Il tentativo di estorcere rivelazioni all'onorevole Moro

Documento aggiornato al 25/02/2004
La gestione del sequestro da parte delle BR conferma quanto sinora sostenuto. E' difficile dire se la morte di Moro era stata decisa sin dall'inizio. Certo è che le BR del 1978 non erano più quelle del 1974, quando avevano liberato il giudice Sossi, ed è certo che nei documenti immediatamente precedenti al sequestro i terroristi avevano escluso azioni meramente dimostrative. Nell'ambito di questa logica, Moro avrebbe potuto salvarsi soltanto se le BR avessero potuto conseguire un risultato destabilizzante del suo progetto politico, analogo a quello che poteva venire dalla sua morte. Le strade che i brigatisti avevano, alternative all'omicidio, erano l'acquisizione di gravissime rivelazioni da parte di Moro sul ruolo eventualmente rivestito dalla DC in alcune grandi tragedie nazionali (ed essi tentarono in particolare di avere notizie sul coinvolgimento della Democrazia cristiana nella strage di piazza Fontana) oppure la liberazione di alcuni detenuti per terrorismo, liberazione che, per il numero degli interessati e per il ruolo da essi rivestito nelle organizzazioni terroristiche, potesse segnare una lacerazione irrimediabile sul terreno della lotta al terrorismo e della riforma dello Stato, obiettivi essenziali del governo che sarebbe nato il 16 marzo, ferocemente osteggiati, come s'è visto, dai terroristi.
Moro non rivelò nulla di ciò che da lui si attendevano le BR, e i terroristi dovettero accorgersi quasi subito di aver sbagliato anche nelle loro analisi. "Ritengo che l'onorevole Moro non abbia detto nulla" ha dichiarato Morucci alla Commissione, aggiungendo che se il prigioniero avesse avuto qualche cedimento lo si sarebbe saputo.
Nella risoluzione "campagna di primavera" le BR hanno scritto che Moro è stato "coerente fino all'ultimo (fino a restarne vittima) con la perfezionatissima 'politica del non dire' " (pag. 18). La lettura comparativa dei nove comunicati mette in luce la crescente delusione dei terroristi. Nel primo comunicato, dopo avere avvertito che era in corso una campagna di "controguerriglia psicologica" i terroristi informavano che "tutto ciò che riguarda il processo di Aldo Moro" sarebbe stato trattato pubblicamente. L'interrogatorio del prigioniero, avvertiva il secondo comunicato, aveva ad oggetto "le politiche imperialiste ed antiproletarie di cui la DC è portatrice"; e tende "ad individuare con precisione le strutture internazionali e le filiazioni nazionali della controrivoluzione imperialista; a svelare il personale politico-economico-militare sulle cui gambe cammina il progetto delle multinazionali; ad accertare le dirette responsabilità di Aldo Moro per le quali, con i criteri della GIUSTIZIA PROLETARIA verrà giudicato".
Nel comunicato n. 3 i brigatisti informavano che l'interrogatorio proseguiva "con la completa collaborazione del prigioniero" il quale aveva "cominciato a fornire le sue 'illuminanti risposte' "; dopo ben tredici giorni (il comunicato n. 3 è datato 29 marzo) le BR dovevano ammettere che il loro prigioniero non aveva "detto tutto", ma aveva solo "incominciato". Pienamente consequenziale è l'affermazione successiva: "le informazioni che abbiamo così modo di recepire, una volta verificate verranno rese note al movimento rivoluzionario". In questo passaggio sono due le affermazioni che colpiscono; le informazioni prima di essere divulgate avrebbero dovuto essere verificate, come se non potessero essere divulgate immediatamente; inoltre il destinatario di queste informazioni non è più "il popolo", come nel primo comunicato, ma solo "il movimento rivoluzionario".
In realtà le BR cominciavano a veder vacillare il loro primo obiettivo (acquisire da Moro informazioni che avessero effetto destabilizzante nei confronti della nuova alleanza politica) ed erano nella situazione di dover scegliere un'altra strada; perciò da un lato prendevano tempo, ponendo condizioni alla divulgazione delle pretese rivelazioni, e dall'altro cominciavano a manifestare la decisione di uccidere il prigioniero ("il tribunale del popolo saprà tenere in debito conto le responsabilità di Moro", minacciava il terzo comunicato), cosa che rese più stringente la proposta di liberazione di alcuni detenuti per terrorismo. Nei successivi comunicati, infatti, diventò costante la minaccia di morte di Moro, mentre diminuì il rilievo che i terroristi conferivano all'interrogatorio del sequestrato. Ma fu Peci a rivelare l'importanza che avrebbero avuto per le BR eventuali gravi rivelazioni, quando dichiarò alla Commissione che Moro avrebbe avuto salva la vita se avesse parlato.
Nel quarto comunicato le BR annunciavano "la prevedibile durezza" del "giudizio popolare", ma non facevano cenno al contenuto dell'interrogatorio. Si ritornava invece alle risposte di Moro nel quinto comunicato: "L'interrogatorio del prigioniero prosegue e, come abbiamo già detto, ci aiuta validamente a chiarire le linee antiproletarie, le trame sanguinose e terroristiche che si sono dipanate nel nostro paese ... " E si confermava, forse in replica ad alcune obiezioni interne, che "tutto verrà reso noto al popolo e al movimento rivoluzionario". Nella seconda parte dello stesso comunicato però le BR ribadivano la minaccia di morte, invitando i militanti del terrorismo a "concentrare l'attacco sulle strutture e gli uomini che ne sono (del SIM, n.d.C.) i fondamentali portatori".
Il sesto comunicato (del 15 aprile) annuncia la fine dell'interrogatorio e la condanna a morte del prigioniero; ma le BR erano costrette a riconoscere il fallimento del primo obiettivo che si erano proposte di raggiungere, quando scrivevano nella parte centrale del comunicato: "Non ci sono 'clamorose rivelazioni da fare' ".
Il 18 aprile, lo stesso giorno in cui si scoprì la base di via Gradoli, venne rinvenuto - come già detto in altra parte - un volantino apparentemente proveniente dalle BR, contrassegnato con il numero 7 (quello precedente aveva il n. 6). Il comunicato annunciava che Aldo Moro era stato ucciso e che il suo corpo era immerso "nei fondali limacciosi del Lago Duchessa".
Il comunicato - come riferito nel capitolo terzo - venne da molti ritenuto apocrifo per la forma approssimata con la quale era redatto e la discontinuità del contenuto rispetto ai volantini precedenti. Nonostante questi dubbi suscitò un grave allarme anche perché quello precedente (n. 6) aveva annunciato la condanna a morte del prigioniero e perché ricorreva il 18 aprile (anniversario del vistoso successo elettorale della DC nel 1948, al quale il comunicato si richiamava).
Le BR nel comunicato successivo, contrassegnato con il n. 7, ne denunciarono il carattere apocrifo addossandone anzi la paternità agli organi dello Stato.
 
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