Le apprensioni dell'onorevole Moro

Documento aggiornato al 25/02/2004
La Commissione ha specificamente indagato, al fine di ricostruire il clima in cui si trovò ad operare Aldo Moro, se egli avesse ricevuto, nei mesi precedenti il rapimento, minacce e avvertimenti di qualsiasi genere o fossero comunque avvenuti episodi suscettibili di essere interpretati in questo senso.
In materia sono stati acquisiti elementi notevolmente eterogenei, e registrata altresì una divergenza, talora sensibile, di valutazioni attribuite all'onorevole Moro da parte delle persone che lo frequentavano o che comunque entravano in contatto con lui.
Gli onorevoli Andreotti, Zaccagnini e Cossiga in particolare hanno riferito che l'onorevole Moro non ha mai fatto cenno a minacce ricevute o comunque a timori personali manifestati.
L'onorevole Andreotti ha precisato che, quando apprese che un vescovo amico della famiglia Moro, monsignor Michele Mincuzzi, aveva affermato che l'onorevole Moro gli aveva confidato di aver ricevuto inviti ad abbandonare la vita politica, rimase sorpreso e disse ai magistrati che era utile approfondire la cosa. Il prelato ha peraltro dichiarato al magistrato di essere stato richiesto dalla signora Moro di fare tali affermazioni.
L'onorevole Zaccagnini ha dichiarato che, nel continuo scambio di opinioni, per la elaborazione della loro linea politica, l'onorevole Moro non gli parlò mai di ostacoli di tipo non costituzionale.
Nell'ambito dei collaboratori più vicini, il dottor Rana, mentre ha escluso che da ambienti internazionali siano giunte segnalazioni perché abbandonasse una determinata linea politica, ha riferito di preoccupazioni insorte nell'onorevole Moro in occasione del rapimento del figlio dell'onorevole De Martino; tuttavia i timori non vennero manifestati per sé, ma per la sua famiglia. Infatti allorquando si adottarono misure a protezione di quest'ultima, il Presidente si mostrò più tranquillo.
Anche Giovanni Moro ha riferito che proprio dopo il sequestro De Martino, attraverso una inconsueta imposizione della sua volontà, il padre volle per i familiari una scorta; e questo era il segno di una sua reale preoccupazione. La circostanza e stata confermata anche dalla figlia Agnese, la quale ha altresì dichiarato che il maresciallo Leonardi, uno o due mesi prima dell'episodio di via Fani, le chiese di riferirgli se avesse qualche preoccupazione o se vi fosse comunque qualcosa che la colpiva. Questo è stato l'unico discorso che ricordasse un po' diverso da quelli abituali; ella lo prese in senso molto generico, mentre poteva darsi che avesse un senso più preciso. Anna Maria Moro rifiutò la scorta; ma ha dichiarato che il padre avvertiva il pericolo, teneva alla scorta e non usciva senza di essa.
Maria Fida Moro ha dichiarato che Leonardi avrebbe manifestato preoccupazioni moltissime volte. Del resto loro, come familiari, sapevano che l'onorevole Moro era in pericolo, e non solo negli ultimi anni. Ella stessa dal 1969 al 1977 aveva ricevuto in media una lettera alla settimana di minacce di morte rivolte al padre.
Di nessuna minaccia, invece, ha dichiarato di essere stato messo al corrente il fratello del Presidente della D.C., il giudice Carlo Alfredo Moro. Un altro stretto collaboratore dell'onorevole Moro, il dottor Freato, ha confermato che le preoccupazioni degli ultimi tempi erano soprattutto per i membri della famiglia. L'onorevole Moro era infatti, secondo lui, una persona apprensiva per natura, che prendeva sul serio tutti i segnali; aveva quindi interpretato l'episodio relativo al figlio dell'onorevole De Martino come un avvertimento, tanto più che si stava avviando la corsa al Quirinale. Del resto, Patrizio Peci, dopo aver dichiarato che il fine delle BR era quello di processare la DC e prendere Moro quale elemento di collegamento tra DC e PCI, ha aggiunto che non era estranea l'intenzione di colpire con Moro il possibile futuro Presidente della Repubblica.
Più specificamente il professor Tritto, assistente universitario dell'onorevole Moro, ha attribuito i suoi frequenti atteggiamenti di ansia alla fase particolarmente delicata che il Paese attraversava. Ed in tal senso si è espresso anche il dottor Rana. Sempre secondo Tritto abbastanza preoccupato appariva il maresciallo Leonardi, che negli ultimi tempi era molto più severo nella vigilanza.
Al di là di specifici episodi, l'onorevole Moro ha comunque più volte indicato alla moglie persone fidate alle quali la signora si sarebbe potuta rivolgere per le varie occorrenze. Queste puntualizzazioni parvero alla signora Moro sintomo della percezione di un pericolo grave da parte dell'onorevole Moro.
L'avvocato Manzari, suo ex capo di Gabinetto, ha dichiarato che pervenivano le solite lettere anonime di minacce, usualmente dirette a chi esercita la vita politica in posizione di grosso rilievo. L'onorevole Moro aveva coscienza di vivere momenti pericolosi, ma il timore era più per i familiari che per se stesso.
Secondo il dottor Guerzoni, l'onorevole Moro immaginava di poter essere oggetto di attentato (tanto è vero che fece mettere i vetri antiproiettili in via Savoia) o che potessero sequestrare il nipotino, ma non lui personalmente, non ritenendo che potessero mirare così in alto.
Sempre l'avvocato Manzari ha precisato che nel 1977 Moro gli chiese come poteva regolare problemi successori e, alla proposta del suo collaboratore di provvedere in via di donazione, rispose che in quel momento non aveva possibilità di fare compensazioni in danaro. Qualche giorno dopo, il 21 gennaio 1977, arrivò all'avvocato Manzari un biglietto dell'onorevole Moro con la scritta "personale e urgente" e con la bozza di due progetti di testamento, uno suo e l'altro di sua moglie: un problema quindi non impellente alla sua età era diventato una esigenza tanto improvvisa da prospettarla in quel modo.
Il dottor Rana ha invece dichiarato che l'onorevole Moro gli aveva fatto discorsi più generici per esempio sulla impossibilità di stare in città perfino da morti, e sull'intenzione di trasferire le ceneri della madre a Turrita Tiberina, dove egli stesso pensava di farsi seppellire. Ma in questa indicazione il dottor Rana non vide alcun collegamento con una sua preoccupazione, perché avvenuta in un contesto che non aveva nulla a che vedere con la paura di dover morire.
Per quanto riguarda la valutazione che del terrorismo dava l'onorevole Moro, il figlio Giovanni ha ricordato come all'inizio del 1978, in occasione di un attentato BR, il padre gli disse una cosa che lo sorprese, e cioè che il processo di unificazione delle forze politiche e delle aree popolari che a queste forze fanno riferimento era visto male dalle grandi potenze che si dividono il mondo e che potevano avere interesse ad arrestare questo processo della politica italiana. Giovanni Moro ha precisato che il padre gli disse questo come per collegare a questo interesse il terrorismo. La linea politica del padre era infatti già emersa in tre discorsi del 1975, nei quali sostanzialmente si affermava che si imponevano per la DC nuovi rapporti con l'opposizione.
Anche la figlia Agnese ha precisato che il padre considerava il terrorismo un problema serio e pensava che esistesse un progetto dietro il fenomeno.
Da parte sua il dottor Guerzoni ha riferito che Moro riteneva il terrorismo problema drammatico, di dimensione molto ampia, tanto è vero che quando, all'indomani dell'attentato a Casalegno, il direttore della "Stampa" Levi aveva scritto che questi erano gli ultimi gesti disperati del terrorismo, Moro commentò in privato che si trattava solo della punta di un iceberg.
 
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