05. La DC da partito politico clericale a partito-Stato: regista Aldo Moro.

Commissione Parlamentare - Relazione Minoranza MSI

L'uso privato dei servizi segreti da parte dei gruppi egemoni della DC. L'operazione congresso di Ravenna del PRI (novembre 1961). Moro difende Nenni dall'accusa di avere ricevuto, a favore del PSI, finanziamento dal SIFAR (Camera dei deputati, 31 gennaio 1968). Quando le BR attaccano, lo Stato è a pezzi. Le responsabilità di Aldo Moro nell'opera di destabilizzazione. Moro ucciso dalla "parola".

Documento aggiornato il 04/01/2005
Nasce, così, dalle abili mani del nuovo Principe rinascimentale il brodo di coltura nel quale maturerà il delitto del 16 marzo.
Ed ora bisogna capire che cosa è accaduto e che significato ha avuto e avrà, non solo l'amara drammatica vicenda dell'assassinio ma l'esistenza di Aldo Moro nella vita di tutti noi.
L'assassinio è il segno di una crisi tanto profonda da apparire insanabile; più che di un atto criminale e folle è il frutto malefico, ma naturale, di una predicazione che va molto al di là dei terroristi in galera.
La vita e l'opera politica di Aldo Moro sono gran parte della vita della società italiana destabilizzata e sconvolta.
Non è senza significato che la prima forma di destabilizzazione colpisca i servizi segreti dello Stato attraverso l'uso privato dei loro strumenti ed avvenga, in modo massiccio, proprio durante i primi governi di centro-sinistra, tenacemente voluti e gestiti da Aldo Moro, prima come Segretario nazionale della DC, poi come Presidente del Consiglio dei Ministri. Ne è una prova l'operazione di corruzione esercitata nel novembre 1961 nei riguardi dei partecipanti al Congresso del PRI di Ravenna la cui decisione era determinante perché Ugo La Malfa, battuto Pacciardi, fosse autorizzato a dare il via al governo di centro-sinistra.
L'operazione viene condotta dai servizi. I soldi per la sconfitta di Pacciardi ed il via libera a La Malfa li porta il Tenento Colonnello Agostino Buono dei Servizi.
Segue la costituzione e la gestione dell'Ufficio Rei, con la morte rimasta misteriosa del colonnello Renzo Rocca, ufficiale dei Servizi, che viene, in quei tempi morotei, indirizzata a fini partitici, se è vero come è vero, che denari e altri mezzi vengono adoperati per "finanziare" uomini e giornali del PSI.
E' il generale Egidio Viggiani, capo dei Servizi, che si incontra il 24 febbraio 1964 (ore 13.30) nell'ufficio del Ministro Corona (Ministero Turismo e Spettacolo, Via Ferratella, 5 1) con Pietro Nenni, allora Vice Presidente del Consiglio dei Ministri (I Governo Moro), per dare corso ad un finanziamento al giornale l'Avanti. Se ne troverà traccia nei documenti che nel gennaio 1968, quando infuria la polemica sul presunto golpe del SIFAR, verranno resi pubblici. Si tratta dell'operazione n. 42 del 21 febbraio 1964 firmata dal Capo Servizio Generale Egidio Viggiani, con relativo assegno del Banco di Napoli n. 1969, riscosso il 2 marzo 1964 dall'onorevole Aldo Venturini, allora Segretario Amministrativo nazionale del PSI. (Vedi allegati).
La vicenda avrà due sviluppi, uno in Parlamento, dove proprio Aldo Moro, nella sua veste di Presidente del Consiglio dei Ministri, difenderà oltre il dovuto e maldestramente Pietro Nenni, accusato in Parlamento e sulla stampa, di non querelare i suoi detrattori; l'altro in un'aula del Tribunale di Roma dove il 12 luglio 1971 il Giudice Istruttore, pur rilevando che quelle erogazioni dal SIFAR al PSI ci furono, deve assolvere gli imputati (fra i quali Aldo Venturini) perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Presidente del Consiglio Emilio Colombo), interpellata in proposito, oppone sulla vicenda il segreto politico militare.
I fatti sono eloquenti di per sé. L'uso privato dei Servizi a fini di politica interna data da tempo, ma è proprio l'esasperazione di quell'uso delittuoso che porterà, successivamente, i Servizi alla completa paralisi morale e organizzativa.
Si argomenterà, così come si è fatto per i più recenti avvenimenti riguardanti la sua segreteria particolare diretta da Sereno Freato, che Aldo Moro non conosceva le vicende. Può anche essere, ma ci corre l'obbligo di ricordare che Aldo Moro aveva scelto un mestiere in cui "sapere" diventa un dovere morale.
Comunque un dato è certo: è di quei tempi l'immedesimarsi del "partito" di governo negli apparati dello Stato, i più delicati, i più gelosi. E non desta meraviglia in noi, constatare che saranno i Servizi a tentare, mettendo le mani perfino in vicende di sangue orribili, di normalizzare le situazioni politiche, tutte le volte che queste risulteranno non favorevoli al partito egemone, al partito delle istituzioni.
I 38 anni di governo della DC sono costellati da stragi, di cui nulla sappiamo se non verità partitiche. Fatto sta che quegli appuntamenti di sangue esplodono tutte le volte che c'è da raddrizzare una situazione non favorevole alla egemonia del partito di maggioranza.
Ed ora la domanda di fondo: come potevano i Servizi rispondere con efficacia al rapimento dell'onorevole Moro, se proprio i Governi dell'uomo di Stato pugliese, erano, e pesantemente, responsabili della loro destabilizzazione?
Come poteva lo Stato rispondere alla violenta sfida delle BR se era stato, nel suo tessuto più profondo, sfibrato proprio dalla politica mediatrice e corruttrice dello stesso onorevole Moro?
Affermazioni amare, d'accordo, ma è a queste affermazioni amare che occorre avvicinarsi se si vuole "capire" perché è accaduto.
La violenza terroristica non esplode all'improvviso. C'è tutto un periodo di gestazione, di preparazione a cui collaborano classe politica, intellettuali, stampa, radio-televisione, mass media dell'informazione. In quegli anni "a morte!" non lo gridano solo i terroristi. Prima di loro lo gridano e lo scrivono vertici politici, culturali, dell'informazione. In contemporanea lo Stato, identificandosi, attraverso la concreta azione del governo con i partiti, diventa violenza. La partitocrazia macina tutto: ideali, speranze, miti, bandiere. Dal vuoto e dal deserto creato non potevano non spuntare i mostri: i mostri del terrorismo.
In questo contesto quale "posizione", quale "funzione" viene svolta dal grande mediatore Aldo Moro? E quale "effetto" produce? A quali reazioni dà vita e moto?
Ascoltiamo la descrizione che di Aldo Moro fa il sacerdote Baget Bozzo (Il partito cristiano e l'apertura a sinistra, la DC di Fanfani e di Moro 1954-1962, Vallecchi 1977): "Moro è stato scelto come un segretario che non governa, come colui che deve presiedere imparzialmente al governo dei notabili. Invece Moro è il tessitore di una nuova democrazia cristiana, una DC che perde lentamente le caratteristiche delle sue origini parrocchiali, delle sue radici clerico-popolari, e diventa un partito sofisticato, dal linguaggio chiuso, un partito per pochi, un partito di tecnici del partito.
Il partito, addomesticato al parlar politico, diviene il partito delle mediazioni: dalla predicazione di condanne ed esaltazioni si giunge alla modulazione della sfumatura. Con Moro penetra nella DC lo stile intellettuale e sofisticato delle aristocrazie letterarie e giornalistiche: "artes intulit arresti Latio". Moro impone a tutti uno stile.
E' una sorpresa per Fanfani e per Rumor, per Andreotti e per Scelba dover entrare in questo universo dell'allusione e della sfumatura, del pensiero modulato in modo che un'affermazione si possa sempre leggere in controluce, e a fianco del detto ci si possa sempre aprire, con sorpresa, speranza o rassegnazione, all'indeterminatezza dell'allusione.
Dopo la segreteria Moro, ogni democristiano è, gli piaccia o meno, un po' riformato sul modello del segretario del partito. Il linguaggio acquista in complessità, diminuisce in precisione: i silenzi divengono più importanti delle parole, le omissioni più importanti delle asserzioni".
E chi potrebbe negare, leggendo questo squarcio di prosa alla luce delle vicende terroristiche, che le parole abbiano avuto effetti determinanti nell'assassinio del Presidente della DC?
Quando il linguaggio, o meglio le parole si snaturano, non perde di significato solo il pensiero, ma degenera anche la realtà delle cose. Non si dimentichi che i fatti arrivano agli uomini attraverso la parola. E quando il linguaggio, per dirla con Baget Bozzo, acquista in complessità e perde in precisione, in breve, quando non ci si intende più è destino che le bocche si trasformino in bocche da fuoco.
Moro paga di persona, con la propria vita, il prezzo del disordine che, con l'uso degenerato della parola, si è lasciato crescere impunemente in tutti questi anni.
Non solo, ma la degenerazione del linguaggio è tale che fra Moro prigioniero e la cinica DC (che dalla sua vicenda ha capito che può rigenerarsi), ad un dato momento, non ci si intende più. E le parti si invertono. Non è più Moro che dalla prigione delle BR parla il consueto linguaggio involuto, complesso, difficile. Le parole di Moro sono chiare e limpide, Moro accusa: ma è la DC a rifugiarsi nell'allusione, nella sfumatura, nel doppio senso. Ed è rottura. Mentre Moro, mai così lucido, suggerisce modalità e strumenti per la sua liberazione, la DC risponde: "è pazzo".
A tre giorni dal barbaro assassinio (siamo sempre sul tema della "parola") Alberto Ronchey, sul Corriere della Sera (12 maggio 1978) scrive: "E poi riguardo ai protagonisti della società civile, dalla cultura all'economia, quando si dice che non c'è più spazio per scherzare col fuoco delle parole, l'avvertenza è vera alla lettera. Nell'inflazione verbale di un decennio, qualsiasi sciocchezza poteva ottenere udienza purché sembrasse conforme allo "spirito del tempo" e al "vento della storia". Ora molte di quelle sciocchezze benché semplificate, sono nei proclami dei terroristi. Spesso perfino i più privilegiati borghesi erano ansiosi di apparire così a sinistra, da rendere impossibile anche per il più esasperato addetto alle presse di Mirafiori, trovarsi più a sinistra di loro con le parole” senza pistole. E infine, quando da tanti anni tanti pubblici ammonitori, dotti e spigliati, non cessano di citare manuali sudamericani invocando la rivoluzione, non c'è da stupirsi se qualcuno intende la parola materialmente e vuole provare in qualche modo a farla, questa rivoluzione".
Malattia del pensiero, dunque. I mostri del terrorismo sono figli legittimi della crisi della parola. Ma i padri del terrorismo, dai vertici politici e dell'informazione, non sono stati rimossi. Sono rimasti. E pontificano. Come se nulla fosse accaduto.
 
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�Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realt� � una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere)�... [Leggi]
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