15. Il milanese "Armando"

Documento aggiornato al 27/12/2004
Qualche riferimento al servizio segreto sovietico (KGB) è stato fatto da
alcuni esponenti di Prima Linea. Roberto Sandalo ha dichiarato alla Commissione di aver appreso da Marco Donat-Cattin dell'esistenza di un certo "Armando" di Milano che aveva procurato armi a Prima Linea, alle BR, ai PAC e ai CO.CO.RI. e della probabile appartenenza del medesimo al KGB. Sandalo ha anche precisato che quando Donat-Cattin parlava di KGB intendeva genericamente riferirsi al servizio segreto di un qualsiasi paese dell'Est.
Donat-Cattin, dopo aver precisato di non aver conosciuto personalmente "Armando", ha confermato tale convincimento, che ha tuttavia definito frutto di sue deduzioni. Non è pensabile - ha detto in sostanza Donat Cattin - che i palestinesi possano aver fatto pervenire alle organizzazioni terroristiche italiane armi di produzione russa senza il consenso del governo sovietico che ad essi le ha fornite. Da qui il convincimento che "Armando", che era stato l'organizzatore di una di queste importazioni, fosse persona legata ad un servizio dell'Est.
Analoghe considerazioni ha fatto ai giudici Fabrizio Giai che tale ipotesi discusse con Marco Donat-Cattin.
La palese contraddizione tra queste dichiarazioni e l'altra, fatta sempre da Donat-Cattin, secondo la quale il FPLP si limitò a mettere in contatto "Armando" con un mercante d'armi, è stata risolta da Donat-Cattin con l'affermazione che il FPLP è l'organizzazione palestinese maggiormente influenzata dai sovietici.
Il milanese "Armando" è stato identificato come Maurizio Folini, nato a Milano il 17 agosto 1953, uomo di fiducia di Oreste Scalzone che di esso si serviva per i lavori più sporchi e pericolosi nell'ambito delle attività illegali dei CO.CO.RI. e di Metropoli. Si è già parlato del carico di armi che Folini importò in Italia dal Libano e della successiva distribuzione delle stesse alle varie organizzazioni.
Dalle testimonianze di coloro che l'hanno conosciuto, Folini risulta essere un avventuriero estremamente loquace che, dopo aver militato nei CO.CO.RI., divenne ad un dato momento uno spregiudicato trafficante in ogni genere di loschi affari. Consigliato da Scalzone ad Alfredo Azzaroni e ad Anna Maria Granata come l'uomo adatto per smerciare un quadro rubato raffigurante un soggetto sacro, egli, dopo aver declinato l'offerta con la giustificazione che in Medio Oriente "non interessano santi e madonne" chiese se "i compagni napoletani erano capaci di rubare altre cose più facilmente smerciabili o di piazzare a Napoli dollari falsi".
Alla Granata e ad Azzaroni, che non a caso gli aveva affibbiato il soprannome di "Corto Maltese", Folini confidò che suo padre era un imprenditore edile molto introdotto in Medio Oriente e che, grazie a ciò, egli aveva potuto crearsi una rete di amicizie nella zona ed entrare in contatto anche col colonnello Gheddafi. Ai due Folini chiese se potevano trovare persone disposte a gestire una radio o una libreria a Napoli, attività per le quali egli si disse in grado di procurare finanziamento libici. In cambio egli pretendeva un appoggio logistico per un secondo carico di armi che aveva intenzione di introdurre in Italia.
Questi progetti non ebbero però alcun seguito.
Secondo Enrico Pasini-Gatti la stessa sera in cui lo conobbe, ad una cena alla quale partecipavano Azzaroni e la Granata, Folini avrebbe dichiarato di poter importare armi dalla Libia, a condizione però che fossero destinate a movimenti insurrezionali o di massa e non ad organizzazioni di tipo BR o Prima Linea. Sempre a dire di Pasini-Gatti, Folini si sarebbe anche vantato di incontrarsi periodicamente col colonnello Gheddafi.
Nel novembre del 1978 Folini intraprese un viaggio in automobile in compagnia di una ragazza conosciuta a Roma: Rosanna Mangiameli. Costei ha raccontato che, giunti dalla Jugoslavia alla frontiera bulgara, furono trattenuti per molte ore e ripetutamente ed attentamente perquisiti. Alla ragazza, allarmatissima, Folini assicurò che non era il caso di preoccuparsi, dato che la polizia bulgara era stata così severa perché aveva trovato sull'auto un timbro che permetteva di fabbricare passaporti falsi per gli appartenenti alla resistenza palestinese.
Alla Mangiameli, Folini confidò infine di essere un agente del KGB. t da notare che la relazione con la ragazza era piuttosto superficiale, tant'è che solo in quell'occasione la Mangiameli apprese, dalla lettura del passaporto, la vera identità di Folini, fino ad allora a lei noto come Armando. Sempre secondo la ragazza Folini, giunto a Damasco, incontrò due giovani palestinesi, uno dei quali aveva studiato in Italia, a Perugia.
Folini è oggi imputato, in stato di latitanza, per diversi reati: davanti alla magistratura milanese per aver organizzato insieme ad Oreste Scalzone ed altri la banda armata CO.CO.RI. - Metropoli e per aver partecipato il 27 agosto 1976 alla rapina in danno del quotidiano "Il Giorno"; davanti a quella romana per aver importato clandestinamente in Italia un ingente quantitativo di armi nonché per detenzione delle medesime. Attualmente risulta risiedere, dal marzo 1981, in Arabia Saudita. Concordi, invece, nell'escludere ogni rapporto della loro organizzazione con i servizi sovietici sono stati tutti i pentiti di provenienza BR. In particolare Antonio Savasta, che tra essi è certamente quello che ha occupato all'interno dell'organizzazione la posizione gerarchicamente più avanzata, in quanto membro dell'esecutivo dal gennaio 1981, ha dato alla Commissione informazioni ampie su questo tema. A suo avviso, non soltanto le BR non hanno mai avuto rapporti con i servizi sovietici, ma hanno sempre marcato la loro autonomia bollando, nei documenti, la politica dell'URSS come socialimperialista.
Come si è già riferito, le BR, secondo Savasta, erano preoccupate per la linea politica tenuta dalla RAF, giudicata filosovietica.
La posizione di diffidenza e di ripulsa di ogni rapporto con i sovietici è stata per lungo tempo unanime all'interno dell'organizzazione. Solo recentemente alcuni militanti - e Savasta tra questi - avevano cominciato a dubitare della giustezza di questa linea e a sostenere che si dovesse modificarla.
Le analisi politiche delle BR avevano portato alla conclusione che, per l'acutizzarsi della situazione internazionale, caratterizzata dallo scontro sull'installazione di missili nucleari, l'URSS sarebbe stata ben presto "costretta" ad appoggiare un'organizzazione come le BR.
Savasta ed altri chiedevano che, conseguentemente, si attenuasse la posizione di diffidenza verso l'URSS e si cercasse di stabilire un rapporto.
Esso non avrebbe però dovuto consistere in uno scambio di informazioni o in forniture di armi a livello dei servizi segreti, ma in "un vero e proprio rapporto politico, sempre stando attentissimi a che tipo di rapporto politico".
Questa tesi risultò però minoritaria, all'interno dell'esecutivo, mentre riscosse un certo successo all'interno delle carceri.
La posizione della maggioranza dell'esecutivo è stata così sintetizzato da Savasta: "Mi si opponeva che erano giochi troppo grossi in cui le BR sarebbero state veramente la pedina più piccola e non sarebbe stato facile stabilire scientificamente il passaggio da una fase all'altra e questo poteva determinare, se non la distruzione, certo dei colpi per l'organizzazione".
 
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