Da Corriere della Sera del 10/02/2006
L’Archivio centrale dello Stato pubblica i verbali del Consiglio dei ministri dal maggio ’48 al gennaio ’50
Celerini e riforme, i due volti del centrismo
La linea di De Gasperi tra lotta al comunismo e aperture sociali
di Paolo Franchi
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Riunioni difficili del Consiglio dei ministri ce ne sono state molte. Ma di certo poche possono reggere il confronto, per tensione e drammaticità, con le sedute del luglio 1948. Adesso possiamo leggerne il verbale, assieme a quelli di tutti i Consigli dei ministri del governo De Gasperi (maggio ’48-gennaio ’50), nel volume, curato per l’Archivio centrale dello Stato da Francesca Romana Scardaccione e prefato dal sovrintendente Aldo Guido Ricci, che inaugura la serie dedicata ai governi della prima legislatura. Un lavoro di grande importanza che, nel suo rigore scientifico, apre squarci nuovi e in parte imprevisti a chi voglia riflettere sui primi, decisivi anni, dell’Italia repubblicana. Non basta dire: ordine pubblico, il 15 luglio del ’48, all’indomani dell’attentato a Togliatti, con l’Italia bloccata dallo sciopero generale indetto dalla Cgil e sconvolta dagli scontri di piazza. Per De Gasperi, che apre la seduta mattutina, c’è «un evidente tentativo di sovvertire l’ordine costituzionale». Ma è a Scelba che tocca riferire. Il quadro è fosco, ma il ministro degli Interni non vuole drammatizzare più di tanto: «Non si può in sostanza essere malcontenti, considerata la grave minaccia che incombeva sul Paese». Certo, ci sono morti, feriti, centinaia di arrestati e di fermati, autoblindo della polizia sequestrate dai dimostranti e scomparse. Ma a Genova, dove «per alcune ore sembrava avesse il sopravvento l’iniziativa comunista», il centro della città è stato sgomberato da polizia e carabinieri. A Torino, dove i comunisti Moscatelli e Santhià «dirigono le operazioni» nell’ultimo stabilimento occupato, Fiat Mirafiori, Valletta «ha pregato di non intervenire in forze, perché è convinto che la cosa si risolva da sé». A Milano, rimossi i blocchi stradali, «regna la tranquillità».
E De Gasperi? Può darsi che non sia questa la volta buona, riconosce: ma i comunisti «hanno un piano pronto che intendono attuare al momento opportuno», dunque «non si può rimanere sul piede di pura attesa». E al guardasigilli liberale Grassi, che «raccomanda di tenersi nei limiti della Costituzione», replica che il problema non è lo sciopero generale, ma «il modo migliore per evitare le conseguenze». È a questo punto che la seduta viene interrotta: a Palazzo Chigi, per incontrare De Gasperi, sta arrivando Giuseppe Di Vittorio.
Si tratta della svolta decisiva, e, visto come era andata sin lì la riunione, anche sorprendente. «Dall’incontro ho avuto la sensazione che i comunisti vogliono porre fine allo sciopero, ma aspettano qualche appiglio per salvare le apparenze», riferisce infatti De Gasperi, che accetta l’esortazione di Fanfani a incontrare nuovamente in nottata (anche se Segni, Gonella e Piccioni si dichiarano «perplessi») i dirigenti della Cgil, che gli annunceranno la revoca dello sciopero generale. Ma, prima, c’è ancora il tempo per un rapido e istruttivo scambio di opinioni. Scelba insiste, «la soluzione per ora è calma», e però, aggiunge, se dovesse tornare grave «bisognerà affidare i poteri alle autorità militari». La replica di De Gasperi, così come la riporta seccamente il verbale, è quasi un compendio della nostra democrazia difficile: «Non condivide il parere di Scelba, particolarmente perché i militari, non conoscendo la situazione politica, generalmente trattano poco abilmente con gli avversari».
Lo sciopero, lentamente, rientra. Ma il clima resta tesissimo. Il 17 luglio, De Gasperi apre i lavori del Consiglio dei ministri chiedendo formalmente di tener presente che «se non si fosse trattato della vita di un uomo, Togliatti, il governo avrebbe risposto al tentativo insurrezionale comunista con ben maggiore efficacia». Pella e Giovannini chiedono di convocare Valletta, che ha detto di non aver subito violenze, per fargli cambiare versione; Saragat vorrebbe sapere da Scelba quanti e quali industriali sono «passati in Svizzera». Il ministro degli Interni promette di riferire, ma intanto avverte che il comportamento di Valletta «impedisce purtroppo di perseguire Moscatelli». In generale, non è contento dei magistrati, troppo garantisti, diremmo oggi: «Nel giro di 48 ore si avrà la libertà provvisoria di tutti gli arrestati». Fanfani esorta a non essere «troppo ottimisti»: il piano insurrezionale comunista c’è, «urge pertanto un contropiano». E se la prende anche lui con i magistrati: «I reati commessi dai parlamentari comunisti andrebbero puniti». Saragat è d’accordo, anche perché «non tutto il potenziale operativo dei comunisti è stato impiegato». Ma Scelba riferisce anche di quella che più tardi si sarebbe definita una contestazione da sinistra: a Genova, Torino e Milano «gli attivisti comunisti erano violenti contro i dirigenti confederali, (...) accusati di tradimento».
Lo scontro politico e sociale resterà durissimo e sanguinoso, ma il peggio sembra passato. I verbali del governo De Gasperi contribuiscono a scoraggiarne letture manichee: la repressione è dura, a tratti anche feroce, ma si intreccia con uno sforzo riformista coraggioso, specie nelle campagne. Il 6 agosto del ’48, a Segni che riferisce sugli stanziamenti per opere di bonifica, De Gasperi chiede seccamente: «E la riforma agraria?». Segni obietta che le bonifiche sono la precondizione delle riforme, e De Gasperi è ancora più netto: «Non si può disconoscere l’importanza della riforma, non si devono dare denari ai proprietari attuali». Nel Mezzogiorno si occupano le terre, altri scontri, altro sangue. Ma il 15 novembre del 1949 Scelba riferisce sulla Sicilia in termini, tutto sommato, assai equilibrati: quel movimento, anche se lo guidano comunisti e socialisti, non è visto come un nemico. Il 1° dicembre, il ministro degli Interni parla dell’ennesimo sciopero generale e del nuovo sangue scorso in Puglia, a Torremaggiore, informando il Consiglio «sull’azione degli agitatori». Jervolino, Pella e Giovannini si dichiarano «pienamente solidali» con lui. Anche De Gasperi, con ogni probabilità, è solidale. Ma chiede pure «se non sia possibile usare contro le dimostrazioni e le violenze mezzi di difesa che non siano le armi da fuoco». Sarà anche, come precisa, «un problema di carattere tecnico». Nell’Italia della fine degli anni Quaranta, però, e sulla bocca del presidente del Consiglio, non è una domanda da poco.
E De Gasperi? Può darsi che non sia questa la volta buona, riconosce: ma i comunisti «hanno un piano pronto che intendono attuare al momento opportuno», dunque «non si può rimanere sul piede di pura attesa». E al guardasigilli liberale Grassi, che «raccomanda di tenersi nei limiti della Costituzione», replica che il problema non è lo sciopero generale, ma «il modo migliore per evitare le conseguenze». È a questo punto che la seduta viene interrotta: a Palazzo Chigi, per incontrare De Gasperi, sta arrivando Giuseppe Di Vittorio.
Si tratta della svolta decisiva, e, visto come era andata sin lì la riunione, anche sorprendente. «Dall’incontro ho avuto la sensazione che i comunisti vogliono porre fine allo sciopero, ma aspettano qualche appiglio per salvare le apparenze», riferisce infatti De Gasperi, che accetta l’esortazione di Fanfani a incontrare nuovamente in nottata (anche se Segni, Gonella e Piccioni si dichiarano «perplessi») i dirigenti della Cgil, che gli annunceranno la revoca dello sciopero generale. Ma, prima, c’è ancora il tempo per un rapido e istruttivo scambio di opinioni. Scelba insiste, «la soluzione per ora è calma», e però, aggiunge, se dovesse tornare grave «bisognerà affidare i poteri alle autorità militari». La replica di De Gasperi, così come la riporta seccamente il verbale, è quasi un compendio della nostra democrazia difficile: «Non condivide il parere di Scelba, particolarmente perché i militari, non conoscendo la situazione politica, generalmente trattano poco abilmente con gli avversari».
Lo sciopero, lentamente, rientra. Ma il clima resta tesissimo. Il 17 luglio, De Gasperi apre i lavori del Consiglio dei ministri chiedendo formalmente di tener presente che «se non si fosse trattato della vita di un uomo, Togliatti, il governo avrebbe risposto al tentativo insurrezionale comunista con ben maggiore efficacia». Pella e Giovannini chiedono di convocare Valletta, che ha detto di non aver subito violenze, per fargli cambiare versione; Saragat vorrebbe sapere da Scelba quanti e quali industriali sono «passati in Svizzera». Il ministro degli Interni promette di riferire, ma intanto avverte che il comportamento di Valletta «impedisce purtroppo di perseguire Moscatelli». In generale, non è contento dei magistrati, troppo garantisti, diremmo oggi: «Nel giro di 48 ore si avrà la libertà provvisoria di tutti gli arrestati». Fanfani esorta a non essere «troppo ottimisti»: il piano insurrezionale comunista c’è, «urge pertanto un contropiano». E se la prende anche lui con i magistrati: «I reati commessi dai parlamentari comunisti andrebbero puniti». Saragat è d’accordo, anche perché «non tutto il potenziale operativo dei comunisti è stato impiegato». Ma Scelba riferisce anche di quella che più tardi si sarebbe definita una contestazione da sinistra: a Genova, Torino e Milano «gli attivisti comunisti erano violenti contro i dirigenti confederali, (...) accusati di tradimento».
Lo scontro politico e sociale resterà durissimo e sanguinoso, ma il peggio sembra passato. I verbali del governo De Gasperi contribuiscono a scoraggiarne letture manichee: la repressione è dura, a tratti anche feroce, ma si intreccia con uno sforzo riformista coraggioso, specie nelle campagne. Il 6 agosto del ’48, a Segni che riferisce sugli stanziamenti per opere di bonifica, De Gasperi chiede seccamente: «E la riforma agraria?». Segni obietta che le bonifiche sono la precondizione delle riforme, e De Gasperi è ancora più netto: «Non si può disconoscere l’importanza della riforma, non si devono dare denari ai proprietari attuali». Nel Mezzogiorno si occupano le terre, altri scontri, altro sangue. Ma il 15 novembre del 1949 Scelba riferisce sulla Sicilia in termini, tutto sommato, assai equilibrati: quel movimento, anche se lo guidano comunisti e socialisti, non è visto come un nemico. Il 1° dicembre, il ministro degli Interni parla dell’ennesimo sciopero generale e del nuovo sangue scorso in Puglia, a Torremaggiore, informando il Consiglio «sull’azione degli agitatori». Jervolino, Pella e Giovannini si dichiarano «pienamente solidali» con lui. Anche De Gasperi, con ogni probabilità, è solidale. Ma chiede pure «se non sia possibile usare contro le dimostrazioni e le violenze mezzi di difesa che non siano le armi da fuoco». Sarà anche, come precisa, «un problema di carattere tecnico». Nell’Italia della fine degli anni Quaranta, però, e sulla bocca del presidente del Consiglio, non è una domanda da poco.
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