1. Le origini della strategia della tensione

2. Le elezioni del 18 aprile 1948 e la nuova guerra contro la sinistra

Documento aggiornato al 30/11/2005
Questa premessa per spiegare la difficoltà di individuare la data di partenza della strategia USA nei confronti dell’Italia, che possiamo fissare, però, a prima della fine della seconda guerra mondiale, quando con la caduta del fascismo il 25 luglio 1943, appare chiaro che il regime ventennale di Mussolini è destinato a passare la mano, e che sullo scacchiere mondiale c’è ora un’altra grande potenza, l’Unione Sovietica di Stalin.

E’ su queste basi che inizia la "guerra" americana all’Italia, non solo al Pci o alla sinistra, ma proprio all’intero paese, al quale si impedirà con ogni mezzo di decidere autonomamente da chi farsi governare. Impedire, a costo di una nuova guerra, che le sinistre possano – legittimamente e attraverso libere e democratiche elezioni – giungere al governo del paese, è l’obiettivo primario sul quale concentrare ogni sforzo.

In questa guerra al comunismo, agli Stati Uniti non mancano certo gli alleati, e anche tra i nemici del giorno prima verranno pescate forze utili alla crociata. Intorno agli interessi nordamericani si coagulano immediatamente soggetti diversi e lontani per storia e cultura, cementati solo dall’obiettivo finale: evitare, sempre e comunque, una "deriva comunista" del paese. Così, in breve, accanto a uomini della Cia e ai militari della Nato, troviamo elementi dell’OVRA (la polizia politica di Mussolini), e settori della massoneria, le gerarchie del Vaticano, e parte di quella Dc che, assieme ai comunisti, aveva dato il suo contributo alla Resistenza e che governava il paese; la massoneria americana giocherà una parte non irrilevante, come la giocheranno, inevitabilmente, buona parte delle Forze armate italiane e degli apparati adibiti al controllo dell’ordine pubblico. Monarchici ed ex fascisti saranno, di volta in volta, utilizzati per questo disegno, prima che la strategia passi alla fase operativa e le cellule neofasciste diventino il vero braccio armato dell’intera operazione. E i Servizi americani non rinunciano neppure a coltivare buoni rapporti con la mafia fin dall’immediato dopoguerra, in quanto questa, "per sua natura anticomunista, è uno degli elementi su cui poggia la Cia per tenere sotto controllo l’Italia".

In tale coacervo di forze e di attori, salva la guida del governo USA, è difficile individuare il bandolo della matassa e i veri responsabili di questa guerra, considerato anche che sul medesimo obiettivo finiranno per convergere esigenze differenti, come dimostra l’appello che De Gasperi rivolge agli Usa affinché trattengano loro truppe in territorio italiano anche dopo la fine della guerra. Non sarebbe di per sé una richiesta illegittima, salvo che il leader democristiano, oltre a chiedere ciò, espressamente sottolinea la necessità che il suo nome non venga menzionato in alcun caso, segno di come la segretezza e la copertura diventino fin da subito le parole chiave di questa lunga operazione.

C’è un’altra parola chiave nella storia della strategia, o meglio una dicotomia sul filo della quale è possibile leggere tutta questa storia: ortodossia/non-ortodossia, che può essere letta in una duplice veste. Da una parte si contrappongono l’ortodossia democristiana e la non ortodossia comunista rispetto ai valori atlantici; dall’altra, emerge inequivocabilmente – fino alla sua ufficializzazione al Convegno del 1965 al Parco dei Principi – l’assoluta non ortodossia di questa guerra. E non ortodossa, in questo caso, più che la posizione del Pci, è la volontà di De Gasperi di mantenere segreta la sua richiesta, esautorando il Parlamento, e non solo le sinistre, su una fondamentale decisione di politica estera.

Similmente non può certo dirsi ortodossa la presa di posizione del Vaticano, che dopo aver mantenuto un atteggiamento quantomeno ambiguo nei confronti del fascismo, dichiara il proprio favore "a qualsiasi intervento necessario da parte degli USA negli affari interni italiani", confondendo, in un tempo solo, il suo ruolo, il suo territorio (o, meglio, la sua extraterritorialità), e la sua missione, e - oltrepassate le proprie competenze con la sua diretta ingerenza – delegando a terzi un’ingerenza ulteriore più pesante.

Sono i documenti ufficiali americani, tuttavia, a rendere chiaro il progetto anticomunista elaborato in quegli anni sulla scorta della c.d. "dottrina Truman": guerra totale al comunismo, ortodossa nei confronti dell’URSS, non-ortodossa nei confronti di tutti quei paesi, in primis l’Italia, con una presenza comunista in grado di modificare equilibri non solo nazionali. Che queste forze fossero legittimate dal voto popolare, ottenuto peraltro in evidenti condizioni di difficoltà, perdurante l’ostracismo occidentale, è questione che, ai fini della loro guerra, non poteva interessare gli Stati Uniti.

E’ così che l’Italia si prepara a consolidare le difficili conquiste ottenute con la sconfitta del fascismo. Contemporaneamente allo sviluppo economico ed industriale, infatti, la classe dirigente del paese, forse su input degli americani, certo con il loro appoggio, si predispone a una nuova crociata, questa volta nei confronti di una forza politica legittima e rappresentata in parlamento con un terzo dei voti del paese.

Ma bisogna spostarsi sul terreno delle scelte etiche per comprendere come il paese fosse spaccato in due. Da una parte i comunisti (e i socialisti, almeno fino al 1956) e la fedeltà all’Unione Sovietica di Stalin, dall’altra i paesi filoatlantici, legati a Washington probabilmente più di quanto non lo fossero le sinistre a Mosca. Ed è solo con il termine "etico" che può giustificarsi tutto ciò. L’argomento, infatti, per cui l’adesione agli Usa era più legittima di quella all’URSS, è notoriamente fondata sul carattere di "potenza amica" dei primi e di "nemica della democrazia" dell’altra. Ma, pur volendo accettare questa linea interpretativa, appare evidente come fosse ipocrita, se non falsa, questa lettura. La Russia sedeva nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, era una delle tre potenze artefici della sconfitta del nazifascismo, e – soprattutto – intratteneva rapporti diplomatici e commerciali con tutti i paesi occidentali, ivi compresi gli Stati Uniti e l’Italia.

Soprattutto, era noto come l’esperienza sovietica non fosse applicabile in Italia, che – in base agli accordi di Yalta – rientrava nella sfera di influenza degli americani. Certo, non erano mancati fin dall’immediato dopoguerra esempi clamorosi di presa del potere da parte dei comunisti (nei c.d. paesi satelliti dell’URSS), ma è ben vero che quelle esperienze rientravano tragicamente nelle linee negoziate da Roosvelt, Churchill e Stalin, e che nessuna delle potenze occidentali si sognò mai di intervenire in un territorio fuori dalla propria zona di influenza.

Proprio la centralità dell’Italia nello scacchiere mondiale, con una possibilità di vigilanza su tutto il Mediterraneo, ha fatto del nostro paese il "laboratorio" di cui si diceva. Lungi dal poter cadere sotto il dominio assoluto di una delle due grandi potenze, dal 1945 al 1990 (e possiamo individuare nel 27 novembre 1990 – data dello scioglimento ufficiale di Gladio – la fine di questa storia), l’Italia è stato un paese a "sovranità limitata", come è stato definito con felice espressione, dove per quarantacinque anni, gli Stati Uniti hanno determinato le scelte di politica interna e internazionale, le sue politiche economiche ed industriali, come quelle in materia sociale e sindacale.

Conviene, dunque, provare a segnalare come fin dall’inizio delle ostilità, da parte statunitense emergesse con forza la necessità di contrastare con ogni mezzo il possibile successo elettorale della sinistra.
 
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