Le reazioni nell'ambito di Autonomia Operaia all' "operazione Moro"

Documento aggiornato al 25/02/2004
L'agguato di via Fani e il sequestro dell'onorevole Moro provocarono reazioni contrastanti nell'ambito dell'Autonomia Operaia.
Vale la pena di riportare i giudizi di alcuni personaggi dell'Autonomia che, pur espressi in momenti e situazioni diverse, sono rappresentativi del ventaglio delle posizioni assunte all'indomani dell'episodio.
Oreste Scalzone, parlando all'Università di Roma il 5 aprile, espresse una valutazione politica positiva dell'azione così riportata da un quotidiano del 6 aprile 1982: "Dobbiamo smetterla di discutere delle Brigate Rosse, dobbiamo riflettere sulle conseguenze delle loro azioni; sembra chiaro che lo Stato dopo il rapimento Moro non è uscito rafforzato, ma anzi indebolito, il che apre nuove possibilità; dobbiamo decidere come sfruttare queste possibilità, come accelerare questo processo di destabilizzazione". Toni Negri, molti mesi più tardi, quando era in corso l'inchiesta giudiziaria sull'Autonomia, espresse un giudizio opposto: "l'autonomia è chiusa, con lo sviluppo dell'affare Moro, nella morsa tra terrorismo e repressione; i suoi spazi sociali sono bloccati dalla criminalizzazione crescente dei comportamenti autonomi che il governo dell'emergenza teorizza come risposta al terrorismo".
Marco Barbone ha riferito alla Commissione la sorpresa ed anche la preoccupazione dei gruppi armati milanesi gravitanti nell'area dell'Autonomia per il prevedibile accentuarsi della repressione. Tuttavia a questo atteggiamento critico si accompagnava la comprensione dell'obiettivo delle BR. "La scelta di Aldo Moro ha detto Barbone - si spiegava da sola... Era la scelta di quel personaggio, di quell'uomo politico che stava operando un raccordo, stava portando avanti un'operazione politica di avvicinamento del Partito comunista italiano all'area di governo. In lui si voleva colpire questo assetto dello Stato imperialista delle multinazionali, l'asse portante della ristrutturazione capitalistica in Italia, si intravedeva in lui, si leggeva appunto il suo lavoro politico- nel volere avvicinare il Partito comunista e quindi strati di classe, strati di masse lavoratrici all'interno del progetto della Democrazia cristiana".
Entusiasta fu il consenso di Franco Piperno all'impresa, pubblicamente espresso nell'articolo "Dal terrorismo alla guerriglia", apparso su Pre-print (supplemento a Metropoli n. 0). Egli non si fermò ad un'esaltazione acritica, ma prospettando l'esigenza di "coniugare la terribile bellezza del 12 marzo a Roma con la geometrica potenza di via Fani", avanzò la proposta di saldare in un unico progetto le azioni delle "avanguardie" militari e la violenza diffusa del "movimento".
Nei confronti della "campagna di primavera" condotta dalle Brigate Rosse, dalla strage di via Fani fino ed oltre l'assassinio di Aldo Moro, si possono dunque delineare, nell'ambito dell'arca di Autonomia Operaia, almeno tre posizioni principali tra loro divergenti:
a) da un lato ci fu chi colse nell'azione delle BR un "salto di qualità" della lotta armata, un esempio di efficienza ed organizzazione tale da mostrare la reale debolezza dello Stato e la concreta possibilità di "colpirlo al cuore ";
b) un altro punto di vista fu espresso da chi rilevò soprattutto la prevaricazione compiuta dalle BR nei confronti del "movimento", imponendogli d'autorità tempi e scadenze e contribuendo ad accentuare l'azione dei corpi repressivi dello Stato proprio nei confronti dell'Autonomia Operaia che raccoglieva elementi non clandestini;
c) ci fu infine chi - riscontrando la disomogeneità esistente sul piano ideologico, strategico e militare tra il "partito armato" delle BR e la pratica di massa del "movimento" - sottolineò la necessità di un'azione diretta a "coniugare" i due poli, ad accentuarne la complementarità politica ed organizzativa.
 
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