avuto per la categoria. Chi scrive ricorda, durante le manovre militari e Nato, un collega che lavorava per una rivista di settore finanziata dalla Difesa. Compagnone, simpatico. Lo prendevamo in giro, dicendogli che doveva tagliarsi i baffi, altrimenti sembrava un carabiniere. Lui si schermiva, giurando di essere uno di noi. Poi, in un aeroporto militare, un pilota scattò sull’attenti dinanzi a lui chiamandolo “maggiore”. Arrossì e sparì di circolazione. Bruciato. Anche l’elicotterista, probabilmente, fu inviato a osservare le miniere dell’Iglesiente, in Sardegna. In seguito, si sono scoperti dossier della Gladio sui giornalisti. Ma un intervento diretto del Sismi, mai.

Invece, a quanto pare, non è finita. I magistrati milanesi hanno scoperto un appartamento in un attico di via Nazionale, dove un agente del controspionaggio organizzava dossier e controllava la fonte “Betulla”. I dossier sono stati sequestrati. Casse. Chissà se sapremo mai cosa contengono, o se sarà sollevato il segreto di Stato. E c’è dell’altro. Sempre i magistrati, sulle tracce dei due dirigenti del Sismi, un colonnello e un generale in tempi diversi a capo della prima Divisione, che si occupa anche di controspionaggio, il primo in carcere, il secondo agli arresti domiciliari per motivi di salute, hanno scoperto che questi intercettavano e facevano pedinare altri due giornalisti, entrambi di Repubblica, il vicedirettore Giuseppe D’Avanzo e l’inviato Carlo Bonini, autori di tutte le ultime inchieste che hanno visto coinvolti Sismi e dintorni. In pratica i due funzionari, usando i fondi dello Stato – neri o chiari, sempre dello Stato sono – cercavano di scoprire cosa i due giornalisti sapessero non sul terrorismo, non su trame illegali, ma sul loro ruolo e sulle magagne del servizio segreto. Per i magistrati si è trattato di abuso della loro qualità di pubblici ufficiali. A ben vedere potrebbe trattarsi anche di distrazioni di fondi per interesse personale o peculato. Il problema politico, dalle reazioni che stanno scaturendo, è di semplice soluzione: non dovevano farlo. Il problema tecnico è forse più complicato: visto che lo hanno fatto, potevano farlo?

Sollecitando una nuova – l’ennesima - riforma dei servizi segreti, il ministro degli Interni Giuliano Amato pone l’accento su una questione che, pare, non sia mai stata definita. “C’è però l’eterno problema da risolvere – dice – di quali siano i limiti perché le operazioni di intelligence risultino o meno lecite”. Da parte sua il dirigente del Sismi arrestato, definiti anche il “numero due” dopo il direttore del servizio, un vecchio lupo dei servizi - fu lui a infiltrare nelle Br Silvano Girotto, alias Frate Mitra, l’uomo che fece arrestare Renato Curcio e Alberto Franceschini -, appare tranquillo e si dichiara estraneo ai fatti che gli sono stati contestati: “Non ho mai rapito nessuno ed ho fiducia nella giustizia”. Significa che ha fatto tutto secondo le regole, riferendo ai superiori e, attraverso loro, all’autorità politica, o che è sicuro delle sue coperture?

E’ interessante la ricostruzione che fanno due inviati del Corriere della Sera da Washington, nel maggio scorso, sulla base di fonti Usa. Ci sarebbe stata una riunione, tra uomini del Sismi e uomini della Cia a Roma, nei tre mesi precedenti il sequestro, per stabilire il da farsi. A capo della delegazione americana ci sarebbe stato il capo della Cia in Italia, Jeff Castelli, attualmente in America inseguito da una ordinanza di custodia cautelare. A capo della delegazione italiana, appunto, colui che oggi viene definito il “numero due” del Sismi. In queste riunioni gli uomini di entrambi i servizi si sarebbero spaccati tra “falchi” e “colombe”. I primi volevano assolutamente portare a termine il sequestro, gli altri lo ritenevano inopportuno, in quanto Abu Omar era seguito e intercettato da almeno dieci mesi nell’ambito dell’inchiesta della magistratura milanese, e stavano per scattare gli arresti. Tra le colombe americane ci sarebbe stato il capocentro Cia di Milano, Robert Seldon Lady, l’uomo che poi ha dovuto effettuare materialmente il sequestro. Non si sa – e sarebbe invece molto utile saperlo - chi fossero le colombe italiane. Quello che sembra certo è che i falchi erano Jeff Castelli e il numero due del Sismi. Come è andata a finire lo sappiamo. Abu Omar è stato rapito dagli uomini della Cia con l’aiuto di uomini del Sismi e, dopo un passaggio nella base Usa di Aviano, dove sarebbe stato anche torturato, trasferito in Egitto. Se non ci fosse stato un maresciallo del Ros dei carabinieri, coinvolto a titolo personale nel sequestro, che ha raccontato tutto ai giudici, forse l’inchiesta non sarebbe arrivata così a fondo.

E qui si inserisce un altro aspetto di questa losca vicenda, un po’ all’americana e un po’ all’italiana. Vale a dire il sistema delle raccomandazioni. C’è da capire se il nostro funzionario del Sismi, allora solo capocentro a Milano, avrebbe fatto la fulminea carriera che lo ha portato ad essere, appunto, il “numero due” del servizio, se non si fosse trasformato in “falco” e avesse appoggiato la posizione di Jeff Castelli. Sembra uno di quei casi in cui la politica e le convinzioni personali pesano molto meno dell’opportunismo di carriera e di potere. Dal punto di vista tecnico conta poco, ma dal punto di vista politico poter intervenire su alcuni meccanismi deviati, quando i protagonisti sono uomini che debbono sovrintendere alla sicurezza dello Stato, potrebbe avere il suo peso. Soprattutto se, come dice il ministro dell’Interno Amato, il governo si appresta a mettere mano ad una riforma dei servizi di informazione e sicurezza.

Anche perché questa storia non è finita, ed anzi si è allargata. Proprio ieri il Parlamento europeo ha approvato la relazione di Claudio Fava (Ds) sui voli Cia e sulle “extraordinary rendition” in Europa, estendendo di altri sei mesi il lavoro della commissione che si sta occupando della cosa. Ed ha anche approvato l’emendamento di Giusto Catania (Prc) che invita il governo italiano a rinnovare la richiesta di estradizione degli agenti Cia, negata da Castelli, “ove si presentino modificate le condizioni che hanno determinato la precedente decisione”.

Questa dell’Imam Abu Omar è una vicenda che ha una valenza politica molto più allargata di quello che è stato un caso di sequestro, e riguarda l’autonomia decisionale di una nazione che, pur nell’ambito delle sue alleanze, resta sovrana. E una nazione sovrana ha la necessità di un servizio segreto che, pur nell’ambito delle alleanze, resti sovrano nelle sue azioni. Se ci sono problemi, che sia il potere politico a risolverli e a fornire le direttive. Altrimenti diventa imperante il sistema degli “amici degli amici”. Che, dalle parti nostre, è indice di un sistema mafioso.

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