Processo Moro I grado

06. La base di via Monte Nevoso

Documento aggiornato al 04/04/2005
Polizia e Carabinieri continuavano, intanto, a verificare dati che ponevano in evidenza la capacità organizzativa della banda.
Nel contesto si assumeva che Adriana Faranda il 14 luglio 1977 aveva concluso con Cattò Pastore Tommasina, attraverso la mediazione della "Gabetti", la compravendita di un appartamento sito in Via Albornoz n. 37, pagando una minima somma in contanti e i restanti 21 milioni con tre assegni circolari del Credito Italiano (55).
Altri accertamenti riguardavano l'attività di Mariani Gabriella e Barbara Balzerani alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, nonché i moltissimi documenti recuperati i Via Gradoli e in possesso dei vari arrestati.
Tuttavia una importante svolta nelle indagini si registrava allorché i Carabinieri del Reparto Operativo di Milano scoprivano un covo brigatista in Via Monte Nevoso n. 8 e catturavano Azzolini Lauro, Bonisoli Franco, Mantovani Nadia, Sivieri Paolo, Savino Antonio, Sivieri Biancamelia, Gioia Domenico, Russo Maria e Amico Flavio.
Con il rapporto del 13 ottobre (56) i militari dell'Arma spiegavano che "verso la fine del mese di agosto, nel quadro di normali iniziative di P.G. tendenti a prevenire e reprimere episodi di terrorismo e ad identificarne i responsabili", particolare interesse era stato rivolto alla zona "Lambrate" di Milano ove, sia per il tipo di insediamento urbanistico e sociale, sia per alcuni fatti specifici - quali l'omicidio Pedenovi, il ritrovamento di volantini "B.R." al cavalcavia di Via Palmanova, l'omicidio di Iannucci Lorenzo e Tinelli Fausto - era apparso più opportuno intensificare i servizi di vigilanza. Durante l'espletamento dell'incarico, "effettuato a giorni alterni e quasi sempre nelle prime ore del mattino", il personale del Reparto adibito al controllo della stazione della metropolitana - linea 2 - aveva notato "un individuo sui 30 anni, alto, con barba e borsello a tracolla" rigonfio, che aveva destato curiosità perché "nonostante la fretta dimostrata, aveva lasciato transitare, senza salire, tre convogli diretti verso il centro della città".
Il giovane era stato ancora intravisto una settimana dopo - intorno alla metà di settembre - in Piazza Bottini e il 23 settembre uscire da uno stabile di Via Monte Nevoso.
Il suo "comportamento anomalo" aveva ingenerato dubbi che dovevano rivelarsi fondati, avendo in sostanza gli investigatori appurato, in base a riscontri fotografici e di archivio, che si era ormai sulle tracce di un grosso latitante, cioè Azzolini Lauro.
Costui era stato "intercettato" alle ore 9,30 del 27 settembre mentre si allontanava dal portone dell'edificio di Via Olivari n. 9.
"Gli accertamenti anagrafici e sui contratti d'utenza di Via Olivari 9 avevano permesso di focalizzare l'attenzione sull'appartamento in locazione a Sivieri Biancamelia, orientata verso i movimenti dell'estrema sinistra e sorella di Sivieri Paolo, sospettato, in un primo tempo, dopo l'agguato di Via Fani, di essere uno degli attentatori.
Inoltre, alla Sivieri Biancamelia risultavano intestati, dal dicembre 1977, i contratti relativi a gas ed Enel di un appartamento al primo piano del civico 6 di Via Pallanza".
Nei giorni successivi "il giovane sospetto" aveva frequentato una tipografia in Via Buschi n. 27, il cui titolare, Amico Flavio, si era in precedenza distinto "nell'ambito della contestazione della sinistra extraparlamentare".
I Carabinieri avevano, dunque, deciso di passare all'azione e il 1 ottobre, alle ore 9,15 circa, avevano fermato all'incrocio di Via Monte Nevoso con Via Porpora la persona che stavano pedinando, la quale, "dopo aver ammesso di essere il ricercato Lauro Azzolini", si era chiuso nel silenzio "più assoluto".
Nel borsello erano custoditi una pistola automatica Browning calibro 9 lungo con colpo in canna e 13 cartucce nel serbatoio, una patente a nome di Giuffrè Vittorio, un bloc-notes con appunti manoscritti, "propri di un appartenente ad organizzazione eversiva", e un manifestino della "colonna Walter Alasia-Luca" rivendicante l'aggressione in danno di Bestonso Ippolito.
Dopo questo arresto, "simultaneamente", le forze dell'ordine erano intervenute in Via Monte Nevoso, in Via Olivari e in Via Pallanza: nel primo alloggio erano stati trovati "la nota Nadia Mantovani" e Bonisoli Franco, che aveva con sé due documenti di guida rilasciati rispettivamente a tali De Battisti Sergio e Bonino Francesco.
All'interno del locale gli agenti avevano sequestrato lo stendardo in colore rosso con "la stella a cinque punte"; 5 armi corte di vario calibro con munizionamento; 770 grammi di polvere da mina e miccia, 2 bombe a mano; attrezzatura per la falsificazione; 133 moduli in bianco di carte di identità della Confederazione Elvetica; un'ingente quantità di materiale concernente il settore economico ed esponenti dell'alta finanza; numerosi elaborati, originali e fotocopiati, con studi ed analisi sulle principali società industriali nazionali; l'archivio delle Brigate Rosse contenente opuscoli, risoluzioni della "Direzione Strategica" e tutti i volantini che si riferivano ai delitti compiuti dalla banda armata a partire dal 1970, nonché copie dattiloscritte di alcune lettere inedite dell'on. Aldo Moro e dell'interrogatorio estorto al parlamentare durante la sua "prigionia".
In Via Olivari - ove era stato bloccato Sivieri Paolo - erano, tra l'altro, recuperati apparati radioriceventi sintonizzati sulle frequenze delle centrali operative dei Carabinieri e della Polizia, schedature di funzionari di P.S. e diversi atti di natura illegale.
In Via Pallanza, nella casa abitata da Sivieri Biancamelia e Savino Antonio, membro di spicco della "Walter Alasia-Luca", erano reperiti, oltre alle "solite" armi corte e munizioni, moltissimi volantini del sodalizio, un ricco incartamento su aziende produttive e sui dirigenti ad esse preposte, la "bozza-minuta del cartello" usato in occasione dell'agguato contro Ippolito Bestonso e una borsa di pelle con le cose rapinate alla vittima.
Si era proceduto, quindi, a perquisire il domicilio di Gioia Domenico in Via Cavalieri n. 1 e qui era stata identificata Russo Maria, convivente dello stesso Gioia da circa due anni: debitamente occultate, erano state scovate delle chiavi che servivano per aprire il portone del palazzo e la porta d'ingresso dell'appartamento di Via Monte Nevoso, di cui, del resto, il Gioia era dal settembre del 1977 il proprietario.
Il 2 ottobre era stato catturato anche Amico Flavio che immediatamente si era qualificato "combattente comunista".
La susseguente perquisizione nella tipografia di Via Buschi, che aveva come unico ed assiduo cliente proprio Azzolini, portava al rinvenimento, tra l'altro, di una macchina da scrivere I.B.M. e di 22 testine rotanti, di altoparlanti, di maschere antigas, di un residuo combusto da cui si erano rilevate le diciture di carte d'identità dello Stato Svizzero, del medesimo tipo di quelle di Via Monte Nevoso.
Con ulteriori rapporti del 17 e del 24 novembre (57) i Carabinieri, nel confermare che in Via Monte Nevoso c'era "il rifugio sicuro, superprotetto" di brigatisti sul vertice della struttura", attorno al quale gravitavano, "a diverso livello e con diversi scopi", le altre basi scompaginate, esponevano gli esiti delle indagini espletate sui singoli reperti specificamente indicati nei verbali.
In particolare, sottolineavano che in Via Monte Nevoso erano state trovate 32 schede alfabetiche con indirizzi, trafugate nella sede del "Centro di formazione professionale" di Genova nel corso dell'assalto in cui era rimasto ferito il prof. Filippo Peschiera, una copia del "Corriere della Sera" con la foto di Mario Moretti modificata con una barba posticcia e banconote per decine di milioni - 35.870.000 - che costituivano provento del riscatto pagato per la liberazione dell'armatore genovese Pietro Costa, di Agrati Luigi e Garbero Giorgio.
Tali emergenze, collegate con le fonti note, legittimavano l'emissione di provvedimenti restrittivi nei confronti di Azzolini Lauro, Bonisoli Franco e Gioia Domenico in ordine ai reati già contestati a coimputati (58).
Il 9 dicembre, per ragioni di connessione probatoria, era disposta la riunione al procedimento, registrato con il numero 1482/78A, di altre inchieste giudiziarie pendenti a carico di ignoti per l'omicidio del magistrato Palma Riccardo, il tentato omicidio di Mechelli Girolamo, il danneggiamento dell'autovettura di Tinu Salvatore e della Caserma dei Carabinieri "Talamo" (59).
E il 12 dicembre le risultanze della istruzione consentivano di precisare meglio i capi di accusa, che erano compendiati nel mandato di cattura notificato agli interessati nei modi e nei termini di cui alle annesse relate (60).
Intanto la DIGOS continuava pazientemente a verificare l'origine e la consistenza delle circostanze acquisite e il 31 dicembre informava l'A.G. (61) che "i nomi, i dati anagrafici e gli estremi delle patenti di guida di Fagioli Antonio, Lozzi Claudio, Bertoli Susanna, Coviello Angelo e Baiocchi Giulia, annotati su alcuni foglietti quadrettati sequestrati in Via Gradoli, non potevano che provenire dalla segreteria della scuola statale 'Bruno Buozzi' in località La Storta, ove i predetti avevano lavorato nello stesso periodo".
L'attenzione si era soffermata su Petrella Marina" che aveva prestato servizio presso "la segreteria dell'istituto dal gennaio al settembre 1977" e che nel novembre dello stesso anno era stata "denunciata per partecipazione a banda armata, quale aderente ad Autonomia Operaia".
Ci si era allora preoccupati di rintracciare scritti di pugno della donna, per una "comparazione sia pure empirica ed informale", e si erano alfine riscontrati "evidenti rapporti di omografia" tra alcuni degli appunti citati e il corsivo di una istanza diretta al giudice di quel processo per ottenere il nullaosta al rilascio del passaporto.
Contro la Petrella, coniugata con Novelli Luigi, era spedito il 3 gennaio 1979 mandato di cattura per il delitto di cui all'art. 306 C.P. (62), eseguito nella mattinata del giorno successivo in Via Gabrio Serbelloni n. 42, dove dimorava insieme al marito.
Nell'abitazione gli agenti avevano reperito una culatta per pistola automatica calibro 45 da guerra, una copia dell'opuscolo delle Brigate Rosse dell'ottobre 1978, "Diario di lotta delle fabbriche genovesi Ansaldo-Haldiser" e "carteggio vario".
Una perquisizione prontamente effettuata nella bottega di fabbro del Novelli in Via dei Pini n. 29 aveva fatto scoprire apparecchi di amplificazione, punzoni e presse per timbri a secco, "idonei alla falsificazione di bolli per documenti", così da rendere necessario l'arresto dell'uomo, che, inoltre, aveva dato spiegazioni inattendibili sulla detenzione delle cose (63).
Interrogati dal magistrato, entrambi si protestavano innocenti e negavano di esser inseriti nell'organizzazione terroristica.
La Polizia, comunque, non trascurava di controllare anche la posizione di Stefano Petralla, fratello di Marina, il quale, del resto, era stato più volte indiziato di reità per atti di violenza politica e per partecipazione a banda armata, sempre come militante di Autonomia Operaia (64).
E proprio costui offriva, chiedendo al G.I. un permesso di colloquio con una domanda redatta a stampatello, la possibilità di costatare una notevole affinità con i caratteri di un foglio autografo di Via Gradoli che recava, sulle facciate anteriore e posteriore, i nomi di Bertoli Susanna e Coviello Angelo.
Colpito da mandato di cattura del 12 febbraio 1979, Petrella Stefano era assicurato alla giustizia il 13 febbraio (65).
Perizie tecniche, depositate rispettivamente il 20 febbraio e il 27 marzo (66), convalidavano le ipotesi formulate dagli inquirenti, concludendo che "le manoscritture contenute nei reperti n. 199, 658 e 659 sequestrate nell'appartamento di Via Gradoli" erano state vergate da Marina Petrella, mentre "la scrittura del reperto n. 657" era senza dubbio opera di Stefano Petrella.
Il 22 marzo 1979 la DIGOS di Roma inviava all'autorità giudiziaria, "per opportuna conoscenza, un telex della Questura di Torino relativo all'arresto", avvenuto il 17 marzo, "dei brigatisti rossi Acella Vincenzo e Fiore Raffaele ed alla scoperta di ingente materiale di natura ideologica, di armi, documenti falsi ed una macchina da scrivere I.B.M. con testina rotante". (67)
I due erano stati sorpresi in un bar sito in una zona periferica del capoluogo piemontese con indosso una Beretta calibro 7,65 e una pistola Browning con pallottola in canna.
A distanza di un chilometro, era stata rinvenuta una Fiat 128 con targhe non proprie, utilizzata come "covo mobile".
Nel frattempo, nuovi accertamenti tendevano ad acclarare aspetti non marginali della inchiesta.
Oltre a stabilire che le molte carte di identità recuperate in Via Gradoli erano state in passato trafugate nei comuni di Caronno Pertusella, di Lomello e di Messina, una peculiare importanza doveva esser attribuita al ritrovamento di moduli in bianco che erano compendio di furti perpetrati il 19 febbraio 1972 in danno del Comune di Sala Comacina e nella notte del 30 maggio 1975 in danno del Comune di Portici.
In pratica, come affermato dalla DIGOS (68), taluni moduli asportati da ignoti dagli uffici di quest'ultimo ente, erano stati sequestrati il 30 maggio 1976 a Nicola Abatangelo - uno dei capi storici dei Nuclei Armati Proletari - nel settembre 1976 nella base dei N.A.P. di Via delle Repubbliche Marinare di Ostia, il 21 marzo 1977 a Maurizio Bignami e, ancora nel marzo del 1977, a Montecchio Pierluigi e Novali Pietro, i quali erano evasi dal carcere di Treviso il 2 gennaio 1977 in compagnia di Prospero Gallinari e di altri pregiudicati.
Invece, il 4 maggio 1979 a Norimberga, in un conflitto a fuoco con la Polizia, era rimasta uccisa la terrorista tedesca Von Dyck Elisabeth.
Ebbene, costei era in possesso di una carta d'identità italiana e di una patente di guida intestate a tale Marabucci Fiorella, nata a Roma il 13 aprile 1955, "realmente esistente e risultata estranea ai fatti": non era
stato difficile appurare che "il modulo della carta d'identità sopra indicata faceva parte di uno stock in bianco sottratto al Comune di Sala Comacina".
 
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