2. Il significato politico

Documento aggiornato al 27/12/2004
Il sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, unico caso di sequestro e di omicidio di un uomo di Stato nell'Europa del dopoguerra, ha coinvolto, in un'unica, tragica vicenda, la sorte della vittima nonché valori, principi, processi politici interessanti l'intera società italiana.
Moro fu ucciso mentre era impegnato da protagonista in una difficile fase politica che vedeva il realizzarsi di una convergenza di forze democratiche diverse (DC, PCI, PSI, PSDI, PRI) diretta non soltanto ad assicurare al Paese un governo in grado di uscire dall'instabilità conseguente alla crisi degli equilibri politici sui quali si era fondata la lunga esperienza dei governi di centro-sinistra, ma soprattutto a superare radicate pregiudiziali tra forze politiche tradizionalmente antagoniste al fine di creare le condizioni per una democrazia compiuta.
L'Italia repubblicana, nell'interpretazione di Moro, aveva attraversato due distinte fasi politiche: la prima caratterizzata da una alleanza tra DC e partiti di centro; la seconda caratterizzata dalla collaborazione di governo tra DC e Partito socialista italiano e da profonde innovazioni rispetto al periodo precedente.
Questa seconda fase, iniziata nei primi anni sessanta, era giunta, sempre secondo Moro, al suo esaurimento negli anni 1974-1975, durante i quali si erano verificati grossi avvenimenti politici, come il referendum sul divorzio (1974), le seconde elezioni regionali (1975) e la crisi del governo Moro - La Malfa.
A giudizio di Aldo Moro stava quindi aprendosi una terza fase, nella quale andava posto "il problema del Partito comunista, del difficile accesso al potere delle masse popolari che in esso si riconoscono" (discorso al XIII congresso della DC).
Moro, come ebbe a dire nel suo discorso ai Gruppi parlamentari della DC del febbraio 1978, riteneva che dalle elezioni politiche del 1976 erano usciti "due vincitori" e che "due vincitori in una battaglia creano certamente dei problemi". Il Paese non avrebbe sopportato in quel momento "un grave scontro, una dissociazione radicale", quale si sarebbe avuta se il Partito comunista italiano e la Democrazia cristiana avessero assunto un atteggiamento di rottura.
Questo progetto non esprimeva una astratta e personale interpretazione della realtà italiana, ma rispondeva all'esigenza di tradurre in atti concreti quanto a livello di dibattito politico era andato maturando nei due partiti, in altre forze politiche e in larghi settori dell'opinione pubblica.
Non era la prima volta che Moro si assumeva il compito di gestire una fase nuova e difficile giacché, come segretario della DC, era già stato l'artefice dell'incontro con i socialisti. Grazie appunto alla sua incisiva azione politica egli era diventato il punto di equilibrio tra tutte le forze che si sentivano rappresentate dal suo partito: era perciò l'uomo della continua mediazione ma anche dell'attenzione a quanto di nuovo si manifestava nella società civile. Peraltro il suo ruolo e la preminenza della sua posizione lo avevano portato ad essere oggetto di critiche da parte di chi, all'interno o all'esterno, non condivideva le sue posizioni: e di ciò egli era ben consapevole.
Mentre la vicenda politica italiana andava cosi evolvendo, l'organizzazione delle "Brigate Rosse" sviluppava una linea di intervento nella vita del Paese diretta ad affermare il primato della lotta armata sul confronto democratico, la rottura del rapporto tra movimento operaio e democrazia politica, lo scatenamento della guerra civile.
Per conseguire questi obiettivi le BR si muovevano lungo varie direttrici: attaccare i quadri intermedie di base della DC, colpire quei magistrati e quei pubblici funzionari che si erano più impegnati ad assicurare l'efficienza e la credibilità dello Stato, ferire o uccidere gli uomini degli apparati di sicurezza per scompaginarli, attaccare e screditare le organizzazioni storiche, politiche e sindacali, del movimento operaio al fine di logorarne i rapporti con le masse.
Progetti di destabilizzazione eversiva erano peraltro maturati sia negli anni precedenti sia in tutto il decennio degli anni settanta, anche al di fuori delle BR con i tentativi di carattere golpista e con le stragi e gli attentati del terrorismo nero. Ma le BR e le organizzazioni ad esse affini avevano mantenuto come propria permanente caratteristica l'obiettivo di scatenare la guerra civile tentando di portare grandi masse popolari sul terreno della lotta armata.
A partire dal 1975, con la risoluzione della direzione strategica dell'aprile, le BR individuavano specificamente nella DC l'obiettivo dei loro attacchi armati. Secondo la loro interpretazione, in Italia si era costituito un blocco di potere, cinghia di trasmissione delle decisioni delle società multinazionali, comprendente partiti, sindacati e istituzioni. Asse di questo blocco, nello schematismo brigatista, era la Democrazia cristiana. Perciò le BR, mentre indicavano, in particolare nelle fabbriche, le tradizionali organizzazioni del movimento operaio come traditrici, attaccavano con le armi le sedi e gli uomini della Democrazia cristiana.
 
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