I rapporti con Prima Linea e le altre organizzazioni terroristiche

Documento aggiornato al 25/02/2004
La notizia della strage di via Fani, secondo le deposizioni rese da Marco Barbone e Marco Donat-Cattin, trovò Prima Linea e le altre formazioni terroristiche minori, diffuse soprattutto nell'Italia settentrionale, assolutamente ignare e soprattutto impreparato a sostenere l'accentuata militarizzazione dello scontro che provocava la spettacolare azione delle Brigate Rosse. La loro sorpresa fu tanto più grande in quanto ritenevano addirittura che le Brigate Rosse vivessero un momento di crisi di prospettive, e ne consideravano prova la campagna di invalidamente di piccoli e medi esponenti della Democrazia cristiana, che aveva dato loro la sensazione di uno scadimento dell' "intelligenza politica" dei brigatisti, e comunque della loro capacità: "come se non sapessero tirar fuori nulla di meglio".
Pare che a quell'epoca Prima Linea non avesse contatti con le Brigate Rosse già da un anno. Andava invece avviando un processo di unificazione con le Formazioni Combattenti Comuniste. Il sequestro Moro era un fatto nuovo che costringeva tutte queste organizzazioni alla riconsiderazione del ruolo "trainante" che le BR dimostravano di voler giocare sulla scena della lotta armata, e all'adeguamento conseguente delle loro ipotesi politiche e militari.
Fu perciò cercato un contatto con le Brigate Rosse e a Milano si incontrarono alcuni esponenti delle BR e due rappresentanti del "comando unificato" di PL e delle FCC; al primo incontro ne seguirono altri, senza però che si definisse un vero e proprio rapporto di collaborazione.
In un primo tempo le BR si dimostrarono molto sicure, non chiesero nessun aiuto, non aderirono a dibattiti ad alcun livello, non spiegarono quello che stava succedendo, e neppure intendevano parlare - nonostante le promesse fatte nei primi comunicati - degli sviluppi del cosiddetto "processo popolare". Bonisoli e Azzolini accennarono alla possibilità di protrarre il sequestro anche per parecchi mesi e di abbinarlo ad altro sequestro da compiere a Milano nell'ambiente confindustriale (si fece l'esempio del presidente della Confindustria Guido Carli: la notizia del progetto è stata confermata anche da Patrizio Peci).
Peci e Savasta sono stati univoci nel negare che la richiesta di azioni militari avanzata dalle BR alle altre organizzazioni mirasse ad "alleggerire" la pressione degli investigatori; secondo Peci alle BR interessava invece che "durante il caso Moro, si esprimesse al massimo il livello politico militare" ma soprattutto affermare l'egemonia delle stesse BR sul complesso del "partito armato"; per Savasta, occorreva sfruttare "la possibilità di ampliare il fronte di combattimento e la possibilità di un'unità di campagna nella campagna di primavera".
 
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