Relazione del Sen. Raniero La Valle

02. Un delitto infungibile

Gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente del Senato

Documento aggiornato al 29/04/2005
Per condurre queste riflessioni occorre rifiutare qualsiasi sdrammatizzazione del fatto, ogni tentativo di ricondurre il delitto Moro nella "normalità", sia pure la "normalità" segnata dallo sviluppo e dall'incrudelirsi del fenomeno terroristico. In effetti, per la vita della società italiana, il sequestro e l'assassinio di Moro hanno rappresentato una svolta, una crisi, uno di quegli "eventi maggiori" la cui portata si rivela più chiaramente via via che esso si allontana nel tempo, e l'attenzione è sollecitata e sospinta a concentrarsi sull'essenziale.
In questo senso pare al relatore di minoranza che si debba ulteriormente sottolineare il significato del fatto che oggetto dell'attentato sia stata proprio la persona dell'on. Moro, e come quell'attentato, a differenza di tutti gli altri che perseguivano nelle vittime, prese anche casualmente dalla magistratura, dalla polizia, dai carabinieri, dal giornalismo, un "simbolo" del potere o delle istituzioni che si intendevano colpire, apparisse connotato da una caratteristica di assoluta infungibilità: esso assumeva il suo intero significato dal nome e dalla identità della vittima e pertanto dalla linea politica a cui essi venivano unanimemente associati. Si trattava di una linea politica non semplicemente ripetitiva di impostazioni del passato, ma fortemente innovativo, soprattutto per quanto atteneva ai rapporti tra le forze politiche in Italia; essa rimetteva in discussione luoghi comuni, abitudini mentali e prassi politiche inveterate, ed era pertanto controversa e difficile, quando non addirittura ragione di scandalo: ma se era generale la consapevolezza di tale difficoltà, era altresì largo il credito che si faceva alla capacità dell'on. Moro di realizzare quella linea politica, anzi era diffusa la convinzione che egli fosse tra le persone il cui apporto sarebbe stato decisivo per la sua attuazione. Si può affermare pertanto, indipendentemente dal giudizio di merito sulla prospettiva perseguita dall'on. Moro, come, nelle particolari condizioni dell'Italia del tempo, egli fosse portatore di una alta potenzialità politica e incorporasse, per così dire, una ingente dose di destino nazionale; la sua vita non poteva essere considerata disgiunta dal corso che era destinata ad avere la vita del Paese; e come la sua figura travalicava i confini nazionali, così l'attentato contro di lui veniva ad assumere un significato di rilievo nella grande storia mondiale in cui interagiscono la storia e la lotta dei singoli popoli, e raggiungeva lo spessore e la portata, anche internazionale, degli altri grandi delitti politici di questi decenni, come quelli contro i due Kennedy, Lumunba, Luther King, Allende, Mons. Romero, Sadat, delitti in cui si è colpito o tentato di colpire, con accuratissima e perfino perversamente geniale scelta della vittima, una prospettiva di novità coinvolgente intere comunità o popoli, prospettiva di cui la vittima era considerata o era l'interprete e l'espressione più elevata e precisa.
Ciò che accomuna infatti questi grandi delitti politici moderni, da John Kennedy ad Allende a Moro, è che, a differenza di quanto avveniva negli antichi regicidi, dove si colpiva il potere in quanto espressione di immutabilità e conservazione, in queste vittime si è invece voluto colpire il potere in quanto fattore di cambiamento; e un'altra caratteristica è che il cambiamento, contro cui si sono rivolti questi delitti, insorgendo in punti particolarmente influenti o critici della situazione mondiale, aveva rilevanza non solo per la comunità o il popolo cui il leader colpito apparteneva, ma per la situazione internazionale nel suo complesso; e quindi è inevitabile che tali delitti evochino immediatamente il fantasma di una iniziativa o di un coinvolgimento internazionale nella loro predisposizione ed esecuzione.
Ed infatti anche per il delitto Moro si è ripetutamente posta una simile questione, su cui la Commissione parlamentare è stata specificamente invitata ad indagare dalla legge che l'ha istituita. Tale questione è senza dubbio di difficile soluzione; tuttavia in via preliminare e generale, e prima di qualsiasi esame di merito, si deve sottolineare come sia del tutto legittimo e plausibile porsela, alla luce della esperienza di analoghe vicende del passato, e alla luce altresì di un fenomeno che sta diventando sempre più marcato ed allarmante nel presente, quello cioè della crescente contraddizione e interferenza tra la politica interna degli Stati e la politica estera di altri Stati; quel fenomeno cioè per cui gli sviluppi politici interni di uno Stato sono considerati materia di cruciale importanza per la sicurezza o gli "interessi vitali", come vengono chiamati, di altri Stati, che pertanto fanno della politica interna altrui un capitolo della politica estera propria, la cui esecuzione viene affidata ai normali canali politici e diplomatici, o ai servizi segreti, o in ultima istanza al risolutivo intervento delle forze armate. Ingerenza o interferenza nella vita politica di altri Stati sovrani, che rientra purtroppo nella prassi delle maggiori potenze, ma che non di rado è esercitata anche da potenze intermedie e minori.
 
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