La lacerazione nelle BR

Documento aggiornato al 25/02/2004
Esaurito l' "interrogatorio" del prigioniero le BR consultarono, nella seconda metà di aprile, tutte le colonne e tutte si pronunciarono per l'assassinio del prigioniero se non ci fosse stata una trattativa pagante per le BR.
La Commissione ha indagato per accertare se un qualche ruolo nella decisione finale abbiano avuto anche i detenuti appartenenti al cosiddetto nucleo storico, quei brigatisti che fondarono l'organizzazione o che vi appartennero fin dall'inizio e che all'epoca dei fatti erano processati dinanzi alla Corte d'Assise di Torino per il sequestro del giudice Mario Sossi e per altri reati terroristici.
Sui rapporti che in quel periodo intercorsero tra terroristi detenuti ed organizzazione esterna la Commissione si è trovata dinanzi a due versioni non perfettamente coincidenti tra loro. La prima è quella dell'avvocato Giannino Guiso - che per conto del PSI prese contatti con il "nucleo storico" - il quale ha insistito sulla mai interrotta continuità di una comunicazione tra i brigatisti detenuti e quelli liberi, attraverso i familiari dei primi. Dovunque ci sono uomini circola l'informazione - ha spiegato il legale - e neanche il carcere più chiuso può impedire che notizie filtrino dall'esterno verso l'interno e viceversa. Inoltre in quel periodo si celebrava il processo in Corte d'Assise e poiché si trattava del primo processo mai celebrato ad un settore così consistente del terrorismo, grandissima era l'attenzione dei mezzi di informazione, c'era un vasto pubblico che seguiva il dibattimento: i brigatisti esprimevano perciò attraverso comunicati collettivi, o anche singolarmente, giudizi, opinioni. valutazioni che giungevano certamente ai sequestratosi di Aldo Moro, o mediante i mass-media o mediante singoli "corrieri". L'avvocato Guiso non ha invece spiegato se i terroristi detenuti avessero ricevuto concrete informazioni dall'esterno.
L'altra versione è di Alfredo Buonavita, processato a Torino in quel periodo e dissociatosi attivamente dal terrorismo mentre scontava in carcere la pena definitivamente inflittagli per vari reati. Anche secondo Buonavita i contatti c'erano ed erano tenuti dai familiari, ma in quel periodo, proprio perché gli esterni avevano sequestrato Moro, si era deciso di ridurre al minimo i contatti per il timore che i prevedibili pedinamenti dei familiari conducessero la polizia sulle orme dei ricercati. Qualche rapporto comunque c'era stato, ma non continuativo. I detenuti discutevano e poi qualcuno, forse Curcio, attraverso i suoi canali, faceva giungere all'esterno il messaggio.
Buonavita ha escluso che i detenuti fossero stati consultati, come lo erano state le colonne BR, sulla sorte di Moro: essi infatti non erano una colonna né una struttura organizzata. Erano un gruppo casualmente insieme perché avrebbero dovuto sottostare ad un identico processo, ma che dopo il processo sarebbero stati di nuovo sparpagliati in diversi istituti penitenziari.
La loro possibilità di influire sulle azioni specifiche dei terroristi esterni era minima: "rispetto a questo problema (sequestro Moro) noi non siamo in grado di condizionare l'organizzazione, come non l'abbiamo mai condizionata rispetto ad un'azione specifica". In ordine al sequestro Moro "l'unica cosa che potevamo fare noi era questa: da una parte cercare di recepire che taglio danno, che interpretazione danno a questa azione in corso e gestirla anche noi, fiancheggiando l'organizzazione rispetto al processo, visto che noi siamo in un'aula del palazzo di giustizia; d'altra parte, quello che può esserci... di fatto delegato è il problema dei prigionieri per cui noi ci siamo attivati rispetto a loro unicamente... in termini di comunicazione... dettare secondo noi, quali erano i termini precisi e possibili per affrontare il problema dei prigionieri"
Per i detenuti la cosa importante era il riconoscimento della qualificazione di prigionieri politici, e perciò avevano invitato gli esterni a non fare nomi e a porre il problema in modo politico: "parlate genericamente di prigionieri perché sicuramente questo vi lascia aperto più spazio per trattare". Questa informazione era uscita dal carcere, secondo Buonavita, perché qualcuno si era incaricato di farla uscire, ma non aveva avuto alcun esito. L'avvocato Guiso dette loro l'impressione che qualche spazio stesse aprendosi, ma poi si accorsero, quando venne proposto l'ultimatum con i tredici nomi, che non c'era alcuna volontà di trattare.
Può ritenersi, sulla scorta di questi elementi, che vi furono rapporti sporadici tra i due gruppi di terroristi ma che non si manifestò una compartecipazione del nucleo storico né alla gestione del sequestro né al suo tragico epilogo. La versione data da Buonavita appare più ragionevole e più argomentata e perciò, sulla base di quanto è sinora noto, più vicina al vero.
E' d'altra parte spiegabile che l'avvocato Guiso abbia insistito sull'esistenza di rapporti pieni e continui tra i due gruppi di terroristi. In tal modo egli ha cercato di valorizzare il ruolo di mediatore affidatogli dal segretario del PSI che non produsse alcun risultato e che forse indusse in errore qualche interlocutore del legale il quale credette davvero che la questione potesse risolversi - anche in base ad informazioni non attendibili - sul piano della trattativa piuttosto che su quello della piena e generale azione degli organi istituzionali.
 
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