Processo Moro I grado

04. La tipografia di via Foa

Documento aggiornato al 04/04/2005
Intanto la DIGOS che, a seguito di segnalazione anonima del 28 marzo, registrata dalla UCIGOS, stava effettuando una serie di pedinamenti e di controlli nei confronti di cinque persone - tra cui Spadaccini Teodoro e Giovanni Lugnini - qualificato come sicuramente "collegato alle B.R.", riusciva a stabilire che lo Spadaccini, conosciuto "per il suo estremismo politico e la sua pericolosità", era "in contatto" anche con tale Triaca Enrico, titolare di una tipografia in Via Pio Foà n. 31.
Dopo aver sottoposto ad intercettazione le comunicazioni sulle utenze telefoniche dei soggetti inquisiti, gli investigatori procedevano nella mattinata del 17 maggio a perquisizioni debitamente autorizzate nei loro domicili o e nei luoghi di lavoro o di abituale frequentazione.
E con un rapporto dello stesso giorno potevano affidare all'esame dei magistrati le prime concrete conclusioni, rimarcando che proprio in Via Pio Foà n. 31 erano stati sequestrati stampati delle Brigate Rosse raccolti in una cartella di colore marrone, nonché una macchina compositrice I.B.M. , una stampatrice Lindaco 3025, una macchina da scrivere "Remington Sperry 278", una fotocopiatrice marca "A.B. DIK 675", una Rotaprint A.B. DIK 360 T, un bromografo RI-Verticil PRT, un ingranditore F 60 e quattro banconote da L. 100.000, custodite in un cassetto di una scrivania, le quali erano risultate, da un rapido riscontro presso il terminale della Polizia, provento del riscatto per la liberazione dell'armatore Piero Costa di Genova, rapito il 12 gennaio 1977. In recipienti pieni di acqua erano stati posti a macerare fogli di carta già scritti, tagliati a strisce e appallottolati.
Per di più, lo stesso Triaca aveva spontaneamente dichiarato che nell'estate del 1976 all'Università di Roma aveva "familiarizzato" con un giovane di circa 30 anni, di nome "Giulio", con cui si era visto ripetutamente e che poi "gli aveva proposto di trovare un locale per aprire una tipografia delle Brigate Rosse".
Ma il 18 maggio il quadro iniziale assumeva contorni di maggiore nitidezza.
La DIGOS, infatti, informava che su suggerimento di Triaca Enrico, "verso le ore 5,30 personale dipendente si era portato in Via Palomibini n. 19, ove aveva proceduto alla perquisizione dell'abitazione di Mariani Gabriella, convivente di Marini Antonio, il quale era il marito separato di Barbara Balzerani e il collaboratore nella conduzione della tipografia, dunque complice nei lavori che venivano effettuati per conto delle Brigate Rosse".
Nel corso della operazione si erano repertati "fogli di lettere trasferibili simili a quelli rinvenuti nella tipografia".
Entrambi gli indiziati erano stati fermati, il Triaca aveva anche ammesso che la Mariani, "addetta alla stesura dattilografica" degli elaborati eversivi. aveva acquistato l'appartamento con danaro fornito dall'organizzazione.
Infine, si aggiungeva che la I.B.M. descritta era stata sottratta alla Università di Pisa, come da denuncia del 28 luglio 1977, e che sempre su specifica indicazione del Triaca, nella officina di Via Foà, in un incavo esistente alla sommità di uno dei piedi di una tagliatrice era stata scovata una pistola Beretta calibro 7,65, mod. 1970, con matricola abrasa e due caricatori contenenti ciascuno otto cartucce.
Allegati al rapporto erano i verbali compilati dagli agenti che avevano partecipato alle varie attività di P.G., dalla cui lettura si rilevavano elementi di grande interesse.
Così, oltre ad una cartolina della città di Copenaghen indirizzata a Barbara Balzerani da "Pelle, Strike e Stefano", da identificare in Avvisati Massimo, sospettato di militare nelle Brigate Rosse, nello stesso Triaca e in Ceriani Sebregondi, tra tanti documenti custoditi nella cartella di colore marrone, che apparteneva in realtà a Mariani Gabriella, erano meritevoli di particolare attenzione "un libretto personale per licenza di porto di fucile rilasciato dalla Questura di Roma il 15 agosto 1969 ad Alori Antonio" e "sette fotografie raffiguranti un uomo con le mani alzate e al collo un cartello delle B.R., nonché i cliché della "Risoluzione della Direzione Strategica - febbraio 1978" e delle fotografie di Walter Alasia e Martino Zicchitella.
Il 18 maggio 1978 il G.I. spiccava un primo mandato di cattura a carico del Triaca in ordine al delitto punito dall'art. 306 C. P.
Interrogato nella tarda serata l'imputato confessava di essere entrato, all'età di 18 anni, in "Potere Operaio" e di avere avuto contatti con Franco Piperno, Fiora Pirri Ardizzone, e Teodoro Spadiccini nella sede di Via Santa Borgellini del Tiburtino.
Allorché questo sodalizio si era "sciolto" e in concomitanza con "il sequestro Sossi" aveva cominciato ad avvicinarsi alle posizioni delle Brigate Rosse, non mancando di intervenire comunque alle assemblee del movimento studentesco che si tenevano presso l'Università di Roma .
E nell'estate del 1976, proprio durante una manifestazione indetta nell'ateneo, aveva conosciuto un giovane presentatosi con il nome di 'Maurizio", che soltanto in proseguo aveva identificato per Mario Moretti.
Lo aveva frequentato per qualche tempo "con una certa assiduità" esternandogli le proprie simpatie per i raggruppamenti politici della sinistra estrema, sin quando costui, alla fine del 1976, dopo essersi qualificato per esponente delle Brigate Rosse, lo aveva invitato a far parte di un nucleo in via di costituzione e gli aveva prospettato di aprire una tipografia: "egli avrebbe finanziato l'acquisto di tutta l 'attrezzatura necessaria, avrebbe dato il denaro occorrente per svolgere l'attività; la tipografia, avrebbe svolto attività apparentemente regolare, mentre in realtà doveva servire a stampare materiale per conto delle Brigate Rosse"
Accettata l'offerta, il Triaca aveva cercato un immobile idoneo e nel marzo 1977 aveva preso in affitto da Carpi Paolo, figlio della proprietaria Cordero Fernando, il locale di Via Foà, per il quale era stato pattuito un canone mensile di L. 150.000.
Il "Maurizìo" aveva provveduto ad anticipare le somme per il deposito cauzionale, per i lavori di ristrutturazione, per le apparecchiature occorrenti e, anzi, personalmente, si ero premurato di procurare due macchine "A.B. DIK" per le fotocopie e la stampa, un bromografo e un ingranditore per lo sviluppo delle matrici e delle fotografie.
"Prima che la tipografia entrasse in funzione" il "Maurizio" aveva preteso che il Triaca si giovasse della collaborazione di Antonio Marini - a lui noto del resto come aderente di "Potere Operaio" - il quale era peraltro ormai inserito nelle file dell'associazione armata.
Ebbene, già nell'aprile del 1977 erano state licenziate "tre-quattromila copie" di un opuscolo delle Brigate Rosse di circa 40 pagine, che "Maurizio" aveva "ritirate in più riprese per la distribuzione".
Altri elaborati erano stati approntati successivamente "sulla base di testi dattiloscritti su carta speciale dell'I.B.M.: "il secondo opuscolo a settembre, il terzo a novembre ed il quarto a Febbraio del 1978. L'ultimo era stato divulgato dal Maurizio dopo il rapimento di Moro e prima del suo omicidio".
Il Triaca si riferiva, evidentemente, alla famosa "Risoluzione della Direzione Strategica" che era stata unita al comunicato n. 4 del 4 aprile 1978 diramato dai "carcerieri" del presidente della Democrazia Cristiana.
Inoltre, all'inizio dei 1978, si era deciso di comperare "un appartamento il più vicino possibile alla tipografia", utilizzato "per preparare con la I.B.M." gli originali delle pubblicazioni. Ancora "Maurizio" aveva spiegato che la casa "doveva essere intestata ad una ragazza, tale Gabriella, anch'essa facente parte dell'organizzazione".
L'alloggio era stato scelto "nella zona di Boccea" e pagato in effetti L. 24.000.000. In Via Palombini, quindi, erano andati ad abitare il Marini e Mariani Gabriella a cui il "Maurizio in epoca di poco antecedente all'eccidio di via Fani, aveva portato la macchina I.B.M., poi impiegata dalla donna per battere documenti riprodotti in tipografia. E là, si erano tenute alcune riunioni "per fare dei programmi e per valutare eventuali altre iniziative . da assumere, per stampare opuscoli delle Brigate Rosse".
"Circa due o tre settimane prima del rapimento dell'on. Moro" il "Maurizio" gli aveva consegnato 4 milioni in banconote da L. 100.000 e L. 50.000 per le spese di gestione, avvertendolo che quattro di esse provenivano dal sequestro dell'armatore Costa.
In seguito "era sparito dalla circolazione ed era riapparso dopo l'uccisione del parlamentare": nel frattempo il Triaca gli aveva mostrato un giornale sul quale era appunto una Foto che ritraeva Mario Moretti, ma egli si era limitato a replicare che "si trattava di una persona a lui molto somigliante".
Triaca Enrico concludeva la sua lunga dichiarazione asserendo che Teodoro Spadiccini, a cui era legato da amicizia "da diversi anni", cioè dai tempi della comune milizia in "Potere Operaio", era passato alle Brigate Rosse, inquadrato nel "Fronte di Massa" con "il compito di distribuire opuscoli e di fare opera di proselitismo".
Quanto alla pistola in suo possesso, non aveva difficoltà ad affermare che l'arma gli era stata affidata da Mario Moretti.
Nuovamente interrogato il 19 maggio, il Triaca arricchiva la sua confessione di ulteriori particolari di eccezionale valore probatorio.
Così , sosteneva che dalla organizzazione riceveva "250.000 lire al mese che venivano pagate dal Moretti. la stessa somma percepiva il Marini"; che la I.B.M. era trasferita in Via Pio Foà da lui e dal Marini; che Mariani Gabriella si era recata spesso in tipografia, "la prima volta" addirittura "in epoca precedente all'acquisto dell'appartamento di Via Palombini n. 19, per discutere anche con Marini e con Moretti proprio della questione dell'acquisto dell'alloggio; che la Mariani aveva in verità dattiloscritto la "Risoluzione della Direzione Strategica del febbraio 1978, sulla base di un testo che le aveva dato il Moretti".
Da ultimo, precisava che costui, "quando era ritornato presso la tipografia circa 10 giorni dopo l'omicidio di Moro", gli aveva confidato "che l'operazione era andata bene, abbiamo molti consensi".
Incaricata la Polizia scientifica di espletare gli esami tecnici del caso sui fogli di carta "appallottolati", che erano "posti a macerare in recipienti pieni di acqua" e sulla I.B.M. a testine rotanti sequestrata nella officina del Triaca, in correlazione ad opuscoli vari delle Brigate Rosse, si accertava che:

"1) molte delle parole che si leggono sulle strisce di carta azzurrognola in giudiziale sequestro, ricorrono nell'opuscolo delle brigate rosse n.4, relativo al mese di novembre 1977, rinvenuto nel covo di via Gradoli e indicato col numero di reperto134;
2) i caratteri dattiloscriventi dell'opuscolo delle Brigate Rosse numero 3 relativo al mese di settembre 1977, rinvenuto, anch'esso, nel covo di via Gradoli, indicato col numero di reperto133, si ritrovano nelle testine rotanti in dotazione alla macchina in giudiziale sequestro, distinte con le indicazioni: Univers 10-MI/L; CG-12-M; Univers 11-BCL; Univers 10-M-L-; BA-11-B-F;
3) i diversi tipi di caratteri dattiloscriventi che ricorrono nell'opuscolo delle Brigate Rosse dal titolo "Risoluzione della Direzione Strategica - febbraio 1978" rinvenuto il 4.4.1978 a Roma, relativo alle indagini del sequestro dell'on. Moro, trasmesso dalla Questura con nota n. 050714/Digos del 7.4.1978, si ritrovano sulle testine rotanti allegate alla macchina in giudiziale sequestro distinte con le indicazioni: PR-10-M-F; CN-6-B-F; CN-6-M-F; PR-10-I-L;
4) sulla suddetta macchina, secondo quanto affermato dal tecnico della Direzione dell'IBM, non può essere montata testina rotante(tipo "light italic") come quella adoperata per i volantini relativi al rapimento dell'on. Moro".

Sulla scorta degli elementi raccolti il G.I. emetteva il 19 maggio mandato di cattura contro Mario Moretti, Marini, Mariani, Lugnini e Spadaccini per il reato di banda armata (38).
Mentre il Moretti si rendeva latitante, Marini Antonio si avvaleva della facoltà di non rispondere e Mariani Gabriella - la quale si era assentata dal posto di lavoro presso il Comune di Roma per ragioni di malattia proprio nei giorni 15 e 16 marzo - si protestava innocente, negando di avere frequentato l'officina di Via Pio Foà, di avere conosciuto i Triaca e il Moretti, di avere copiato con la I.B.M. opuscoli delle Brigate Rosse.
La donna sottolineava che, separatasi dal marito Rossi Pietro, aveva convissuto con il Marini dapprima in Via Urbana n. 10 - ove avevano alloggiato anche un amico, Cutolo Paolo, e tale "signorina Luciana" - e successivamente, dal gennaio 1978, in Via Palombini n. 19: l'immobile lo aveva comperato da Pische Giuseppina con i propri risparmi, anticipando 2 milioni in contanti all'atto del compromesso e versando altri 11 milioni mediante assegno circolare al momento della stipula del contratto definitivo di vendita in data 12 gennaio 1978. Una parte del denaro l'aveva prelevato dalla B.N.L. di Piazza Medaglie d'Oro; una parte la deteneva in casa per evitare di depositarla sul conto corrente che aveva ancora in comune con il coniuge.
Essendo stato pattuito il prezzo complessivo di L. 24.000.000, per la rimanenza aveva firmato al venditore cambiali ipotecarie con rate annuali di L. 4.500.000 circa.
Comunque aveva condotto le trattative personalmente e non ne aveva informato nemmeno i genitori, "i quali non avevano mai accettato" la sua anomala situazione.
Lugnini Giovanni sosteneva di essere del tutto estraneo agli eventi e di essere rimasto sempre ai margini di qualsiasi iniziativa di "attivismo politico". Spadaccini Teodoro escludeva di essere un militante delle Brigate Rosse, pur concordando di aver avuto relazioni con il Triaca che abitava nello stesso quartiere.

La DIGOS, intanto, espletava una serie di indagini onde accertare la provenienza delle cose repertate in Via Pio Foà e già il 25 maggio poteva comunicare all'A.G. (39) che funzionari della Questura di Genova, nell'esaminare una delle fotografie sequestrate, aveva identificato "l'uomo con le mani alzate e al collo un cartello delle B.R." per il prof. Filippo Peschiera, docente di diritto del lavoro e dirigente del "Centro di Formazione professionale" del capoluogo ligure, assaltato il 18 gennaio 1978 da un commando brigatista guidato da Micaletto Rocco e Azzolini Lauro. Nell'occasione il Peschiera "aveva subìto un breve processo" ed era stato attinto agli arti inferiori da diversi colpi di pistola cal. 7,65.
In giugno, con vari rapporti riferiva (40), altresì, che il bromografo RI Vertical PRT era stato in realtà ceduto il 30 aprile 1976 dalla società "Nebuloni e Piccozzi" a Ceriani Sebregondi Stefano che aveva installato una tipografia abusiva in Via Renato Fucini n. 2-4, prendendo in locazione un vano a pianterreno di proprietà di Troili Biagio per il periodo maggio 1976 giugno 1977.
Invece la Rotaprint A.B. DYK 360T, matricola 938508, era stata fornita il 31 gennaio 1972 dalla stessa ditta al Raggruppamento Unità Speciali del Ministero della Difesa.
Dichiarata "Fuori uso", era stata venduta come rottame ad un commerciante di vecchi strumenti grafici, il quale l'aveva consegnata, a modico prezzo, a Noto Stefano, dipendente della "Nebuloni e Piccozzi".
Costui, "lavorando nei ritagli di tempo libero", e senza farne menzione ai propri dirigenti, aveva sistemato "a nuovo" la stampatrice e, con la mediazione di un amico, era riuscito a trovare un acquirente, cioè sempre Ceriani Sebregondi Stefano, che aveva speso L. 3.000.000; "al momento del pagamento con Stefano c'era un altro giovane" che solo dopo aveva appreso essere Triaca Enrico.
"Qualche settimana dopo, dietro loro invito", si era recato in Via Renato Fucini "per mettere in funzione la macchina" e nel frangente aveva notato una fotocopiatrice A.B. DYK 675 e una piccola Offset da tavolo".
"Erano presenti Stefano e Triaca" a cui aveva cercato "di dare istruzioni" per un corretto impiego delle attrezzature.
Nell'esercizio, inoltre, il 24 giugno 1976 aveva effettuato una "prestazione di assistenza" sul riproduttore RI Vertical PRT.
Successivamente, nel maggio 1977, chiamato in Via Pio Foà, aveva saputo dal Triaca "che non era più in società con Stefano" e si era reso conto che l'officina era munita degli identici mezzi visionati o collaudati in precedenza in Via Renato Fucini.
Non meno influente era da considerare la deposizione di Troili Biagio, il quale, nell'esibire il contratto di affitto firmato dal Ceriani, aveva spiegato che nel negozio, insieme al conduttore, aveva visto "lavorare alle macchine" un giovane dall'apparente età di 22-27 anni, con capelli e barba rossicci, le cui caratteristiche corrispondevano a quelle di Triaca Enrico.
La DIGOS rimarcava che Ceriani Sebregondi Stefano era stato:

"denunciato la prima volta il 17.12.1968, alla locale Pretura, per danneggiamento ed occupazione di edificio pubblico, reati commessi durante l'occupazione dell'istituto professionale di Stato per la cinematografia, in Via Achille Papa n. 11. Successivamente, il 12.4.1969, era stato denunciato, in stato d'arresto, alla Procura della Repubblica, per resistenza a P.U. e radunata sediziosa, reati commessi nel corso di una manifestazione non autorizzata per protesta contro gli incidenti di Battipaglia. Il Ceriani, in quel periodo, aderiva all'Unione dei comunisti italiani (marxisti-leninisti) ed era stato uno degli animatori del cosiddetto "Centro studi Sebregondi", con sede presso la sua abitazione, in Via Fonte di Fauno n. 20, unitamente ad altri esponenti della U.C.I. (m.l.) fra i quali MELDOLESI Luca. Era attivo collaboratore del periodico "Servire il Popolo", organo di detta Unione.
Il Ceriani, infine, era stato denunciato alla Pretura per affissione abusiva e, l'8.5.1971, per aver preso parte ad una manifestazione non autorizzata, per protestare contro la visita in Italia dell'allora "Segretario di Stato degli U.S.A. Rogers".

Dinanzi a simili circostanze, che dimostravano indubbi collegamenti tra i membri dell'organizzazione, il GI. Spiccava il 5 giugno altro mandato di cattura contro Triaca, Spadaccini, Marini e Moretti per i reati concernenti l'eccidio di Via Fani e l'omicidio di Aldo Moro (41).
Interrogato il 9 giugno il Triaca chiariva che egli era inserito nella "colonna Roma-sud" e che aveva la disponibilità della pistola "per il caso che fosse servita mentre stampava gli opuscoli".
Ammetteva di esser legato a Ceriani Sebregondi Stefano, con il quale, nel 1975 o nel 1976, aveva fatto dei viaggi per motivi turistici in Germania Occidentale, Danimarca e Olanda.
Mentre Mariani Gabriella si limitava a sottolineare che la cartella marrone di Via Foà era sì di sua proprietà, ma ella l'aveva data in prestito a Marini Antonio "qualche mese prima", quest'ultimo e Spadaccini Teodoro non aggiungevano altro a quanto verbalizzato.
E però, l'attenzione del G.I. si soffermava su alcuni reperti di Via Gradoli e in specie sul manoscritto intitolato "TIP.1" attribuibile a Mario Moretti.

L'appunto in questione, sotto la voce "casa a tutto il 79", non poteva che alludere al prezzo pagato per l'appartamento di Via Palombini, nonché alle spese notarili.
La cifra in testa "27.606" corrispondeva, salvo che per l'eliminazione delle ultime cifre, esattamente alla somma di 27.606.000, comprensiva di interessi, che la Mariani aveva confessato di aver pattuito con Pische Giuseppina.
Una ulteriore significativa corrispondenza era quella tra la annotazione "Not. 2.679" e l'importo di L. 2.679.000 versato al notaio Tosti Croce Giovanni per la stipula e la registrazione del contratto.
Ancora, Cutolo Paolo sosteneva di avere già visto quel manufatto in marmo raffigurante un gufo (rep. 724) proprio nella casa di Via Urbana abitata da Mariani Gabriella.
Nel contesto, il Reparto Operativo dei Carabinieri precisava il 10 giugno (42) che una testimone, Sanciu Armida, residente in Via Gradoli n. 96, leggendo la pagina del quotidiano "Il Tempo" del 6 giugno dedicata alla vicenda, aveva rilevato nella foto di Spadaccini Teodoro e Marini Antonio una somiglianza assoluta con i due individui che "nel periodo dalla fine di marzo 1978 a circa l'11-12 aprile" aveva avuto spesso modo di osservare nelle vicinanze dello stabile ove era stato scoperto il covo delle "Brigate Rosse", "in un atteggiamento che ricordava quello di una persona che controllasse la strada ed il movimento da e per il palazzo".
Anche Chamoun Elias, studente universitario libanese fidanzato della Sanciu, aveva ribadito di aver scorto più volte "nel periodo citato" lo Spadaccini "a bordo di una autovettura Alfa Romeo Giulia di colore verde scuro mentre percorreva Via Gradoli".
Il 13 giugno la Sanciu e lo Chamoun confortavano formalmente accuse tanto dettagliate con una positiva ricognizione personale di entrambi i soggetti denunciati (43).



Esperite ulteriori verifiche, la Polizia era in grado di far luce su una serie di episodi non marginali.
Così, con rapporti del 12 e del 13 giugno (44) si asseriva che il libretto per l'autorizzazione al porto di fucile rilasciato ad Alori Antonio, sequestrato in Via Foà, era stato in pratica sottratto il 19 maggio 1975 a Lunerti Armenio che ne era momentaneamente in possesso dovendo provvedere al suo rinnovo e che lo teneva custodito, insieme alla propria licenza e a quella di Colabolletta Giovanni, nel cruscotto dell'Alfa Romeo 1600 che gli era stata rubata da ignoti.
Invece, con il documento del Lunerti erano state acquistate il 1 febbraio1978, presso l'armeria Taverna in Viale Libia n.193, una pistola Beretta calibro 7,65, mod. 90, una Mauser calibro 7,65, mod. H.SC. e il fucile a pompa ITHACA, mod. 37, trovato nell'appartamento di Via Gradoli.
In seguito era stato utilizzato per comperare un fucile a canne mozze rinvenuto nel corso dell'azione che aveva consentito la liberazione di Falco Francesco, il cui rapimento era stato rivendicato dalle Brigate Rosse.
La licenza del Colabolletta era stata recuperata a Pisa il 4 febbraio 1976 in occasione dell'arresto di Ippoliti Giuseppe, studente presso la facoltà di Architettura di Firenze e militante di "Potere Operaio" (45).
Durante le indagini per l'assassinio dell'avv. Fulvio Croce di Torino, contro il quale era stata usata una pistola "Nagant 7,62", di difficile reperibilità per il particolare calibro, tanto che le relative munizioni erano prodotte in Italia esclusivamente dalla "Casa Fiocchi", si era costatato che il 14 giugno 1977 ad una persona, che aveva esibito un porto d'arma intestato a Rossi Augusto, erano state vendute 100 cartucce 7,62 della "Fiocchi" presso il negozio "Gaffi", sito in Roma Via Ippocrate 44.
Inoltre, con la stessa licenza era stata fatta incetta di munizioni e di revolver in 13 esercizi specializzati della Capitale.
Si era, in verità, immediatamente appurato che il 22 dicembre 1975 Rossi Augusto, titolare di un'impresa di pulizie con sede in Via Giusti n. 7, era stato aggredito da due malviventi e, sotto la minaccia di una pistola, costretto a consegnare il portafogli contenente il porto d'arma (46).
Orbene, poiché nel covo di Via Gradoli erano state repertate anche tre cartucce calibro 7,62 Nagant, gli agenti di P.G. cercavano, interrogando i dipendenti o i proprietari delle diverse armerie romane in cui il sedicente Rossi si era rifornito, di raccogliere notizie idonee a permetterne l'identificazione.
Cerretti Fabrizio, che prestava la sua opera nel laboratorio "Ronvicini" in Via Oslavia n.46, riconosceva, dopo aver visionato l'album delle fotografie di sospettati di appartenenza ad associazioni terroristiche, in Mario Moretti il "giovane distinto" a cui aveva nel 1977 alienato delle armi.
Ed identico convincimento esprimeva Arduini Alberto, gestore dell'omonima azienda di Via Savoia n. 12-16 nella quale il 14 giugno e il 9 luglio 1977 l'uomo - che "rassomigliava per la conformazione del volto e per il taglio dei capelli" al capo brigatista - si era procurato una Airfg Standard calibro 22 magnum, una VZQR calibro 7,65, una Walter calibro 7,65 e una Mauser calibro 7,65 (47).
Il G.I., nel frattempo, autorizzava una perquisizione nel domicilio di Ceriani Sebregondi Stefano e la intercettazione delle telefonate passanti sull'utenza 5771705 installata presso detto alloggio e assegnata a nome della madre Dubini Fulvia.
E, vagliati tutti gli elementi di prova, esistenti a carico del medesimo spiccava il 16 giugno un mandato di cattura per banda armata, rimasto ineseguito (48).
Al riguardo la DIGOS con rapporto del 26 giugno (49) rendeva noto che vani erano stati i tentativi di rintracciare il Ceriani Sebregondi sia nei luoghi abitualmente frequentati, sia presso l'agenzia postale di Pietralata in Via Feronia n. 140 ove egli era applicato con mansioni di fattorino.
Anzi, si precisava che l'incriminato, "che si trovava in congedo ordinario dal 10 giugno 1978 al giorno 24 giugno", non si era presentato al lavoro e "non aveva fatto pervenire alcuna notizia di sé", per cui "era da ritenersi che si era sottratto alle ricerche, dandosi alla clandestinità".

Per di più, "dagli accertamenti esperiti dalla P.S. presso la Direzione Compartimentale P.T., era risultato che il soprascritto era stato, tra l'altro, assente dal lavoro per malattia dal 15.2.1978 al 1.5.1978, periodo questo molto significativo per le indagini che si stavano concludendo".
Altro provvedimento restrittivo della libertà era spedito nei confronti di Balzerani Barbara (50), essendo emersi sufficienti indizi per reputare che avesse abitato con il Moretti in Via Gradoli, ma la Polizia doveva, purtroppo, registrare (51) che la ragazza era scomparsa dalla circolazione.
Comunque era stato possibile stabilire che costei aveva dimorato dal giugno 1976 all'aprile 1977 in Piazzale Vittorio Poggi n. 2 e, quindi, in Via Murlo n. 37.
Qui, in un appartamento all'interno n. 4, aveva convissuto "con un uomo che diceva essere suo marito e di chiamarsi Marini" e che il portiere dello stabile Rubeis Gino aveva subito individuato esaminando una fotografia di Marini Antonio.
Entrambi avevano abbandonato la casa "verso la fine del 1977 o i primi del gennaio 1978".
Inoltre, "la Balzerani, impiegata al Comune di Roma, con la qualifica di operatrice sociopedagogica", come Mariani Gabriella, "si era posta in aspettativa per motivi di famiglia dal 1 agosto 1977" e da quel momento non si era più recata in ufficio.
Ma proprio in questa fase, il 19 giugno, Triaca Enrico decideva bruscamente di modificare atteggiamento processuale e ritrattava le sue precedenti affermazioni che gli sarebbero state estorte "con la tortura", cioè con sevizie inferte da funzionari della Questura di Roma che lo avrebbero persino esortato a "comportarsi bene" davanti ai magistrati.
Per simile contegno l'imputato veniva rinviato al giudizio del Tribunale e condannato per il delitto di calunnia.
 
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