Relazione del Sen. Raniero La Valle

06. Il contesto internazionale e la posizione americana

Gruppo parlamentare della Sinistra Indipendente del Senato

Documento aggiornato al 29/04/2005
In mancanza di altri riscontri obiettivi, la domanda su eventuali coinvolgimenti internazionali di gruppi illegali, di Servizi segreti o di governi nel delitto Moro, è destinata perciò a rimanere senza risposta. Ma il solo fatto che tale domanda possa essere posta, senza escludere alcuna ipotesi, è l'indice di un profondo malessere e di una percezione diffusa di una mancanza di lealtà nelle relazioni internazionali. La sola ipotesi di un complotto politico con complicità internazionali ai danni dell'On. Moro, anche se infondata, si basa sulla esperienza di una politica, e di una politica internazionale, troppe volte ridotta a complotto, come dimostrano innumerevoli esempi, presenti e passati. La nuova questione da porre, in sede di principio, contro ogni rassegnazione ai fatti compiuti e alle prassi consolidate, è se uno Stato sovrano abbia non solo il diritto alla guerra, come recitano le vecchie dottrine, ma anche il diritto di destabilizzare, rovesciare o mantenere artificialmente al potere il governo di un altro Paese, servendo i propri interessi mediante la manipolazione del regime politico interno degli altri Stati.
Se questo è illegittimo, allora, anche senza arrivare al complotto, molti comportamenti oggi in uso nei rapporti tra gli Stati, e soprattutto tra gli Stati più forti e quelli più deboli, sono da considerarsi illegittimi. E' quello che Moro cercava di dire, con la consueta prudenza, nell'articolo poi non ;'pubblicato su Il Giorno, quando a proposito dei "giudizi americani sulla politica italiana", mentre riconosceva la legittimità di giudizi anche polemici formulati in America sulla politica italiana, scriveva che "le cose sono un po' diverse se le valutazioni siano formulate in sede di governo (o dietro sigle trasparenti) e fatte conoscere senza vincoli di discrezione."
In tale quadro si collocano le vive inquietudini sollevate nell'on. Moro da quanto accadde nel corso del suo ultimo viaggio negli Stati Uniti nel settembre 1974, inquietudini che giunsero fino a fargli maturare il proposito di un ritiro dalla vita politica. Sul contesto politico in cui avvenne quella visita e sugli "avvertimenti" che Moro vi ricevette, la relazione di maggioranza riferisce elementi di indubbio interesse.
Si discute se lo scontro, da cui Moro fu turbato, fu effettivamente con il Segretario di Stato Kissinger; ma non c'è dubbio che l'oggetto dello scontro, del divario, del dissenso tra Moro, Ministro degli Esteri di uno Stato sovrano, e l'"establishment" americano, era la prospettiva di un processo politico difficile che l'Italia avesse il diritto di condurre sotto la propria responsabilità e in piena autonomia, processo politico di cui i dirigenti americani di allora negavano non solo la opportunità, ma perfino la legittimità. Ed anzi, nell'ottica tutta americana tipica del loro approccio ai problemi degli altri Paesi, ne facevano una questione di sicurezza interna degli Stati Uniti e di salvaguardia del loro ruolo internazionale.
Che questo fosse l'atteggiamento di Kissinger, lo si ricava da un discorso che egli, non più Segretario di Stato, teneva un anno prima del delitto Moro, alla "Conferenza sull'Italia e sull'eurocomunismo." In quel momento Kissinger non è più Segretario di Stato, ma il suo discorso viene stampato il 28 giugno 1977 nel "Congressional Record" del Senato americano, su richiesta del senatore Baker, richiesta motivata dal fatto che "la partecipazione comunista ai governi dell'Europa occidentale minaccia direttamente la sicurezza degli Stati Uniti". In effetti Kissinger, con linguaggio più articolato, aveva detto in quel discorso che la partecipazione dei comunisti al Governo anche in uno solo dei Paesi dell'Europa Occidentale, avrebbe sovvertito "la struttura del mondo quale noi lo conosciamo dal dopoguerra ad oggi e i rapporti dell'America con le sue più importanti alleanze."
Vale la pena riferire le tesi fondamentali di questo discorso Kissingeriano, perché sicuramente sono quelle che avevano ispirato la sua azione come Segretario di Stato e che, al di là delle incompatibilità caratteriali, erano state alla base del suo dissidio con Moro.
1)La premessa dell'ex Segretario di Stato era che la alleanza degli Stati Uniti con l'Europa e il Giappone non fosse un dato transitorio, ma permanente della politica americana. Essa era stata una costante di tutti i governi da Truman a Carter; anzi era stata "la prima permanente alleanza di sicurezza in tempo di pace nella storia americana"; questa alleanza, estendendosi dalla difesa alla politica della energia, delle risorse, alla determinazione del sistema economico internazionale, ai rapporti coi Paesi Comunisti e col Terzo Mondo, aveva strutturato tutto un assetto mondiale postbellico. Essa non era quindi contingente, in quanto determinata dalla minaccia sovietica, ma essenziale: era (lasciava intendere Kissinger) la forma moderna dell'Impero.
2) Non solo la conquista del potere, ma anche l'associazione di comunisti al potere in un solo Paese dell'Europa Occidentale "avrebbe un effetto psicologico sugli altri, facendo apparire i partiti comunisti rispettabili o suggerendo che il corso della storia in Europa si muove nella loro direzione". Pertanto essa "rappresenterebbe un massiccio cambiamento nella politica europea" che metterebbe in gioco tutta la struttura internazionale uscita dalla seconda guerra mondiale. Nella visione di Kissinger, dunque, l'accesso dei comunisti al potere in Italia sarebbe stato non solo un dato politico esterno, con cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto fare i conti, ma un rovescio interno alla politica americana, in quanto capace di compromettere il sistema mondiale che l'America faceva proprio e una cooperazione tra Stati Uniti e alleati che aveva raggiunto una estensione mai conosciuta prima.
3) Kissinger diceva di non credere né alla indipendenza dei partiti comunisti dell'Europa Occidentale dall'Unione Sovietica, né alla loro scelta democratica; a suo parere i conflitti restavano interni al comunismo, come tra un dogma e l'eresia, e la formula di Gramsci della "egemonia della classe operaia" non era che una "frase più elegante" che copriva lo stesso concetto "di dittatura del proletariato."
4) Ma il punto decisivo dell'argomentazione di Kissinger era che se anche i comunisti al Governo in un Paese dell'Europa occidentale fossero effettivamente indipendenti dall'Unione Sovietica, così da "porre nuovi
problemi per Mosca", questo non basterebbe affatto, perché "il punto chiave non è quanto i comunisti europei sarebbero indipendenti, ma quanto sarebbero comunisti". Infatti la loro politica interna ed estera, per la quale avrebbero avuto il voto degli elettori, sarebbe incompatibile con gli obiettivi comuni dell'Alleanza Atlantica. Tutto il seguito del discorso Kissingeriano era rivolto a dimostrare questo assunto.
5) Il carattere dell'Alleanza diverrebbe equivoco per il popolo americano. I firmatari del Patto Atlantico hanno affermato nel 1949 di essere "determinati a salvaguardare la libertà, il comune retaggio e la civiltà dei loro popoli, fondati sui principi della democrazia, sulla libertà individuale e il ruolo della legge". Se i Comunisti entrano nei governi dei Paesi alleati, l'impegno a mantenere la bilancia delle forze militari in Europa perderebbe la base morale su cui si è retto per una generazione. Al popolo americano si chiederebbe di mantenere il proprio impegno nell'Alleanza sulla base di due presupposti altamente incerti e non dimostrati: che c'è un nuovo corso del comunismo che nel tempo lo dividerà da Mosca, e che l'Occidente sarà in grado di manipolare le divisioni prodottesi a proprio vantaggio. Ambedue queste proposizioni - affermava Kissinger - sono aperte ai più seri dubbi.
6) "Anche se tale divisione si producesse - ciò che certo richiederebbe degli anni - difficilmente diminuirebbe il pericolo per le attuali relazioni alleate. Nel frattempo il danno alla struttura della NATO sarebbe probabilmente divenuto irreparabile. Il carattere delle relazioni atlantiche sarebbe totalmente tra sformato, anche se gli Stati Uniti dovessero decidere per proprie ragioni, di sostenere un comunismo revisionista. Mentre gli Stati Uniti - sosteneva Kissinger - non possono in nessun caso essere indifferenti all'estensione dell'egemonia sovietica nell'Europa occidentale, lo stazionamento permanente delle forze americane in Europa potrebbe difficilmente essere mantenuto con l'obiettivo di difendere qualche governo comunista contro altri governi comunisti. Tale sviluppo potrebbe essere giustificato solo sulla base della più cruda bilancia di potere, ciò che sarebbe incompatibile con la tradizione americana e con il sentimento pubblico americano."
7) "La NATO cambierebbe struttura, diverrebbe soprattutto una alleanza tedesco-americana. Questo spettro potrebbe essere usato in altri Paesi europei per minare ciò che resta dalla coesione atlantica; l'equilibrio di potere tra Est e Ovest in Europa sarebbe minacciato, l'unità europea compromessa, il Mercato Comune sarebbe spinto verso più strette relazioni con le economie di Stato dell'Est europeo e verso le "estremistiche" richieste del Terzo Mondo per un "nuovo ordine economico internazionale".
8) Governi comunisti nell'Europa Occidentale, per quanto indipendenti da Mosca essi possano essere nei rapporti interpariitici, dimostrerebbero le loro fondamentali convinzioni comuniste sui maggiori problemi internazionali. Nella migliore delle ipotesi assumerebbero posizioni più vicine "al cosiddetto blocco non allineato e in una direzione anti-occidentale". Anche la Jugoslavia ha fatto così: "perché dovremmo aspettarci che i partiti comunisti europei occidentali sarebbero più amichevoli verso di noi del più indipendente degli Stati Est-europei che è stato impegnato per quasi trent'anni in una aperta disputa con Mosca?"
Insomma, concludeva Kissinger, sarebbe la crisi dell'intero sistema, e un rovesciamento di tutte le relazioni atlantiche.
Nessuno potrebbe certo negare la legittimità, per un ex Segretario di Stato, di esprimere simili opinioni. Tuttavia la drammatizzazione che Kissinger faceva dell'eventualità di un accesso dei comunisti al governo in Italia, fino a considerarlo un sovvertimento dell'interno sistema internazionale del dopoguerra, un rovesciamento delle relazioni atlantiche, una minaccia agli Stati Uniti, non potevano non portarlo a considerare uno statista occidentale che non vi si opponesse o lo favorisse, o come uno sprovveduto o come un nemico e traditore dell'Occidente; e questo può appunto spiegare, in chiave politica, e non certo "complottista", la natura delle difficoltà e degli "avvertimenti" di fronte a cui l'onorevole Moro si trovò negli Stati Uniti. E del resto, a parte i discorsi di Kissinger, ci furono gli espliciti "veti" della Casa Bianca.
Se si ricordano queste cose, non è dunque per costruire sulla base di pure induzioni e ipotesi, tanto più dopo negative esperienze analoghe, "piste" straniere, ma per ricordare che la politica di cui l'on. Moro, a torto o a ragione era assurto a simbolo, era al centro di un grosso scontro, di portata veramente storica, non solo interno ma internazionale; ed è in questo scontro che con tutta la loro rozzezza e la loro ferocia si inserirono le Brigate Rosse risolvendo la partita con un puro esercizio di violenza bruta. Ma quanto meno si può osservare che più discreti e delicati atteggiamenti nei rapporti tra gli Stati, e di rispetto verso i rispettivi autonomi processi politici interni, priverebbero il terrorismo, così come ogni altro tentativo di risolvere con la violenza i conflitti politici, del suo terreno di coltura e di crescita.
 
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