La missione di sollecitazione ad Amnesty International

Documento aggiornato al 25/02/2004
Sembrò utile sollecitare l'intervento di Amnesty International; e a tal fine si inviò a Londra, accompagnato dall'ambasciatore Roberto Gaja, il professor Giuseppe Lazzati, rettore dell'Università Cattolica.
In appoggio a questa iniziativa, il 17 aprile, il Presidente del Senato Fanfani dichiarava che la condanna pronunciata per Aldo Moro, iniqua sotto ogni profilo, non esonerava alcuno dal rispetto della Costituzione e delle leggi che da essa derivano. Ma in quell'estremo momento non poteva sfuggire e non sfuggiva agli eletti del popolo l'ispirazione umanitaria dell'ardita speranza che uomini saggi avessero tempo e modo di prospettare appropriati consigli a quanti si erano attribuiti il potere di decidere della vita di un uomo. Anche così - aggiungeva il presidente Fanfani - si confermava la solidarietà del Senato della Repubblica con la famiglia e con il partito di Aldo Moro.
Fu l'ambasciatore Gaja a suggerire di rivolgersi ad Amnesty International; quindi, in una riunione privata che si svolse il 16 aprile in casa dell'onorevole Zaccagnini, si convenne che questo tentativo potesse essere fatto, per conto della famiglia Moro, dal professor Lazzati e dallo stesso ambasciatore Gaja. La sera stessa entrambi partirono per Londra dove, l'indomani, si incontrarono con il segretario generale di Amnesty International Ennals e con alcuni funzionari dell'organizzazione. Ad essi chiesero di rivolgere un appello attraverso la stampa per la salvezza del presidente Moro e, nello stesso tempo, di cercare di stabilire un contatto con i rapitori.
Venne fatto presente che, per prassi, Amnesty agisce soltanto su iniziativa di privati, che non poteva esercitare alcuna forma di mediazione o di negoziato con i rapitori, e che non intendeva essere coinvolta in azioni in cui fossero interessate altre organizzazioni.
Pur avendo assicurato che essi non rappresentavano in alcun modo il Governo italiano e che non avevano preso contatto con altre associazioni, riuscirono ad ottenere soltanto - data la affermata impossibilità istituzionale di Amnesty di esercitare forme di mediazione o negoziato con i rapitori la diramazione di un appello, fondato su motivi di ordine umanitario, ed esprimente la disponibilità di Amnesty a discutere con coloro che detenevano l'onorevole Moro i fatti che avevano suscitato la preoccupazione dell'organizzazione. Nel comunicato si precisava che Amnesty era stata contattata da persone vicine all'onorevole Moro e alla famiglia, in quanto l'organizzazione non operava a favore dei Governi, dei partiti politici e di altri gruppi di interesse, ma unicamente per il bene delle persone singole tenute prigioniere o incarcerate.
Nessuna risposta, tuttavia, fu data dai rapitori.
Successivamente, forse anche per sollecitare un cenno di disponibilità dei brigatisti, rappresentanti di Amnesty International chiesero di poter visitare le carceri italiane, anche quelle di massima sicurezza. Il Governo manifestò disponibilità, ed il Sottosegretario alla Presidenza onorevole Franco Evangelisti ricevette a Palazzo Chigi alcuni dirigenti della divisione europea di quel Segretariato internazionale.
Ma - come ha dichiarato l'onorevole Craxi - un trattamento più umanitario nelle carceri costituiva per i brigatisti, secondo l'avvocato Guiso, solo un elemento integrativo e non principale di trattativa per la liberazione di Moro.
 
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