Relazione di Minoranza PLI

01. Nota introduttiva

Del deputato Egidio Sterpa

Documento aggiornato al 15/04/2005
Sono stato chiamato a far parte della "Commissione Moro" sul finire dell'inchiesta come rappresentante del gruppo liberale della Camera in sostituzione dell'on. Biondi nominato ministro nel governo Fanfani.
Non ho potuto, perciò, seguire passo per passo tutta l'attività dell'inchiesta parlamentare, l'esame dei testimoni, l'audizione delle autorità preposte ai vari settori amministrativi, le deposizioni o le confessioni dei terroristi "pentiti" o no.
Non ho potuto, in sostanza, formarmi lentamente delle convinzioni e provarle e riprovarle al banco dei fatti e del contraddittorio.
Non ho potuto neanche sfogliare tutte le migliaia di pagine dei documenti acquisiti.
Non ho potuto né guardare in faccia né ascoltare la voce di tutti gli interrogati.
Non ho potuto rivolgere tutte le domande che come parlamentare, ma anche come cittadino, le indiscrezioni della stampa facevano sorgere nella mia mente come in quella di tanti italiani.
Sento il dovere di fare questa dichiarazione iniziale per lealtà. Con altrettanta chiarezza, però, devo dire che non mi sento di sottoscrivere le relazioni di altri colleghi o gruppi parlamentari per due motivi sostanziali:
1) non avendo partecipato a tutte le 88 sedute della Commissione né ascoltato tutte le 100 persone interrogate, la mia sarebbe un'adesione meramente formale;
2) nell'ottimo lavoro fatto dai commissari relatori, di cui dò atto volentieri, c'è, è vero, un tentativo di ricostruzione storica e politica del "caso Moro" ma vi si notano, tra non poche contraddizioni, venature di strumentalizzazione politica.
Non volendo rifugiarmi sia come deputato che come cittadino dietro la formula dell'astensione su un tema così scottante, ho ritenuto altrettanto doveroso esprimere una mia opinione, che è frutto di riflessioni maturate in questi pochi mesi di presenza nella Commissione e di impressioni o convinzioni che mi sono formato negli ultimi anni sulla base di ricerche giornalistiche e letture varie sul problema del terrorismo.
Consegno questa mia breve relazione agli atti del Parlamento come testimonianza morale più che con la pretesa di dare un contributo "pro veritate".
Ritengo però che le osservazioni e le obiezioni che mi proverò a fare potranno servire quanto meno a portare quel tanto di problematicità necessaria nella valutazione di vicende e testimonianze che, nonostante il lavoro fatto da tanti autorevoli colleghi della Commissione, non offrono alcuna certezza soprattutto per alcuni aspetti fondamentali dell'inchiesta, e segnatamente:
a) sul punto 1) dell'articolo 1 della legge 597 del 23 novembre 1979 istitutiva della Commissione parlamentare, là dove si pone in quesito sulla "strategia e gli obiettivi perseguiti dai terroristi" che sequestrarono l'on. Aldo Moro;
b)sul comma b) dello stesso punto 1) dell'articolo 1, là dove si pone il quesito "se Aldo Moro abbia ricevuto, nei mesi precedenti il rapimento, minacce o avvertimenti diretti a fargli abbandonare la vita politica."
Su questi due punti particolarmente si notano contraddizioni e tentativi di strumentalizzazione politica che hanno dato luogo del resto a dissidi, contrasti, pareri diversi in seno alla Commissione. Di ciò è prova il travagliato susseguirsi delle stesure della bozza di relazione finale, quasi un estenuante labor limae.
In taluni momenti e per alcuni punti della stessa relazione si è avuta l'impressione che certe forze parlamentari si sforzassero di conciliare l'inconciliabile piuttosto che di capire la realtà o quanto meno di descriverla così come è apparsa alla luce delle testimonianze o delle poche certezze desunte o provate.
Prima di passare alle riflessioni sui quesiti posti dalla legge istitutiva della Commissione e su taluni aspetti dell'indagine, non è inopportuna qualche osservazione sulle modalità con le quali vengono condotte le inchieste parlamentari.
L'articolo 82 della Costituzione, che disciplina le inchieste, non è in discussione. Assai discutibile invece è il modo in cui il Parlamento e le forze politiche praticamente le regolano e le conducono e soprattutto come le hanno regolate e condotte nel corso dell'ottava legislatura.
L'esperienza ha insegnato che bisogna evitare quanto meno commissioni bicamerali pletoriche, indagini troppo vaste e tempi intollerabilmente lunghi, divenuti tali anche per effetto di proroghe divenute prassi costante, come nel caso della "Moro" e della "P2".
C'è un altro aspetto su cui non è neppure inopportuna qualche osservazione.
Ogni inchiesta parlamentare disposta a norma dell'articolo 82 della Costituzione comporta due attività diverse, che però finiscono con l'intrecciarsi inestricabilmente: l'investigazione giudiziaria e l'indagine politica. Ebbene, soprattutto nell'ottava legislatura, sono diventate una regola le inchieste parlamentari su fatti già oggetto di giudizi penali.
Non s'intende, con ciò, esprimere critiche radicalmente negative a questa prassi, perché indubbiamente il Parlamento, in quanto espressione della sovranità popolare, ha il diritto e il dovere di indagare su taluni eventi e fenomeni. Ma il punto è come queste inchieste vengono eseguite, come tener separati il procedimento penale e l'indagine parlamentare che hanno certamente scopi distinti.
E' questo, un punto dolente delle inchieste parlamentari. Non di rado, per non dire sempre in quest'ottava legislatura, l'oggetto, i modi e i tempi di tali inchieste, non senza colpa di alcuni e dolo di altri, hanno stemperato e frantumato i buoni propositi in macchinosi procedimenti parlamentari al servizio della cronaca nera, politica e comune, i quali hanno più sollevato dubbi sconcertanti che appurato verità confortanti.
E veniamo all'oggetto specifico di questa mia relazione.
La legge istitutiva della Commissione fissa due obiettivi:
1) un'inchiesta sulla "strage di via Fani, il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, la strategia e gli obiettivi perseguiti dai terroristi e ogni fatto, comportamento e notizia comunque relativi a quei tragici eventi";
2) un'inchiesta sul "terrorismo in Italia".
Nel quadro di questi due obiettivi fondamentali vengono posti poi una serie di quesiti, taluni che potevano essere demandati proficuamente a qualche ufficiale di polizia (lettera c dell'art. 1: "eventuali carenze di adeguate misure di prevenzione e tutela della persona di Aldo Moro"), talaltri addirittura oscuri e sibillini, talché richiedono essi stessi una speciale indagine per capirli (lettera g dell'art. 1: "quali siano stati i motivi o i criteri che hanno determinato la continua, graduale divulgazione di notizie, fatti e documenti, ivi comprese le lettere scritte da Aldo Moro durante il sequestro ... ").
Il secondo obiettivo, quello fissato nel punto 2 dell'art. 1, è, più che un quesito, una questione storica, che la fretta sconsiderata o considerazioni sottilissime fecero inserire in una legge di inchiesta. A tale questione ("eventi criminosi e terroristici tendenti al sovvertimento delle istituzioni", "natura e caratteristiche fondamentali delle organizzazioni terroristiche" "fonti di finanziamento", "metodi di reclutamento", "addestramento dei militanti", "eventuali connivenza", "collegamenti con organismi italiani o stranieri", etc.) in verità solo il tempo e la storia daranno forse risposte.
L'inchiesta ha finito così con l'incunearsi tra due estremi: l'infinitamente piccolo e l'infinitamente grande. Da qui i dissidi, i contrasti, i pareri diversi, che erano inevitabili, come s'è già detto, per la commissione dell'investigazione giudiziaria con l'indagine politica. Di qui anche le incertezze, l'annaspamento nella ricerca di responsabilità politiche e tecniche, l'impantanamento nella politicizzazione fino al punto da scadere, alla stretta finale, in urto di fazioni miranti a spiegare, se non a giustificare, oggi il loro comportamento di allora, come se esse e il loro comportamento fossero oggetto dell'inchiesta.
In tal modo si è perduto molto, troppo tempo in polemiche e strumentalizzazioni fin dall'inizio dell'inchiesta.
La Commissione s'insediò il 10 gennaio 1980, discusse di problemi procedurali fino al 22 febbraio dello stesso anno, quando approvò in proposito un documento, ebbe fin dalle sue prime battute momenti di difficoltà operativa con l'abbandono dei lavori da parte dei commissari del MSI-DN (caso Mancini), le successive dimissioni del presidente Biasini, la nomina del nuovo presidente Schietroma, poi sostituito dal terzo presidente Valiante in data 31 luglio 1981.
Altro intoppo fu costituito dalle dimissioni, in data 28 novembre 1980, dei commissari del gruppo socialista, i quali lamentarono che l'azione della Commissione tendesse a diventare una sorta di processo politico "contro una tesi, una condotta e una forza politica."
Tutte queste vicende politico-procedurali distrassero in realtà la Commissione da quello che doveva essere un lavoro mirato, e così gli otto mesi previsti dalla legge 597 furono allungati con leggi di proroga prima al 24 dicembre 1980, poi al 31 dicembre 1981, quindi al 31 dicembre 1982, infine al 30 giugno 1983.
Qual è stato il risultato di tanti mesi di vita della Commissione?
Certo è stato fatto un lavoro non disprezzabile: come s'è detto, dal 23 maggio 1980 al 19 aprile 1983, con 88 sedute sono state ascoltate ben 100 persone, sotto gli occhi dei commissari sono passati testimoni, terroristi pentiti o no, autorità, migliaia di pagine di documenti acquisiti. Taluni commissari si sono sottoposti a un lavoro di sintesi pesante e difficile per compilare relazioni, ed essi meritano un sincero ringraziamento.
Questo lavoro di sintesi è servito moltissimo al sottoscritto, che non ha potuto partecipare - non per propria colpa, come già detto, ma perché nominato commissario all'ultimo momento - a tutte le vicende e lavori della Commissione.
Un ringraziamento merita l'on. Sciascia, che ha scritto una relazione carica di emozione etica ed estetica, che anche per il suo pregio letterario resterà nella storia del nostro Parlamento e servirà di certo a fare un po' di luce sugli anni bui dell'Italia terrorizzata.
Ma chi scrive questa relazione non può tacere la delusione per il sostanziale fallimento politico dell'inchiesta voluta dalla legge 597.
Mi limiterò ad analizzare quelli che appaiono i punti fondamentali dell'inchiesta stessa.
 
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