Gli avvertimenti ricevuti in America

Documento aggiornato al 25/02/2004
La signora Moro ha rivelato alla Commissione che, nonostante il suo estremo riserbo, l'onorevole Moro l'aveva resa partecipe di inviti minacciosi a desistere dalla sua linea politica che gli sarebbero stati esplicitamente rivolti nel corso di un ricevimento all'estero. Alla richiesta della Commissione se gli inviti a ritirarsi si fossero intensificati o avessero qualche relazione con l'ultimo viaggio in America, la signora Moro ha risposto "potrebbe darsi" , spiegando subito però che il luogo non significava molto.
Lo stesso professor Giuliano Vassalli ha ricordato come la signora Moro gli avesse parlato più volte, durante i cinquantacinque giorni, di gravi timori che il marito aveva avvertito, soprattutto negli ultimi tempi. Circa avvertimenti specifici ella disse che uomini politici, che non precisò, dopo un suo viaggio in America o in occasione di un suo viaggio in America, gli avevano fatto capire che avrebbe fatto bene a ritirarsi dalla vita politica.
Anche la figlia dell'onorevole Moro, Agnese, ha dichiarato risultarle che l'occasione nella quale il padre ricevette un avvertimento minaccioso fu un viaggio in America, forse l'ultimo dei due che vi fece. E il figlio Giovanni ha affermato che nell'ultimo viaggio fatto negli Stati Uniti come Presidente del Consiglio nel 1976 – in realtà l'ultimo viaggio negli Stati Uniti è stato fatto nel 1974 come ministro degli Esteri – il padre, ad un ricevimento ufficiale, avrebbe ricevuto l'avvertimento di desistere dal perseguimento della sua strategia politica, altrimenti poteva andare a finire male per lui.
Il dottor Guerzoni ha riferito alla Commissione che dopo il rientro dell'onorevole Moro dal suo viaggio negli Stati Uniti dal 24 al 28 settembre 1974, il maresciallo Leonardi gli disse che l'onorevole Moro aveva avuto degli scontri e dei contrasti, e che in particolare gli americani gli avevano fatto capire cosa pensassero della sua politica. In conseguenza di ciò l'onorevole Moro si sentì male nella Chiesa di St. Patrick a New York, e ritornò anticipatamente in Italia. Una volta rientrato aveva detto di volersi allontanare almeno per tre anni dall'attività politica.
Il dottor Guerzoni, per corroborare le sue affermazioni, ha ricordato anche la campagna, proveniente dai medesimi ambienti americani, per screditare di fronte all'opinione pubblica l'onorevole Moro come l'Antelope Cobbler del caso Lokheed, e l'intendimento dello stesso – specie dopo la dichiarazione del Dipartimento di Stato del 12 gennaio 1978 – di replicare con un articolo, in cui richiamava al rispetto dell'indipendenza nazionale, che non venne pubblicato perché, anche secondo il dottor Guerzoni, avrebbe ulteriormente deteriorato il clima politico. Lo stesso dottor Guerzoni, proprio la sera prima di via Fani, avvertì l'onorevole Moro che, se in occasione della presentazione del nuovo governo di solidarietà nazionale fossero stati ripresi gli attacchi, egli stesso si sarebbe fatto parte attiva per rintuzzarli; e per la prima volta il Presidente non gli chiese di non farlo. Il giorno dopo, presa visione di un attacco giornalistico, chiamò il Presidente che purtroppo era appena uscito.
Come ulteriore riscontro ha aggiunto di avere appreso nel luglio 1978, dal dottor Nino Valentino, allora capo dell'ufficio stampa del Presidente della Repubblica, che il Presidente Leone era preoccupato per la tensione esistente tra Moro e Kissinger e che perciò si era fatto promotore di un incontro chiarificatore. Tale incontro, che sarebbe avvenuto in occasione di un ricevimento, sarebbe stato invece assai teso. Tali affermazioni, tuttavia, sono state smentite nettamente dal dottor Valentino.
La signora Carla Lonigro, interprete ufficiale del Ministero degli esteri, che accompagnò l'onorevole Moro nel suo viaggio negli Stati Uniti e che aveva con lui consuetudine di lavoro, ha dichiarato di non avere mai avvertito in sua presenza una atmosfera tesa tra l'onorevole Moro e il segretario di Stato Kissinger, anche se ne ha sentito parlare da altri. Ha peraltro precisato di avere appreso dal maresciallo Leonardi che l'onorevole Moro non era soddisfatto per alcune cose e voleva ripartire prima. Le sembrò tuttavia che la causa fosse dovuta ad una insoddisfazione per come andavano le cose, che comunque ritenne di non attribuire né alla mancata partecipazione di Kissinger al pranzo offerto dalla moglie, né alla non eccessiva reciproca simpatia tra i due personaggi. A suo parere, anzi, l'onorevole Moro si era adontato probabilmente per il comportamento discutibile di qualche componente della delegazione italiana e perciò aveva diplomaticamente finto un malore per interrompere un viaggio.
Analogo atteggiamento l'onorevole Moro avrebbe del resto manifestato anche in altre occasioni; e la ragione poteva risiedere nel fatto che egli teneva a far rilevare che titolare della politica estera era lui e non altri.
Secondo il professor Mario Giacovazzo, medico personale dell'onorevole Moro e al suo seguito negli Stati Uniti, lo statista si sentì effettivamente male quel giorno nella chiesa di St. Patrick, si accasciò su una panca e venne portato al Wardolf Astoria, dove fu curato anche con l'assistenza dell'équipe medica al seguito del Presidente della Repubblica. A causa dello stato di prostrazione in cui si trovava, gli fu consigliato di anticipare il rientro con l'aereo del Presidente della Repubblica anziché trattenersi alcuni giorni in più come aveva preventivato.
Il professor Giacovazzo ha precisato alla Commissione di ritenere che il malore fosse dovuto a fatti di sofferenza personale, accentuati forse dall'ansia per taluni episodi verificatisi in quella circostanza che gli avevano creato una situazione di disagio. Altre volte tuttavia egli aveva avuto malori del genere, onde si sentiva di escludere che ciò derivasse dal colloquio con Kissinger, ma tutt'al più dalla preoccupazione della situazione generale, che in quel momento non vedeva rosea.
L'esaurirsi del centro-sinistra aveva posto il problema dell'individuazione di nuove forme ed equilibri attraverso cui sviluppare la vita democratica nel nostro Paese. Anche se, nel settembre 1974, Moro non aveva ancora maturato la linea che avrebbe poi dato luogo alle maggiori controversie, manifestando molta cautela nei confronti del partito comunista, che riconosceva come un "valido ed importante interlocutore" , ma nel suo ruolo di opposizione, considerava tuttavia che ad esso dovesse prestarsi, sia nell'azione di Governo che nella dialettica politica "una doverosa attenzione e conversazione" . E' evidente che questo atteggiamento, sia pure problematico, ma aperto, che Moro aveva assunto, non poteva essere apprezzato, e neppure capito a quell'epoca negli Stati Uniti. Basti ricordare alcuni dati: il giorno prima dell'arrivo di Moro in America, il presidente Ford a Detroit disegnava una immagine dell'occidente quasi strangolato dal ricatto petrolifero e chiamava i Paesi alleati a una stretta interdipendenza. Ed il premier israeliano Rabin, che era stato negli Stati Uniti dal 10 al 12 settembre 1974, rivelava al "Maariv" che in America si temeva appunto che la crisi del petrolio potesse portare al collasso i regimi democratici europei rendendoli maturi per il dominio comunista. "Personalità americane – aggiungeva Rabin – in molte conversazioni mi hanno sottolineato il serio pericolo di una dominazione comunista in Italia e forse in altri Paesi europei.".
Riferendo queste dichiarazioni di Rabin, il "New York Times" del 27 settembre, mentre Leone e Moro erano in America, aggiungeva che "l'allusione di Rabin all'Italia come un Paese particolarmente aperto alla conquista comunista, riflette, si dice, una precisa preoccupazione del Segretario di Stato."
Si aggiunga anche che l'ambasciatore in Italia John Volpe invitava negli stessi giorni l'Italia a non allontanarsi, nella ricerca delle sue forme di governo, dalla "tradizione" , ed a considerare anzi la sua accresciuta responsabilità verso la NATO a causa della defezione della Grecia (Epoca, 21 settembre).
Tutto questo aveva contribuito a rendere delicato quel viaggio di Moro negli Stati Uniti. Moro trovava in Kissinger un interlocutore particolarmente difficile, ma non solo in ordine alla questione comunista. Noi non sappiamo se, a quell'epoca, Kissinger avesse già formulato quel giudizio su Moro – che questi ha lamentato nel memoriale trovato in via Montenevoso come cioè "di persona protesa ad un'intesa indiscriminata con il PCI" . E' certo, comunque, che ne aveva manifestato uno severo fin dal primo viaggio di Nixon in Italia, nel febbraio del '69, come risulta dalle sue "Memorie".
Nel viaggio successivo, il 27 settembre 1970, quel suo giudizio era divenuto più propriamente politico. Kissinger imputava a Moro l'apertura a sinistra, cioè il centro-sinistra, che aveva portato il partito comunista ad avere "una influenza sempre maggiore, anche se indiretta, sull'operato del Governo, risultato questo, che era esattamente l'opposto di quanto i pionieri dell'apertura a sinistra avevano sperato.". Secondo Kissinger, anzi, "l'acuto Moro" sfruttava l'influenza dei comunisti per togliere potere ai socialisti. E grazie al suo appoggio l'influenza del PCI si era trasformata "nella possibilità di opporre un veto formale alle decisioni del Governo".
Proprio nei giorni del viaggio negli Stati Uniti, il 17 settembre 1974, il presidente Ford ammetteva che gli Stati Uniti erano intervenuti tra il '70 e il '73 per rovesciare il governo Allende, facendo ciò che "storicamente gli Stati fanno per difendere i loro interessi all'estero" . C'era stata una polemica su queste dichiarazioni nei giornali americani ed un intervento di Kissinger, pubblicato sul New York Times, il 27 settembre 1974, sempre quindi durante il viaggio di Moro negli Stati Uniti, nel quale il Segretario di Stato diceva: "Ci rimproverate per il Cile, non ci rimproverereste ancora più duramente se non facessimo nulla per impedire l'arrivo dei comunisti al potere in Italia o in altri Paesi dell'Occidente europeo?".
In conclusione, è comprensibile come anche un semplice colloquio che abbia registrato una divergenza – del resto nota – di posizioni (Moro, secondo Guerzoni, si lamentava dell'inadeguata comprensione della realtà italiana da parte del Segretario di Stato), possa aver determinato su Moro un turbamento. A ciò può aggiungersi lo scontento per i risultati della missione e magari anche il disagio derivante da atteggiamenti creatisi all'interno della delegazione italiana; infine l'insorgere di un malessere non impossibile in un soggetto ansioso: tutti elementi che possono spiegare l'episodio di St. Patrick.
 
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