Relazione del Sen. Raniero La Valle

05. Il mercato comune delle armi

Gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente del Senato

Documento aggiornato al 29/04/2005
I dati più rilevanti che la Commissione ha raccolto a questo proposito, riguardano la provenienza delle armi usate dai terroristi, per una grande quantità delle quali è accertata la provenienza dall'estero, e in particolare dal Medio Oriente. Sul flusso delle armi alle organizzazioni terroristiche italiane è in gran parte fondata anche l'argomentazione contenuta nella ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Imposimato riguardo alle responsabilità di servizi segreti o di Governi stranieri nelle attività del terrorismo italiano (capo. XVII, pag. 216 e segg.: pag. 231).
Al proposito si può rilevare come senza dubbio il capitolo delle armi assuma una grande rilevanza; le armi permettono la materiale esecuzione dei delitti, pertanto chi fornisce le armi interviene nella catena delle cause che preludono al delitto. Tuttavia indagare sulle armi non dà una risposta sufficiente, ed anzi, in certi casi, può dare una risposta deviante, alla domanda relativa alle responsabilità straniere nel terrorismo italiano. E ciò per due ordini di ragioni.
Il primo è che la circolazione internazionale delle armi è talmente vorticosa e spesso sommersa, che alcuni passaggi finiscono per sfuggire, così che i relativi vuoti devono venire colmati con le ipotesi o con la fantasia, ciò che in materia così delicata è indubbiamente rischioso. Ad esempio, per spiegare la provenienza di mitragliatori Sterling venduti dall'Inghilterra alla Tunisia e rinvenuti in covi delle BR, il giudice Imposimato, "dovendosi escludere, per l'assoluta mancanza di qualsiasi dato al riguardo, l'esistenza di rapporti fra le Brigate Rosse e la Tunisia" dichiarava che "è solo possibile formulare una ipotesi, anche se pienamente fondata" e cioè che sarebbe "molto probabile che le suddette armi siano state asportate dai libici durante conflitti di frontiera con la Tunisia"; in seguito "i predetti Sterling potrebbero essere stati consegnati a terroristi italiani direttamente dai libici o da organizzazioni palestinesi" (pag. 224). Ma si tratta, appunto, solo di una ipotesi. Allo stesso modo, il luogo di imbarco delle armi di per sé non sempre è probatorio dell'identità del fornitore; ad esempio per le armi destinate alle Brigate Rosse e a Prima Linea imbarcate, come risulta da varie fonti, al largo del Libano, al confine con Israele, si può rilevare che il confine del Libano con Israele è controllato militarmente dalle forze armate israeliane, che sono le uniche ad avere mezzi navali per il pattugliamento delle coste e delle acque territoriali; su tale zona peraltro insistevano, all'epoca, sia gli israeliani, sia i palestinesi, sia i maroniti del secessionista maggiore Haddad, sicché il solo riferimento geografico, se non suffragato da altri elementi, non sarebbe bastato ad indicare univocamente il fornitore.
Un secondo ordine di ragioni per cui non si può stabilire l'equazione tra l'origine materiale delle armi e le responsabilità politiche del terrorismo, è di carattere più generale ed attiene alla natura del commercio e della circolazione delle armi nel mondo d'oggi; circolazione e commercio che rivelano una spiccata autonomia rispetto alle politiche ufficiali dei fornitori, e che rispondono a leggi di mercato, indipendenti dalle scelte politiche che gli Stati di origine delle armi dicono di seguire. Esiste una sorta di extra-territorialità del mercato delle armi, che fa sì che si rifornisca di armi il Sud Africa nel momento stesso in cui se ne condanna il regime, oppure che si forniscano armi contemporaneamente a Paesi tra loro nemici, come gli Stati Uniti fanno con l'Arabia Saudita, la Giordania, l'Egitto e Israele, come fanno armando sia la Cina che Formosa, o come l'Italia fa, rifornendo di armi contemporaneamente la Tunisia e la Libia, vicini tra loro antagonisti. Il commercio internazionale delle armi è fortemente aumentato nell'ultimo decennio e risponde sempre più a criteri economici e di convenienza, soprattutto per quanto attiene agli scambi tra i maggiori Paesi industrializzati e i Paesi del Terzo Mondo; nel caso dei Paesi fornitori di petrolio si stabilisce una dipendenza reciproca, fondata sullo scambio armi contro petrolio. Dice uno studioso di questo problema: "anche se il nuovo decennio si apre sotto la minaccia di un riarmo generalizzato e di drammatiche proporzioni, il commercio e la proliferazione di armamenti, in particolare del Terzo Mondo, hanno acquisito il carattere di un fenomeno strutturale già nel corso degli anni '70, come fonte della più ampia guerra economica condotta dai Paesi industrializzati per neutralizzare la ridistribuzione di potere in atto a livello mondiale a partire dal 1973" (7).
E ancora: "toccando un ritmo di incremento annuo del 15% nei primi anni '70, l'aumento delle esportazioni di grandi sistemi d'arma al Terzo Mondo ha raggiunto un tasso annuo del 25% nel quinquennio 1974-78. Con poco meno della metà del totale delle importazioni del Terzo Mondo nel 1978, il Medio Oriente conferma il ruolo ininterrottamente ricoperto nell'ultimo ventennio di protagonista del riarmo alimentato dalle superpotenze e dai loro alleati".
Le esportazioni d'armi a Paesi del Terzo Mondo provengono nell'ordine, dagli Stati Uniti, dall'URSS, dalla Francia, dall'Italia, dalla Gran Bretagna, e in minima parte da altri Paesi. Esse hanno raggiunto nel quinquennio 1977-78, secondo dati SIPRI, il valore di 47 miliardi 825 milioni di dollari. I Paesi fornitori di tali armi rifiuterebbero di essere considerati politicamente responsabili del modo del loro uso da parte degli acquirenti. L'Italia, ad esempio, che come ricordano recenti denunzie dell'F.L.M. e della rivista missionaria "Nigrizia" è tra i maggiori fornitori di armi al Sudafrica (8), nega di essere responsabile del terrorismo esercitato in quell'area dalla minoranza bianca contro la maggioranza negra. Ma allora non può meravigliare che questa stessa filosofia che separa l'arma dal suo uso, accompagni le armi in tutti i loro passaggi e anche nel passaggio dai canali ufficiali a quelli clandestini; né può meravigliare che le armi, che i Paesi industrializzati e particolarmente occidentali riversano abbondantemente nel Terzo Mondo e soprattutto nel Medio Oriente, dal Terzo Mondo e dal Medio Oriente ritornino in Occidente sotto forma di acquisti per le organizzazioni terroristiche e clandestine. La proliferazione degli armamenti e la rapidità della loro circolazione hanno un andamento ormai inflazionistico, che finiscono per produrre una abbondanza dell'offerta perfino superiore alla domanda. Pensare che il terrorismo possa essere tenuto lontano o escluso dal libero mercato internazionale delle armi è illusorio; è necessario pertanto sapere che le politiche rivolte al riarmo e al rifornimento internazionale delle armi, necessariamente includono, pur se tale effetto non è voluto, il rifornimento internazionale di armi al terrorismo e alla criminalità comune.
In questa situazione non è possibile stabilire una relazione di causalità o di dipendenza tra terrorismo italiano ed entità straniere sulla sola base dell'origine delle armi; questo spiega la prudenza con cui tutte le autorità responsabili interpellate dalla Commissione hanno fatto riferimento ad eventuali responsabilità e connessioni internazionali del terrorismo italiano e la perentorietà con cui il generale Lugaresi, direttore del SISMI, ha concluso che "attraverso l'esame delle armi non possiamo dire niente". Affermazione che è stata così motivata dinanzi alla Commissione dal generale Lugaresi: "Per quanto riguarda il tema dei collegamenti internazionali cominciamo a vedere se ci sono dei fatti specifici. Ci sono dei fatti che vengono fuori dalle armi, altri fatti che vengono fuori dalle persone, dagli uomini noi abbiamo trovato armi possiamo dire di tutti i Paesi.
"Durante l'evento Moro le armi erano prevalentemente cecoslovacche, non esclusivamente, perché c'erano anche armi italiane. Durante quel periodo 1977-78 erano armi Skorpion, ma c'erano anche bombe a mano del tipo USA che molte industrie di altri Paesi riproducono regolarmente.
"Viceversa, per quanto riguarda il caso Dozier, che ha molte similitudini con il caso Moro, troviamo lanciarazzi russi, troviamo lanciarazzi francesi ed ancora armi italiane, troviamo fucili automatici leggeri calibro 7.62 che armano la NATO, di produzione belga e che, viceversa, troviamo in mano ai terroristi. Allora l'arma è indicativa per poter stabilire la provenienza di una offesa? Direi assolutamente no. L'arma è il prodotto di una attività commerciale e noi sappiamo che c'è un traffico che non investe soltanto il mondo del terrorismo - il terrorismo è l'utilizzatore - il traffico investe il mondo degli interessi economici per cui non dobbiamo stupirci che in questo traffico troviamo, per esempio, la mafia che in alcune regioni italiane controlla le operazioni di importazione ed esportazione. Quindi, attraverso l'esame delle armi non possiamo dire niente".
Annotazioni − (7) Fabrizio Battistelli, "Armi: nuovo modello di sviluppo?", Einaudi, Torino 1982, pag.241.
(8) Cfr. "Adista", 27-29 giugno 1983, n. 13331.
 
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