Le misure di protezione dell'onorevole Moro

Documento aggiornato al 25/02/2004
L'accertamento di eventuali carenze nella tutela dell'onorevole Moro si è incentrato soprattutto sulla valutazione dell'adeguatezza della scorta, intesa come sufficienza di uomini e di mezzi. Sotto questo ultimo profilo la Commissione si è trovata a registrare tesi divergenti.
Secondo la signora Moro, infatti, il marito, sia pure aderendo a sue pressanti sollecitazioni, si sarebbe convinto a richiedere un'auto blindata. La richiesta sarebbe stata fatta oralmente (a persona imprecisata) e sarebbe stata rifiutata per ragioni di bilancio. Una richiesta del genere è stata confermata anche dalla vedova del maresciallo Leonardi.
La signora Ricci, moglie dell'autista dell'onorevole Moro, ucciso in via Fani, ha dichiarato che ai primi di dicembre del 1977 il marito le disse di non vedere l'ora che arrivasse la 130 blindata che finalmente era stata ordinata.
Quanto ai due capiscorta ed all'autista che non erano di turno il 16 marzo, essi hanno affermato dinanzi alla Commissione di aver sentito talvolta parlare del problema, ma nessuno dei tre è stato in grado di fornire indicazioni precise. L'onorevole Andreotti ha invece dichiarato che quando ricevette le consegne dall'onorevole Moro, questi non gli chiese di continuare ad usare la macchina blindata che aveva in qualità di Presidente del Consiglio; la richiesta, se ci fosse stata, sarebbe stata facilmente accolta.
La circostanza della possibilità di disporre di un'auto blindata è stata confermata dall'ex ministro dell'interno Cossiga il quale, nel precisare che agli atti non esiste alcuna richiesta, ha aggiunto che la signora Moro non accennò mai al problema, né prima né dopo i fatti di via Fani.
L'ipotesi, garbatamente affacciata dall'onorevole Cossiga, e che, alle sollecitazioni della moglie, l'onorevole Moro abbia risposto che non era possibile ottenere un'auto blindata; questa ipotesi però è stata esclusa dalla signora Moro, in quanto sarebbe stata in contrasto con l'abituale comportamento del marito nei suoi confronti.
Anche secondo Maria Fida Moro il Presidente avrebbe insistito per avere una macchina blindata, ma per motivi tecnici non l'avrebbe ottenuta.
Il dottor Freato ha dichiarato di non sapere se Moro avesse o no richiesto un'auto blindata né se questa gli fosse stata o meno rifiutata; a lui risultava, peraltro, che Moro avesse rifiutato auto blindate che gli erano state offerte da amici in quanto riteneva di non poter accettare offerte simili da privati.
Il dottor Rana ha escluso di aver mai inoltrato una richiesta del genere, precisando peraltro che, qualora si fosse deciso di chiedere una macchina blindata, il compito di richiederla sarebbe spettato a lui.
Il secondo aspetto riguardante la tutela dell'onorevole Moro concerne i servizi di vigilanza e il numero e la qualità degli uomini della scorta.
Scarsi e sommari sono risultati i servizi di vigilanza e di prevenzione nella zona in cui abitava l'onorevole Moro, e nella quale i terroristi hanno potuto pianificare il sequestro e la strage dopo ripetuti controlli e osservazioni delle abitudini dell'on. Moro e dei militari addetti alla sua protezione. I responsabili, sia politici, sia amministrativi, nonché gli stretti collaboratori dell'onorevole Moro hanno dichiarato alla Commissione che la scorta era adeguata. Il dottor Zecca, responsabile dei servizi di scorta, ha precisato che circa 30 uomini erano impegnati nella tutela del Presidente DC e dei suoi familiari.
Sono comunque emerse evidenti discrasie tra le rappresentazioni di ineccepibilità del servizio fatte dai responsabili e la situazione reale in cui si, trovavano ad operare gli interessati.
Quanto all'organizzazione e al funzionamento della scorta sia la signora Leonardi, sia la signora Moro hanno riportato le lamentele del maresciallo Leonardi: tra l'altro non funzionava né la radio per i collegamenti con la centrale, né i freni dell'auto di scorta che, per questo motivo, si sarebbe trovata più volte a tamponare l'auto del Presidente.
E' risultato chiaro alla Commissione che, nonostante l'esistenza di un opuscolo contenente le consegne e le istruzioni per la scorta, tali istruzioni non erano state "approfondite" dagli interessati: uno degli agenti ascoltati, Pallante, che durante il suo turno di servizio svolgeva le funzioni di capo scorta, ha ricordato l'esistenza di questo opuscolo solo quando un componente la Commissione ha fatto presente che ne aveva già parlato il dottor Zecca: ne ha ricordato l'esistenza, ma non ha saputo dire niente del contenuto. Assai carente anche il controllo dei responsabili del servizio scorte del Ministero dell'interno sull'attuazione e la congruità delle consegne e delle istruzioni impartite.
La Commissione ha esaminato i libretti personali dei componenti la scorta: per quanto riguarda le esercitazioni di tiro risulta che il personale non compiva affatto le esercitazioni settimanali affermate dal dottor Parlato e dal dottor Zecca; questi hanno anche escluso che le norme sulla tenuta delle armi non fossero rigorosamente rispettate, ed hanno sostenuto che non esistevano percorsi alternativi. Si è riscontrato che la scorta non si addestrava a reagire in caso di attacco alla vettura sulla quale viaggiava, né erano state impartite direttive per tale addestramento.
Quanto alle armi i due capiscorta ascoltati hanno escluso che il mitra, la mattina del 16 marzo, potesse essere nel portabagagli, come riportato all'epoca dalla stampa; ma è risultato comunque chiaramente che il mitra non è stato usato nel corso delle esercitazioni (nelle quali venivano usate altre armi), né controllato continuamente ai fini della sua efficienza, e neppure ne è stata effettuata un'adeguata manutenzione. L'arma ogni tanto veniva portata al magazziniere che provvedeva alla pulizia, ma non si sapeva se e come la manutenzione del mitra avvenisse. Ha riferito Pallante: "Tornavamo a mezzanotte e lo lasciavamo nell'armadio con i caricatori. La mattina lo riprendevamo. Però se c'era qualcuno che lo controllava non lo so." Ed è improbabile che qualcuno se ne sia occupato di notte. Non appare pertanto peregrino quanto affermato da Peci, e cioè che il mitra sia stato trovato inservibile.
La Commissione si è naturalmente chiesta come i brigatisti abbiano potuto trovarsi con tanta sicurezza sull'itinerario prescelto la mattina del 16 marzo.
I capiscorta Gentiluomo e Pallante e l'autista Riccioni hanno concordemente dichiarato che sia i percorsi sia gli orari erano sempre gli stessi. L'alternativa era tra via Trionfale e via Cortina d'Ampezzo, ma solo per motivi di traffico. Quanto agli orari, il Presidente usciva di casa sempre verso le 9 ed un eventuale ritardo era dell'ordine dei minuti.
Circa il ruolo dei capiscorta si era creata una anomalia: istituzionalmente il compito spettava, alternativamente, a Gentiluomo e a Pallante, ma di fatto si occupava di tutto il maresciallo Leonardi che decideva d'accordo con il Presidente. Non è apparso chiaro a quale autorità Leonardi rispondesse. La signora Leonardi ha parlato di frequenti colloqui col generale Ferrara, allora vice comandante generale dell'Arma, al quale avrebbe esternato le sue preoccupazioni; ma il generale Ferrara ha detto di averlo visto solo talvolta e senza che gli avesse mai posto particolari problemi. Neppure i vari comandi hanno ammesso di aver saputo di preoccupazioni del genere.
Savasta, che verso la fine del 1977 era stato incaricato dai brigatisti di seguire gli spostamenti dell'onorevole Moro nell'Università, ha detto di essere rimasto colpito dall'abilità del maresciallo Leonardi che, nonostante la gran ressa di studenti che seguivano le lezioni di Moro, riusciva a tenere sotto controllo la situazione; ha aggiunto che la scorta di Moro all'Università era una scorta "reale" e non proforma, molto preparata: un tipo di scorta che essi non erano abituati a vedere.
Sulla base di quanto ha potuto accertare, la Commissione ritiene che non esistesse una sufficiente consapevolezza delle cautele da adottare. La particolare consuetudine di rapporto tra il responsabile della scorta e lo scortato e la costanza di abitudini di quest'ultimo hanno finito per indebolire l'efficienza del servizio, anche se sul piano personale Leonardi si mostrava attentissimo e capace, come dimostrato non solo dalla testimonianza di Savasta, ma altresì dall'episodio Di Bella. E' evidente, tuttavia, che un medesimo percorso facilita un agguato, rendendone possibile una analitica predisposizione, anche se Savasta ha dichiarato che le BR avevano deciso di compiere l'attentato in via Fani e che fu del tutto casuale che Moro passasse di la proprio il 16 marzo, cioè il primo giorno in cui i terroristi avevano deciso di agire. Se Moro non fosse passato di la avrebbero ripetuto l'operazione finché non fosse riuscita. Analoga dichiarazione, che suona conferma, è stata resa da Valerio Morucci nella deposizione alla Commissione.
Altra esigenza è che la macchina di scorta non talloni quella scortata, anche se è vero – come ha osservato il responsabile del servizio – che il problema si pone in maniera peculiare in una città come Roma, e che una distanza tra le due auto consente l'inserimento di estranei. Ma tra i due rischi è certo maggiore quello di entrare in un unico raggio di azione di eventuali aggressori. Basti pensare alle maggiori difficoltà di un agguato che richieda sdoppiamento di organizzazione in due punti diversi, anche se non lontani, per aggredire due obiettivi.
Per quanto riguarda la tenuta delle armi, benché le acquisizioni si commentino da sole, occorre dire che una minore assuefazione, che comporta sempre – come rilevato dal capo della polizia – una certa disattenzione, avrebbe comunque scarsamente inciso sul risultato dell'operazione, e va anzi ammirata la capacità di uno degli uomini di tentare una reazione. In proposito anche il generale Corsini ha affermato che cautele di livello superiore si rivelerebbero comunque insufficienti di fronte all'azione di sorpresa di un commando bene addestrato.
 
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