Da La Repubblica del 13/03/2007
LA LETTERA. Una lettera del presidente della Repubblica al nostro giornale. Il capo dello Stato chiede più attenzione nell'informazione televisiva
Ex br in tv, chiedo rispetto per le vittime del terrorismo
di Giorgio Napolitano
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Caro Augias, la lettera indirizzatale dai famigliari dei carabinieri e degli agenti della Polizia di Stato barbaramente uccisi dalle Brigate Rosse a via Fani, nel corso del brutale rapimento dell'on. Moro, mi trova pienamente concorde. Anche nel mio messaggio di fine anno volli esprimere un chiaro richiamo al rispetto della memoria delle vittime del terrorismo e dunque al rispetto - in tutte le sedi - del dolore dei loro famigliari. Rinnovo perciò il mio fermo appello perché di ciò si tenga conto anche sul piano dell'informazione e della comunicazione televisiva. Il legittimo reinserimento nella società di quei colpevoli di atti di terrorismo che abbiano regolato i loro conti con la giustizia dovrebbe tradursi in esplicito riconoscimento della ingiustificabile natura criminale dell'attacco terroristico allo Stato e ai suoi rappresentanti e servitori e dovrebbe essere accompagnato da comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura.
Giorgio Napolitano
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Questa lettera del Presidente Napolitano, che ringrazio, riprende una richiesta avanzata dai familiari degli agenti e dei carabinieri assassinati in via Fani a Roma quando, nel 1978, l'onorevole Aldo Moro venne rapito dalle Br. I congiunti delle vittime chiedevano che si usasse maggior riguardo nell'intervistare ex brigatisti tenendo in considerazione le ferite riaperte ad ogni loro apparizione in Tv, magari in un'atmosfera distesamente colloquiale, dimentica delle tragedie di allora.
Credo che il punto di vista espresso dal presidente della Repubblica rispecchi i sentimenti della stragrande maggioranza degli italiani e mi pare di poterlo racchiudere nelle ultime parole del suo messaggio sulle quali tra poco tornerò. La lettera dei congiunti delle vittime, pubblicata nella mia rubrica venerdì scorso, denunciava in particolare l'insensibilità di una testata telegiornalistica che aveva intervistato l'ex brigatista Alberto Franceschini (fondatore nel 1970 con Renato Curcio del gruppo terroristico) nel luogo stesso dell'eccidio, luogo di "memoria storica" per la Nazione. A quella lettera hanno fatto seguito varie reazioni.
Mi ha colpito l'autocritica del direttore di Studio Aperto, Mario Giordano, che ha ammesso di non aver pensato alle conseguenze emotive che l'intervista avrebbe potuto provocare. Sbagliamo tutti, ammetterlo è segno di onesto coraggio. A meno che non mi sia sfuggito non mi pare invece che Claudio Martelli, conduttore del programma, abbia commentato. Il Tg1 diretto da Gianni Riotta ha intervistato Maria Ricci, vedova dell'appuntato Domenico. Da altre parti le reazioni sono state diverse, alcuni hanno obiettato che anche a chi si è macchiato di un delitto non si può continuare a chiedere continui atti di pentimento, una volta che abbia scontato la pena. È un'obiezione che risponde più che alle critiche alla loro caricatura. Nessuno chiede di continuare a battersi il petto per tutta la vita. Le pene comminate sono state severe e solo l'età dei colpevoli all'epoca dei fatti rende possibile che alcuni di loro dopo decenni di carcere escano in età ancora relativamente giovane. Stiamo parlando di persone che hanno militato nelle Brigate Rosse, o in altri gruppi terroristi che predicavano e praticavano la lotta armata, seminando dolore e provocando lutti, accecati dai loro inutili fantasmi, e non sempre hanno espresso rammarico o hanno condannato quegli atti nefandi. Certo, anche loro hanno diritto a reinserirsi nella società, anzi è doveroso che vengano aiutati, se davvero crediamo, in senso religioso o civile, alla redenzione. Tra il reinserimento e il salire in cattedra a fare lezione, o a diventare piccole star, o esperti da dibattito televisivo però ce ne corre. Tanto più che alla asimmetria di allora, assassini contro vittime, fa da specchio la asimmetria di oggi: piccoli divi contro familiari dimenticati nel loro oscuro dolore. Qui vengono le parole del Presidente che raccomanda. "Comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura". Questo davvero sembra di poterlo esigere da tutti.
Corrado Augias
Giorgio Napolitano
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Questa lettera del Presidente Napolitano, che ringrazio, riprende una richiesta avanzata dai familiari degli agenti e dei carabinieri assassinati in via Fani a Roma quando, nel 1978, l'onorevole Aldo Moro venne rapito dalle Br. I congiunti delle vittime chiedevano che si usasse maggior riguardo nell'intervistare ex brigatisti tenendo in considerazione le ferite riaperte ad ogni loro apparizione in Tv, magari in un'atmosfera distesamente colloquiale, dimentica delle tragedie di allora.
Credo che il punto di vista espresso dal presidente della Repubblica rispecchi i sentimenti della stragrande maggioranza degli italiani e mi pare di poterlo racchiudere nelle ultime parole del suo messaggio sulle quali tra poco tornerò. La lettera dei congiunti delle vittime, pubblicata nella mia rubrica venerdì scorso, denunciava in particolare l'insensibilità di una testata telegiornalistica che aveva intervistato l'ex brigatista Alberto Franceschini (fondatore nel 1970 con Renato Curcio del gruppo terroristico) nel luogo stesso dell'eccidio, luogo di "memoria storica" per la Nazione. A quella lettera hanno fatto seguito varie reazioni.
Mi ha colpito l'autocritica del direttore di Studio Aperto, Mario Giordano, che ha ammesso di non aver pensato alle conseguenze emotive che l'intervista avrebbe potuto provocare. Sbagliamo tutti, ammetterlo è segno di onesto coraggio. A meno che non mi sia sfuggito non mi pare invece che Claudio Martelli, conduttore del programma, abbia commentato. Il Tg1 diretto da Gianni Riotta ha intervistato Maria Ricci, vedova dell'appuntato Domenico. Da altre parti le reazioni sono state diverse, alcuni hanno obiettato che anche a chi si è macchiato di un delitto non si può continuare a chiedere continui atti di pentimento, una volta che abbia scontato la pena. È un'obiezione che risponde più che alle critiche alla loro caricatura. Nessuno chiede di continuare a battersi il petto per tutta la vita. Le pene comminate sono state severe e solo l'età dei colpevoli all'epoca dei fatti rende possibile che alcuni di loro dopo decenni di carcere escano in età ancora relativamente giovane. Stiamo parlando di persone che hanno militato nelle Brigate Rosse, o in altri gruppi terroristi che predicavano e praticavano la lotta armata, seminando dolore e provocando lutti, accecati dai loro inutili fantasmi, e non sempre hanno espresso rammarico o hanno condannato quegli atti nefandi. Certo, anche loro hanno diritto a reinserirsi nella società, anzi è doveroso che vengano aiutati, se davvero crediamo, in senso religioso o civile, alla redenzione. Tra il reinserimento e il salire in cattedra a fare lezione, o a diventare piccole star, o esperti da dibattito televisivo però ce ne corre. Tanto più che alla asimmetria di allora, assassini contro vittime, fa da specchio la asimmetria di oggi: piccoli divi contro familiari dimenticati nel loro oscuro dolore. Qui vengono le parole del Presidente che raccomanda. "Comportamenti pubblici ispirati alla massima discrezione e misura". Questo davvero sembra di poterlo esigere da tutti.
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