Da Il Resto del Carlino del 21/02/2006
Originale su http://ilrestodelcarlino.quotidiano.net/art/2006/02/21/5404299

CASO ORLANDI

Si accendono i riflettori sul giallo. I familiari: 'Riaprite quel fascicolo'

A 'Chi l'ha visto' l'appello dei fratelli di Emanuela, la quindicenne rapita nel 1983

di AA.VV.

Roma, 20 febbraio 2006 - Si accendono di nuovo i riflettori sulla vicenda di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana, scomparsa in circostanze misteriose il 22 giugno 1983.

''Chiediamo che sia riaperto il caso. Riteniamo che sia un dovere accertare la verita' nel rispetto di nostra sorella Emanuela e di nostro padre Ercole. Lo Stato Vaticano chieda la riapertura del caso''. E' quanto hanno chiesto Natalina e Pietro Orlandi, la sorella ed il fratello di Emanuela, la quindicenne rapita 23 anni fa, durante la trasmissione televisiva ''Chi l'ha visto'' andata in onda su Raitre.

NEL MISTERO
Sarebbe stato un esponente della banda della Magliana, legato al boss Enrico «Renatino» de Pedis, il sedicente Mario che sei giorni dopo il rapimento di Emanuela Orlandi telefonò ai familiari della 15enne cittadina vaticana con l'evidente intento di depistare. A riconoscerlo, dandogli nome e cognome, è stato uno dei fondatori della banda, Antonio Mancini, poi divenuto collaboratore di giustizia, tuttora sotto protezione, raggiunto dalla trasmissione «Chi l'ha visto?».

«Se volete saperne di più sul sequestro Orlandi, andate a vedere nella basilica di Sant'Apollinare» (in piazza delle Cinque Lune a Roma, quella dove tuttora riposa la salma di De Pedis): «è da questa telefonata - spiega Federica Sciarelli - che è partita l'idea di far sentire a Mancini, pentito giudicato attendibile, la registrazione di un'altra chiamata, quella che l'uomo che diceva di chiamarsi Mario fece a casa Orlandi la settimana dopo il rapimento, assicurando che Emanuela sarebbe tornata presto e dimostrando di sapere particolari (sul matrimonio della sorella, ad esempio, ndr) che solo i familiari conoscevano. Mancini ha ascoltato con attenzione quel nastro, registrato all'epoca con un apparecchio comprato dalla stessa famiglia, e ha assicurato di aver riconosciuto a chi apparteneva la voce».

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