3 - 5 Maggio 1965
3. Il Convegno di Parco dei Principi del Maggio 1965
Dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Terrorismo.
Documento aggiornato al 24/02/2006
Dal 3 al 5 maggio del 1965 si svolse in Roma il primo convegno di studi politici e militari indetto dall'Istituto Alberto Pollio, organismo privato da poco costituito in ambienti vicini allo Stato Maggiore della Difesa per iniziativa di due giornalisti di estrema destra, Enrico De Boccard e Gianfranco Finaldi, subito affiancati da un terzo, Edgardo Beltrametti (stretto collaboratore del Capo di Stato Maggiore della Difesa), che curerà la pubblicazione degli atti del convegno. In sede saggistica è stata avanzata l'ipotesi, mai smentita, che l'organizzazione del convegno sia stata resa possibile da fondi forniti dal SIFAR e in particolare dall'Ufficio REI diretto dal colonnello Rocca, di cui innanzi ci si è ampiamente occupati. Nella relazione introduttiva del convegno, il Finaldi così ne individua la direzione programmatica con riferimento ai fini generali dell'Istituto organizzatore: "L'Istituto Alberto Pollio di Studi Storici e Militari, intitolato al nome di un grande capo militare e di un grande studioso di cose militari - alla memoria del quale intendiamo qui rendere omaggio - è sorto pochi mesi or sono, per iniziativa di alcuni amici, dediti con passione alle indagini su questi argomenti, con lo scopo di raccogliere, coordinare e convogliare energie, nel campo culturale, per l'approfondimento di alcuni temi che - a noi sembra - sono destinati ad incidere in modo straordinario e diretto sullo sviluppo delle idee e dei problemi del nostro tempo". Il convegno fu presieduto da un magistrato e da due alti ufficiali dell'esercito. Fra i relatori i nomi di Guido Giannettini e Pino Rauti; allo stesso partecipano personalità del mondo imprenditoriale e, come risulta dalla relazione introduttiva "venti studenti universitari che l'istituto ha pregato - dopo una selezione di merito - di prendere parte ai lavori appunto come gruppo". Tra questi è stata accertata la presenza di Stefano Delle Chiaie e Mario Merlino, noti protagonisti di eventi successivi. Il convegno ebbe ad oggetto "La guerra rivoluzionaria" e cioè una dottrina che circolava ormai da qualche anno negli ambienti militari, soprattutto sotto l'influsso di anteriori esperienze francesi, ed oggetto infatti di analoghi convegni iniziati a Parigi nel 1960 (108). Assunto fondativo era che una terza guerra mondiale fosse già in atto, non nelle forme tradizionali del conflitto dichiarato, ma condotta "secondo dottrine, tecniche, procedimenti, formule e concetti totalmente inediti... elaborati adottati e sperimentati dai comunisti in termini globali e su scala planetaria" ai cui "principi è ispirata comunque e dovunque la condotta non soltanto degli stati comunisti ma anche dei partiti comunisti che operano nei paesi del mondo libero" e per i quali "la competizione politica è in ultima analisi un fatto bellico avente come obiettivo la sconfitta totale dell'avversario". (Così Finaldi nella già citata relazione introduttiva ). Da ciò la necessità per la parte avvertita del mondo occidentale di una risposta adeguata ed efficace sullo stesso terreno e cioè mediante tecniche appropriate che il convegno, appunto in tale prospettiva di studio, si poneva il compito di individuare. In sede saggistica si è osservato che, se da un lato il convegno non presentò particolari novità dal punto di vista delle analisi della guerra rivoluzionaria e delle strategie di risposta, lo stesso fu caratterizzato da una forte enfasi sull'imminenza del pericolo e sulla necessità di passare immediatamente all'azione in un tono di ossessivo anticomunismo; spinto, si è scritto, "ai confini della paranoia" (109). E' un giudizio, quest'ultimo, che non può condividersi appieno. In realtà alla riflessione della Commissione i contenuti culturali del convegno appaiono in linea con i dettami della dottrina Truman e della politica estera statunitense da questa ispirata, così come emerge dalle fonti documentali, di cui nelle pagine che precedono si è ampiamente riferito. E' questa una valutazione serena non contraddetta dal rilievo che tra l'enunciazione della dottrina Truman e il convegno dell'istituto Pollio era intercorso quasi un ventennio. La storia delle idee conosce pure momenti inerziali che si verificano quando un sistema di pensiero, un'ideologia, un progetto politico sopravvivono al di là del venir meno delle condizioni storiche in cui erano sorti, trovandovi giustificazione. Ed è vero altresì che in tali fasi di inerziale sopravvivenza le idee conoscono spesso momenti di forte radicalizzazione. Dal 1947 al 1965 il mondo era cambiato: il ventesimo congresso del PCUS aveva avviato un sia pur lento processo di revisione nell'ambito delle forze politiche che all'esperienza staliniana si erano richiamate in ambito occidentale nell'immediato dopoguerra. (Per il PCI, della effettività, ma anche della lentezza di questo processo di revisione è testimonianza il "memoriale" redatto a Yalta da Togliatti nell'estate del 1964, poch i giorni prima della morte; tappa sostanzialmente iniziale di un percorso che si snoderà, attraverso fasi successive nel quarto di secolo seguente). D'altro canto con la presidenza Kennedy lo stesso clima culturale prevalente negli USA non era più quello del maccartismo, mentre il papato, breve ma intenso, di Giovanni XXIII aveva determinato profondi mutamenti nell'atteggiamento complessivo della Chiesa cattolica. Su tali basi si articolava, pur tra alti e bassi, la sempre più diffusa speranza di una distensione dei rapporti tra i due blocchi internazionali contrapposti. Ma di tutto ciò negli atti del convegno dell'istituto è esplicita un'avvertita coscienza, che però determina allarme e rafforza l'idea dell'imminenza di un pericolo con specifico riferimento alla situazione italiana. Negli atti del convegno può leggersi esemplarmente quanto segue: "Al contrario, in caso di distensione o, come si dice oggi, di colloquio - vedi situazione italiana - l'infilt razione può operare in profondità, direttamente, giungendo fino ai gangli vitali della nazione. Perché in caso di distensione, di colloquio, o addirittura di apertura a sinistra, o se vogliamo, di allargamento dell'area democratica, non soltanto l'opinione pubblica non avverte chiaramente la presenza della guerra rivoluzionaria, ma non è neppure sensibilizzata relativamente allo svolgersi delle sue operazioni; anzi, non conosce neppure il nemico, che si evita di denunciare per timore di interrompere appunto distensione e colloquio. Così, con le masse opportunamente cloroformizzate, la guerra rivoluzionaria può proseguire impunemente la sua penetrazione fino al cuore dello Stato attaccato; e si guarderà bene dall'arrischiare operazioni troppo brutali, per non svegliare le masse dal loro pesante sonno. E' esattamente quanto sta accadendo in Italia" (110). Vi è quindi un dato che appare innegabile: l'obiettivo strategico che il convegno individuava appare nella prospettiva odierna indubbiamente irrealistico; perché irrealistica era l'ipotesi teorica da cui muoveva (e cioè l'attualità di una terza guerra mondiale combattuta secondo logiche e metodi non convenzionali). Ma concretezza va riconosciuta (per escludere la fondatezza di valutazioni minimizzanti) ad un obiettivo più immediato, e quindi tattico, che negli atti del convegno appare individuato con sufficiente precisione; e cioè la necessità di contrastare la tendenza culturale e politica, indubbiamente in atto verso la distensione e la coesistenza tra i due blocchi internazionali contrapposti in una logica di superamento della guerra fredda. In questa prospettiva il convegno dell'istituto Pollio è nella saggistica - ma ora anche in sede giudiziaria - prevalentemente inquadrato come "l'inizio di qualcosa" e cioè come il momento di formalizzazione di un disegno strategico di contrasto alla distensione, che sarebbe stato attuato in anni successivi. Ma gli atti del convegno sembrano alla Commissione utilizzabili innanzitutto per poter procedere alla verifica dell'esattezza di ipotesi ricostruttive avanzate nelle pagine che precedono in ordine ad avvenimenti del pariodo anteriore. Questi ultimi infatti appartengono ad una storia segreta non ancora pienamente conosciuta. Non così il convegno di cui ci si occupa, che è un evento palese pienamente conoscibile già all'atto del suo svolgimento e la cui agevole ricostruzione può valere a colmare, senza forzature, i vuoti di conoscenza che permangono in ordine a vicende occulte, non solo successive ma anche anteriori. In tale ultima direzione non può ; trascurarsi, da un lato la circostanza che alla data di svolgimento del convegno la struttura Gladio era già stata costituita da circa un decennio; dall'altro i ripetuti riferimenti che numerosi convegnisti, pur nell'ambito di interventi volti principalmente alla formulazione di programmi per il futuro, operano a "qualcosa che già c'era". Così ad esempio nell'ampia relazione di Beltrametti nell'affermare la necessità di approntare "uno strumento ad hoc" per dare "risposta alla guerra sovversiva, manifestazione caratteristica della guerra rivoluzionaria", espresso è il riconoscimento che "le autorità militari hanno dimostrato sensibilità di fronte a questo problema ed hanno conferito la massima importanza sia alla flessibilità del dispositivo sia al fattore uomo, alla formazione del suo carattere, al suo addestramento, alla sua solidità morale al suo spirito di iniziativa individuale e di devozione al dovere&quo t;. Sembra quindi indubitabile l'esistenza in ambito militare intorno alla metà degli anni 60 di un dispositivo flessibile volto al contrasto di "sovvertimenti interni". Estremamente ragionevole è l'identificazione di tale dispositivo con la organizzazione Gladio, nella impossibilità di dare al riferimento una base diversa. Da ciò l'ulteriore conferma dell'esattezza di un'ipotesi già in precedenza avanzata; e cioè l'impossibilità di ridurre i fini per cui la struttura Gladio era stata costituita allo "stare indietro" nell'ipotesi di occupazione di parte del territorio nazionale da parte di esercito nemico. Ipotesi che veniva riconosciuta dallo stesso Beltrametti come ormai (già nel 1965) estremamente improbabile. A ciò si aggiunga che il convegno, stante l'ampiezza e la qualità della partecipazione costituisce una conferma della impossibilità di ridurre i fenomeni di cui la Commissione è chiamata ad occuparsi, a meri momenti di deviazione degli apparati di sicurezza, sul presupposto che la istituzionale segretezza di tali strutture ne legittimi una considerazione come monadi isolate. Gli atti del convegno attestano invece una ben più ampia rete di convergenti interessi, che riguardarono non soltanto le forze armate nello loro complessiva e articolata realtà, ma anche vasti settori del mondo imprenditoriale, politico e culturale. Parteciparono infatti al convegno tra gli altri un qualificato esponente del ceto industriale come Vittorio De Biase che svolse un intervento dal titolo significativo: "Necessità di una azione concreta contro la penetrazione comunista"; politici come Marino Bon Valsassina e Ivan Matteo Lombardo, alti ufficiali, un magistrato chiamato alla Presidenza, giornalisti (oltre ai già ricordati Pisanò e F. Accame tra gli altri) e intellettuali: uno spaccato sociale che indubbiamente testimonia la diffusione di una cultura e la conseguente ampia disponibilità ad un impegno operativo comune. Peraltro se nella riflessione degli organizzatori del convegno i risultati già raggiunti (nell'approntare un dispositivo flessibile di risposta alla guerra sovversiva) apparivano eccellenti, diffusissima ed anzi unanime era la valutazione della necessità di un salto qualitativo ulteriore. Mentre sul punto lo stesso De Boccard si spingeva sino a progettare una modifica radicale dell'intero apparato bellico italiano ai fini di una risposta controrivoluzionaria, in vista cioè di un "pericolo maggiore di un conflitto tradizionale", da altri convegnisti si prospettavano proposte diverse che a lato (rectius al di sotto) dell'apparato bellico tradizionale prevedevano di affidare il compito controrivoluzionaria a reti clandestine composte in gran parte da civili, anche se sempre a direzione (almeno prevalentemente) militare. Particolarmente interessante appare alla riflessione della Commissione la proposta avanzata dal professor Filippani Ronconi (un docente universitario di sanscrito, probabilmente utilizzato dagli apparati di sicurezza in compiti di decodificazione in ragione della sua specifica competenza) di opporre "un piano di difesa e contrattacco rispetto alle forze di sovversione" predisponendo uno "schieramento differenziato su tre piani complementari, ma tatticamente impermeabili l'uno rispetto all'altro", utilizzando "le tre categorie di persone sulle quali si può in diversa misura contare". Più in analisi:
"a) Su un piano più elementare disponiamo di individui i quali, seppure ben orientati... nei riguardi di un'ipotetica controrivoluzione, sono capaci di compiere un'azione puramente passiva... Questa prima, rudimentale rete, potrà servire per una prima "conta" delle persone delle quali si potrà disporre...
b) Il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone naturalmente inclini o adatte a compiti che impegnino "azioni di pressione", come manifestazioni sul piano ufficiale, nell'ambito della legalità, anzi in difesa dello Stato e della legge conculcati dagli avversari. Queste persone, ... potrebbero provenire da associazioni d'arma, nazionalistiche, irredentistiche, ginnastiche, di militari in congedo (e) dovrebbero essere pronte ad affiancare come difesa civile le forze dell'ordine nel caso che fossero costrette ad intervenire per stroncare una rivolta di piazza.
c) A un terzo livello, molto più qualificato e professionalmente specializzato, dovrebbero costituirsi - in pieno anonimato sin da adesso - nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di controterrore e di "rotture" eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere. Questi nuclei, possibilmente l'un l'altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo, potrebbero essere composti in parte da questi giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato in nobili imprese dimostrative che non riescono a scuotere l'indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale." Sono affermazioni che non sembra legittimo minimizzare, se non in una logica sostanzialmente abdicativa rispetto ai compiti che la Commissione ha ritenuto esserle propri, non fosse altro che per la notevolissima somiglianza (spinta fino alla piena sovrapponibilità) tra tale proposta ed un documento che fa parte della storia della organizzazione Gladio, anche se all'interno di questa non sembrerebbe mai avere avuto pratica attuazione. Ci si riferisce al documento "Ipotesi su una nuova struttura S/B" senza firma e senza data, già allegato alla relazione 22 aprile 1992 di questa Commissione. Trattasi di un documento di incerta datazione, che si è ritenuto collocabile nella metà dei primi anni ottanta, nel quale si prevedeva una ristrutturazione dell'organizzazione secondo tre livelli o sub-strutture (verde, gialla, rossa) che ricalcano la proposta Filippano Ronconi formulata circa venti anni prima. Ciò a riprova di una continuità ideale che permea di sé , consentendone una logica ricostruzione, il complesso delle vicende oggetto di indagine, di cui Gladio fa parte, ma che in Gladio non si esaurisce. A ciò si aggiunga che allo schema organizzativo proposto da Filippani Ronconi sembra abbia corrisposto lo strutturarsi concreto di un'altra vasta rete clandestina di cui subito si dirà.
"a) Su un piano più elementare disponiamo di individui i quali, seppure ben orientati... nei riguardi di un'ipotetica controrivoluzione, sono capaci di compiere un'azione puramente passiva... Questa prima, rudimentale rete, potrà servire per una prima "conta" delle persone delle quali si potrà disporre...
b) Il secondo livello potrà essere costituito da quelle altre persone naturalmente inclini o adatte a compiti che impegnino "azioni di pressione", come manifestazioni sul piano ufficiale, nell'ambito della legalità, anzi in difesa dello Stato e della legge conculcati dagli avversari. Queste persone, ... potrebbero provenire da associazioni d'arma, nazionalistiche, irredentistiche, ginnastiche, di militari in congedo (e) dovrebbero essere pronte ad affiancare come difesa civile le forze dell'ordine nel caso che fossero costrette ad intervenire per stroncare una rivolta di piazza.
c) A un terzo livello, molto più qualificato e professionalmente specializzato, dovrebbero costituirsi - in pieno anonimato sin da adesso - nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di controterrore e di "rotture" eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere. Questi nuclei, possibilmente l'un l'altro ignoti, ma ben coordinati da un comitato direttivo, potrebbero essere composti in parte da questi giovani che attualmente esauriscono sterilmente le loro energie, il loro tempo e, peggio ancora, il loro anonimato in nobili imprese dimostrative che non riescono a scuotere l'indifferenza della massa di fronte al deteriorarsi della situazione nazionale." Sono affermazioni che non sembra legittimo minimizzare, se non in una logica sostanzialmente abdicativa rispetto ai compiti che la Commissione ha ritenuto esserle propri, non fosse altro che per la notevolissima somiglianza (spinta fino alla piena sovrapponibilità) tra tale proposta ed un documento che fa parte della storia della organizzazione Gladio, anche se all'interno di questa non sembrerebbe mai avere avuto pratica attuazione. Ci si riferisce al documento "Ipotesi su una nuova struttura S/B" senza firma e senza data, già allegato alla relazione 22 aprile 1992 di questa Commissione. Trattasi di un documento di incerta datazione, che si è ritenuto collocabile nella metà dei primi anni ottanta, nel quale si prevedeva una ristrutturazione dell'organizzazione secondo tre livelli o sub-strutture (verde, gialla, rossa) che ricalcano la proposta Filippano Ronconi formulata circa venti anni prima. Ciò a riprova di una continuità ideale che permea di sé , consentendone una logica ricostruzione, il complesso delle vicende oggetto di indagine, di cui Gladio fa parte, ma che in Gladio non si esaurisce. A ciò si aggiunga che allo schema organizzativo proposto da Filippani Ronconi sembra abbia corrisposto lo strutturarsi concreto di un'altra vasta rete clandestina di cui subito si dirà.