Da Corriere della Sera del 20/03/2006

Il sindaco: «Infangava Calabresi». Fo: «Menzogna storica». L'ex legale Contestabile (FI): «Atto ineccepibile, ma restano i dubbi»

Lapide di Pinelli, scontro sul blitz di Albertini

Milano, la parola «ucciso» sostituita con «morto». Gli anarchici: «Teniamole entrambe»

di Maurizio Giannattanasio

MILANO — È bastato un participio: «morto» al posto di «ucciso». È bastato un blitz notturno. Uno scalpellino, due tecnici del Comune di Milano, qualche curioso che ancora si attardava in piazza Fontana alle prime luci dell'alba, per sostituire la vecchia targa posta dagli studenti in ricordo di Giuseppe Pinelli, l'anarchico morto tre giorni dopo la strage di piazza Fontana volando da una finestra della Questura, con quella del Comune. Via la vecchia scritta: «A Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico ucciso innocente nei locali della Questura di Milano il 15 dicembre 1969». Dentro la nuova: «A Giuseppe Pinelli ferroviere anarchico innocente morto tragicamente nei locali della Questura di Milano». Sopra il logo del Comune.
«Un atto dovuto» secondo il sindaco Gabriele Albertini, che ha mantenuto una promessa fatta a Gemma Capra, la vedova del commissario Luigi Calabresi, accusato dalla sinistra di essere stato coinvolto nella morte di Pinelli e barbaramente ucciso dagli extraparlamentari. «Non vedo perché la memoria di Calabresi debba essere infangata da una targa che lo accusava di essere un assassino — attacca Albertini —. Calabresi è un benemerito della città, gli è stata conferita la medaglia d'oro del presidente della Repubblica. E c'è una sentenza di assoluzione nei suoi confronti». Un invito anche ai milanesi: se vogliono vederla, facciano in fretta perché sicuramente verrà distrutta. Ieri sulla lapide è comparsa una pecetta di carta con la parola «ucciso» che nasconde «morto». Sopra la bandiera anarchica. Cinque cartelli che rivendicano l'altra verità, quella di Pinelli ammazzato dalla polizia. Ma gli anarchici dello storico circolo del Ponte della Ghisolfa rispediscono al mittente qualsiasi velleità distruttiva: «Giovedì faremo un presidio in piazza Fontana, insieme al Leoncavallo e a Rifondazione — spiega Mauro De Cortes, portavoce del circolo —; ma non abbiamo alcuna intenzione di rimuovere o danneggiare lapidi, chiediamo che la nostra vecchia lapide venga rimessa al suo posto accanto a quella nuova».
La polemica è durissima. Nonostante la preghiera della vedova Calabresi: «Non vedo nessuno scandalo o motivi di divisione per Milano. La decisione di ricordare con una targa ufficiale la memoria di Pinelli mi sembra giusta. Ma insieme mi sembra corretto rispettare le sentenze della magistratura, che hanno escluso con fermezza ogni responsabilità di mio marito e che si sia trattato di omicidio. Spero che le forze politiche tutte abbiano la forza e il coraggio per evitare nuove laceranti polemiche».
Il centrosinistra in coro richiede che sia rimessa al suo posto la vecchia targa. E pone dubbi sulla tempistica dell'operazione a ridosso delle elezioni. Lo fa a nome di tutti l'ex prefetto Bruno Ferrante, candidato sindaco dell'Unione: «Trovo stupefacente che una decisione così storicamente delicata sia stata presa senza sentire il Consiglio comunale e la città». Ma Dario Fo, il Nobel che ha scritto due pièce
teatrali sulla morte di Pinelli ( Morte accidentale di un anarchico e Pum Pum. Chi è? La polizia!),
non ci sta: «È una cosa orrenda. È la menzogna storica che si fa verità». E lancia un messaggio a se stesso e alla sinistra: «Se la targa resterà al suo posto, dipende soltanto da noi, dalla sinistra. Se dormiamo, resta. Altrimenti no». Giura che non si tratta di un incitamento alla rivolta: «Ma è la prova che c'è la preoccupazione di far apparire che Pinelli sia morto per malattia o per morte naturale. Non si cancella così la storia con falsità, ipocrisie e trappole. È evidente la responsabilità di chi lo ha tenuto senza nessuna ragione dentro quella stanza. Pinelli era un uomo libero».
Ha molti dubbi anche un altro testimone della vicenda. Domenico Contestabile adesso è senatore di FI, ai tempi era l'avvocato difensore della famiglia Pinelli. «Atto ineccepibile dal punto di vista giurisdizionale perché la sentenza si è conclusa con la tesi del suicidio di Pinelli. Ma dal punto di vista delle mie convinzioni personali ho molti dubbi. Ci sono tante incongruenze e ancora ho la sensazione che non sia andata come ci è sempre stata raccontata. Purtroppo non ho le prove, ma non credo alla versione della giustizia».

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