Conclusioni sull'attività investigativa e operativa nei cinquantacinque giorni

Documento aggiornato al 25/02/2004
Nessun risultato di rilievo è stato conseguito, durante i cinquantacinque giorni del sequestro, al fine di assicurare alla giustizia i responsabili della strage, come nessun risultato di rilievo, è stato conseguito ai fini della scoperta della prigione dell'onorevole Moro e della liberazione dell'ostaggio, nonostante l'impegno e l'abnegazione dimostrati dagli appartenenti alle forze dell'ordine e lo sforzo imponente di uomini e di mezzi messi in campo. I primi arresti di terroristi collegati in qualche modo con la strage di via Fani e col sequestro e l'uccisione dell'onorevole Moro sono stati compiuti il 17 maggio 1978 (Triaca, Spadaccini, Marini, ecc.).
L'arresto del brigatista Piancone - risultato poi componente del commando BR in via Fani - avvenuto a Torino, in occasione dell'attentato che costò la vita all'agente di custodia Lorenzo Cotugno l'11 aprile 1978, è rimasto per lungo tempo, almeno fino alle confessioni di Patrizio Peci, senza rilievo nelle indagini relative al caso Moro.
La Commissione, conformemente alle linee di indirizzo e agli obiettivi indicati nella legge istitutiva, ha particolarmente insistito nella ricerca delle cause e delle ragioni che hanno comportato gli sconfortanti risultati.
Le conclusioni al riguardo sono avvalorate dalle dichiarazioni rese alla Commissione dal Ministro dell'interno del tempo onorevole Cossiga: "Le forze di Polizia potevano fronteggiare episodi sporadici di terrorismo, ma lo Stato nel suo complesso non era preparato ad affrontare fenomeni terroristici tipo caso Moro da un punto di vista ordinamentale e organizzativo. Mancava una politica della sicurezza relativa al terrorismo, cioè una dottrina della sicurezza basata su un'analisi del fenomeno, non esistevano nel nostro apparato statuale adeguati ausili di carattere moderno anche se tutti quanti hanno dato tutto quello che potevano dare."
Il generale Corsini, Comandante dell'Arma dei carabinieri, ha dichiarato che "il terrorismo è passato da obiettivi fino ad allora considerati normali ad obiettivi impensabili senza immaginare le profonde ramificazioni, prendendoci in contropiede dopo un lungo periodo di incubazione"; e, commentando l'arrivo a via Fani, ha dato giudizi molto severi sul metodo e l'efficienza: "Ho trovato una grossa confusione, che abbiamo creato noi. Infatti eravamo tutti accorsi e purtroppo accade che qualche volta si va in troppi ed è sbagliato, mentre qualche volta non si va. Io mi sono infatti ingorgato con due macchine della polizia ed ho fatto una grande fatica per salire a Monte Mario perché c'era chi a sirene spiegate saliva e chi discendeva. Tutto questo accorrere sul posto non è stato in un certo senso positivo anche se avevo dato quegli ordini per quei posti di blocco per certe strade, cosa che non è stata sufficiente. Difatti arrivati lì lo abbiamo constatato ed abbiamo cominciato a fare le prime indagini su questo cadavere, sulla dinamica del fatto, sulle varie vie che in ipotesi avevano potuto seguire per arrivare e per andarsene. Sono poi arrivate le notizie più strane come: ho visto un camioncino o altro. I telefoni bollivano e così anche tutte le linee di comunicazione. Arrivavano notizie utili e notizie non utili, notizie che si capivano e che non si capivano. Abbiamo quindi cercato di dipanare tutta questa difficile matassa. C'era chi diceva che erano nei dintorni di Rieti, c'era chi diceva che erano sulla Cassia e su tutte queste zone mandammo pattuglie e chiamammo aiuti."
Anche il dottor Parlato, Capo della Polizia, ha ammesso: "All'epoca della tragedia di via Fani ci siamo trovati in una condizione di vacanza dei servizi di sicurezza. Anche l'attuale SISMI era in fase di ristrutturazione"... "In quell'occasione ci trovavamo nella situazione di due grossissimi organismi - polizia e carabinieri - che erano "senza occhi e senza orecchie": non avevamo servizi di sicurezza. La polizia si prodigò al massimo, ma non avevamo né un confidente né un infiltrato. Vi è stata una miriade di cose che abbiamo cercato di fare con il concorso dell'esercito immediatamente il giorno dopo, con uno sforzo molto consistente dell'autorità militare."
Il generale Giudice, Comandante generale della Guardia di Finanza, ha riferito: "Non vi sono dubbi che se ci fosse stato un unico ente coordinatore, uno solo, ripeto, e non più di uno, tutto sarebbe andato meglio...'Tutti hanno lavorato con il massimo impegno. Può essersi verificata qualche disfunzione per lo scarso peso che in quel momento avevano gli organi informativi dello Stato. Mi riferisco particolarmente al SISMI e al SISDE"... "Un'organizzazione non si improvvisa, ha bisogno di struttura, di personale e di personale particolarmente addestrato, e di programma. Nel caso in esame io posso dire che c'era uno squilibrio tra operazioni ed informazioni."
Il dottor Infelisi, Sostituto procuratore della Repubblica a Roma, ha dichiarato: "Mi sono sempre occupato di terrorismo e mi sono quindi trovato di fronte ad una realtà che già conoscevo: "l'anno zero" dal punto di vista dell'organizzazione repressiva della polizia e dei carabinieri. Ho constatato un impegno ed un sacrificio di uomini - carabinieri e polizia veramente notevole, ma nello stesso tempo ho constatato che i settori più specializzati - carabinieri e DIGOS - mancavano totalmente di strumenti: mancavano gli schedari, mancavano i funzionari che si intendessero di estremismo di sinistra, che sapessero chi erano i soggetti e dove gravitavano. L'aspetto investigativo mancava totalmente tanto che fui io, come magistrato, a stabilire che alcune informazioni che esistevano presso gli organi di polizia venissero trasmesse anche ai carabinieri che ne erano totalmente privi". "Durante i cinquantacinque giorni non abbiamo mai avuto un contributo documentale, anche a livello informativo, da parte dei servizi di sicurezza." "I carabinieri avrebbero dovuto conoscere i nominativi (esempio Faranda e Morucci) dei soggetti gravitanti in una certa orbita, invece c'era una assenza totale, completa, di conoscenza di questi soggetti. Anche gli uomini che hanno agito successivamente e che agiscono oggi - mi riferisco al sequestro D'Urso e all'ultimo fatto di Prima Linea - non conoscono le persone che devono andare a cercare. Alla DIGOS di Roma vi è un solo funzionario che si intende di terrorismo, gli altri cambiano ogni 6 mesi. Il quadro della magistratura non è migliore. Manca completamente un reparto investigativo."
In effetti a quell'epoca gli apparati preposti alla sicurezza pubblica non conoscevano o conoscevano molto poco il terrorismo e le organizzazioni terroristiche, e non erano perciò in grado di valutarne i disegni e di prevenirne, al limite del possibile, le azioni delittuose. Mancava anche la necessaria organizzazione.
In effetti le organizzazioni terroristiche, i materiali a stampa, le risoluzioni strategiche e i comunicati che le BR in particolare, puntualmente e anticipatamente rispetto alle azioni terroristiche, erano andate via via pubblicando non avevano costituito sufficiente oggetto di analisi e di studio da parte dei responsabili della pubblica sicurezza.
Alla data del 16 marzo 1978 erano stati pubblicati vari numeri della rivista "Controinformazione" sui quali le tesi e i progetti eversivi delle BR e delle altre organizzazioni propugnanti la lotta armata trovarono larga ospitalità. Numerose anche le pubblicazioni di libri e riviste varie.
Sempre alla data del 16 marzo 1978 le BR avevano compiuto numerosi delitti ed attentati, di cui 7 a Roma.
Per le BR si trattava - come è apparso poi - di una vasta e ramificata organizzazione, certo di una organizzazione segreta, che agiva tra l'altro immergendosi nel vasto mare dei movimenti estremistici, dai quali tuttavia ha sempre tenuto a differenziarsi e distinguersi.
Una organizzazione che comunque a Roma ha creato una struttura tra le più capaci ed efficienti, come è dimostrato dal fatto che in quella città le BR hanno realizzato l'impresa delittuosa più importante e più spettacolare: la strage di via Fani, il sequestro durato cinquantacinque giorni, l'uccisione dell'onorevole Moro: quello che essi hanno definito l'attacco al cuore dello Stato.
Sorprendentemente, invece, nelle stesse carte delle forze di sicurezza, si trovavano indicati come semplici estremisti molti di coloro che successivamente si sarebbero rivelati come pericolosi brigatisti: Seghetti, Riccardi, Piccioni, Morucci, Faranda, Petrella, etc.
Esaminando la copia dei rapporti e delle denunce della polizia e dei carabinieri a carico degli appartenenti a gruppi eversivi che operano a Roma negli anni precedenti al 1978 si rimane sorpresi nel leggere i nomi di molti dei protagonisti delle vicende terroristiche. Questi rapporti erano il frutto di un complesso e faticoso lavoro che ha senza alcun dubbio impegnato decine e decine di persone appartenenti alle forze di polizia.
Ma le informazioni contenute in questi rapporti non sono state utilizzate successivamente. E' vero che essi potevano non contenere elementi sufficienti a provare i reati ipotizzati; ma è anche vero che l'attività dei soggetti individuati aveva richiamato l'attenzione degli organi preposti alla pubblica sicurezza, tanto da riferirne all'autorità giudiziaria. Purtroppo all'archiviazione o alla dichiarazione di non luogo a procedere da parte dell'autorità giudiziaria corrispose generalmente l'archiviazione dei fascicoli anche da parte della polizia e dei carabinieri. Le informazioni preziose raccolte nei fascicoli precedenti venivano così sommerse dai fascicoli successivi e finivano col non poter essere più utilizzate.
Il mancato trattamento automatico delle informazioni ha giocato un ruolo decisamente negativo nella lotta al terrorismo. La mancanza di uno strumento idoneo a fornire tempestive informazioni, correttamente classificate e immediatamente coordinate, è un'ulteriore prova dell'assenza di una politica della sicurezza, che ha caratterizzato i nostri apparati.
L'indagine dell'autorità giudiziaria per la strage di via Fani e il sequestro e l'uccisione dell'onorevole Moro ha potuto stabilire che l'organizzazione della colonna romana delle BR risaliva (vedi ordinanza di rinvio a giudizio Imposimato) a molti anni addietro: un primo tentativo venne compiuto addirittura nel 1971; ma è dal 1974-1975 che la colonna romana ha acquistato lineamenti organizzativi precisi con la venuta a Roma di Moretti prima e di Gallinari poi.
L'attenzione delle forze di polizia veniva invece attratta dalle manifestazioni e dall'attività di altri gruppi eversivi (Potere Operaio, Autonomia) operanti in quegli anni nella capitale: manifestazioni ed attività particolarmente intense specie negli anni 1976 e 1977, che vanno dalle assemblee tumultuose all'interno e all'esterno dell'Università di Roma, ai cosiddetti "sabati di fuoco" nelle vie della capitale, che impegnavano totalmente le forze di polizia. A queste manifestazioni partecipavano, ben mimetizzati, anche esponenti della colonna romana delle BR.
La sostanziale sottovalutazione del complesso fenomeno terroristico che emerge dalla sua mancata conoscenza - è significativa la confusione tra estremismo e terrorismo - ha avuto come effetto la mancata predisposizione di misure organizzativi e di strumenti idonei a fronteggiare con efficacia l'attività terroristica, specie quella più lucida e determinata delle BR, che agiva sotto la copertura della clandestinità.
Non si tratta, come appare evidente, di incapacità soggettiva dei funzionari, degli ufficiali e degli agenti delle forze dell'ordine, nei quali la Commissione ha potuto constatare, con l'eccezione di singoli casi, un elevato grado di professionalità congiunto ad un grande senso del dovere ed un marcato spirito di sacrificio. Si tratta del resto degli stessi uomini che hanno realizzato la distruzione dell'organizzazione dei NAP.
Quello che ha reso debole ed impari la risposta dello Stato all'attività delle BR, a giudizio della Commissione, è stata la mancanza di una strategia dell'antiterrorismo, e di una politica della sicurezza elaborata in relazione alle peculiarità dell'organizzazione eversiva, al carattere clandestino della medesima, ai moduli organizzativi segmentati e compartimentati, alla pericolosità dei singoli componenti, all'ambizione degli obiettivi dichiarati, al grado di accoglienza che in una parte della società, sia pure modesta, quei programmi avevano, ai collegamenti che essi erano riusciti a stabilire. Naturalmente per attuare una politica della sicurezza e una strategia antiterroristica occorreva predisporre strutture e servizi adeguati.
La Commissione non ha potuto avere risposte convincenti sul perché l'Ispettorato antiterrorismo, costituito sotto la direzione del questore Santillo il I giugno 1974, sia stato, nel pieno "boom" del terrorismo, disciolto, e perché non ne sia stata utilizzata l'esperienza organizzativa ed il personale addetto. L'Ispettorato - poi divenuto Servizio di Sicurezza (S. d. S.) - aveva agito, nel corso della sua breve vita, con una struttura agile e snella e soprattutto con una direzione unitaria alle dirette dipendenze del capo della Polizia: ad esso era affidato il coordinamento operativo dell'informazione e dell'intervento ai fini della sicurezza interna. L'Ispettorato si articolava al centro su quattro divisioni, una delle quali operativa che, forte di un numeroso gruppo di investigatori, specializzati in pedinamenti ed altre attività di polizia giudiziaria, offriva un valido apporto ai Nuclei Regionali spostandosi, con uomini e mezzi, laddove se ne appalesava l'esigenza.
Le altre tre divisioni, ognuna secondo i settori di specifica competenza (terrorismo di destra, di sinistra ed internazionale) svolge ano funzioni di coordinamento dell'attività informativa dei Nuclei Regionali e degli Uffici Politici della Questura.
L'Ispettorato antiterrorismo aveva cominciato a costruire una mappa dei movimenti eversivi e a raccogliere informazioni sui singoli presunti terroristi, in una visione unitaria del fenomeno, la sola capace di consentire un corretto apprezzamento e una lotta efficace. L'asserito contrasto formale con la legge istitutiva dei servizi di informazione e di sicurezza del 24 ottobre 1977, n. 801, ha dato origine allo scioglimento dell'ispettorato. Ma la contemporanea creazione dell'UCIGOS - Ufficio Centrale Investigazioni Generali e Operazioni Speciali - in seno alla Direzione generale di P.S., e delle DIGOS - Divisioni Investigazioni Generali e Operazioni Speciali - presso le Questure dei capoluoghi di regione e di analoghi uffici presso le altre Questure, incastonando i nuovi servizi nelle strutture esistenti ha fatto venire meno l'agilità e la flessibilità che l'ispettorato aveva assunto e la visione unitaria del fenomeno del terrorismo.
Gli stessi interrogativi la Commissione si è posta in ordine alle esperienze accumulate dal Nucleo antiterrorismo costituito nel maggio 1974 presso il Comando Carabinieri di Torino, che svolse un importante lavoro investigativo ai tempi del sequestro Sossi. La successiva generalizzazione dell'esperienza, con la costituzione di "Sezioni speciali anticrimine" presso tutti i comandi di gruppo (o di divisione) dell'Arma, non ha comportato risultati di rilievo (o almeno non sono noti) poiché l'attività delle Sezioni speciali ha finito con l'identificarsi con quella dei comandi territoriali, perdendo di vista la visione unitaria del fenomeno terroristico.
La carenza dei servizi informativi ha giocato un ruolo di rilievo nella mancata conoscenza del fenomeno terroristico e quindi nella predisposizione di misure idonee a fronteggiarlo. Così ad esempio la sera stessa del 16 marzo il SISMI acquisiva, attraverso un organo fiduciario, l'informazione secondo cui un tal Salvatore Senatore, detenuto a Matera fino al 16 febbraio, avrebbe nel corso della sua detenzione parlato di un possibile sequestro dell'onorevole Moro. La notizia fu passata al SISDE che la smistò immediatamente agli organi operativi, ma non ebbe ulteriori sviluppi. In realtà anche la Commissione ha avuto modo di accertarne l'infondatezza ascoltando direttamente Senatore.
Dello stesso valore il messaggio intercettato dal SISMI "il mandarino è marcio", trasmesso per telefono da un brigatista ad un parroco del Piemonte, il quale peraltro avrebbe informato subito i carabinieri: espresso in anagramma e non in codice, esso annunciava purtroppo che l'onorevole Moro sarebbe morto l'indomani, il testo vero essendo: "il cane morirà domani."
La Commissione sente di poter affermare che la punta più alta dell'attacco terroristico ha coinciso con la punta più bassa del funzionamento dei servizi informativi e di sicurezza.
Eppure i servizi di sicurezza avevano, agli inizi degli anni settanta, stabilito un contatto con le organizzazioni eversive e con le stesse BR per il tramite di Pisetta. Questi compilò, in data 29 settembre 1972, un memoriale nel quale indicava i nomi di importanti esponenti delle BR allora operanti, che sono stati protagonisti delle azioni terroristiche compiute negli anni successivi, come Moretti, e il modello organizzativo per colonne che le stesse BR avevano già fin da allora assunto.
Alla Commissione non è stato chiarito perché i servizi non abbiano dato seguito d'indagine alle indicazioni contenute nel memoriale, che lo sviluppo degli eventi ha confermato veritiere.
Le ambiguità, le reticenze o quanto meno la non limpida posizione in cui sono apparsi i servizi di informazione e di sicurezza in alcuni clamorosi episodi di terrorismo accompagnati da strage (1), hanno talvolta accreditato nella pubblica opinione la sensazione di una compromissione diretta degli apparati dello Stato nei fatti di terrorismo. In verità, già investiti dalla crisi di credibilità conseguente agli eventi del giugno-luglio 1964 oggetto di apposita Commissione parlamentare di inchiesta, istituita con legge 31 marzo 1969, n. 93 - gli apparati informativi e di sicurezza sono apparsi in pratica latenti per tutti gli anni in cui le organizzazioni eversive si sono sviluppate ed estese, mentre hanno dimostrato un insolito attivismo in relazione ad altre vicende su cui sono in corso indagini giudiziarie e parlamentari (v. vicenda MI-FO-BIALI).
Al momento della strage di via Fani e del sequestro dell'onorevole Moro, i servizi erano nella fase iniziale di riorganizzazione in conseguenza della legge 801 emanata nell'ottobre '77. Ma non può essere sottaciuto il fatto che i nomi dei capi dei servizi di informazione e di sicurezza - SISDE, SISMI e CESIS - siano stati trovati nell'elenco degli iscritti alla Loggia massonica P2.
La sottovalutazione del fenomeno terroristico non appartiene solo agli apparati preposti alla sicurezza pubblica. Identica sottovalutazione è dato riscontrare nelle decisioni via via assunte dalla magistratura romana rispetto alle ripetute denunce effettuate dalla polizia e dai carabinieri prima della strage di via Fani, magari per reati da taluni ritenuti "di opinione", ma tutte connotate da una matrice comune di evasione e riferite spesso alle medesime persone.
Il ruolo di garanzia assicurato dalla magistratura anche nelle circostanze considerate è fuori discussione, e la Commissione lo apprezza; e tuttavia non si può non rilevare che i responsabili della magistratura romana, proprio per la persistenza e continuità delle denunce avrebbero ben potuto trarne occasione per ordinare indagini più approfondite, magari sotto la direzione di un apposito nucleo di magistrati. Invece la occasionalità della trattazione dei rapporti di polizia da parte dell'uno o dell'altro magistrato, e il conseguente spezzettamento dello stesso fenomeno in tanti episodi criminosi trattati ognuno per proprio conto, hanno impedito, con ogni probabilità, di cogliere il filo che legava i vari episodi denunciati e di valutare conseguentemente il reale significato e peso degli stessi, come manifestazioni di un vasto disegno eversivo nascosto spesso sotto fattispecie di assai minore gravità.
Infine l'utilizzazione politica del terrorismo, cioè in funzione di lotta tra i partiti politici - come prima lo era stata l'utilizzazione dell'estremismo con la teoria degli opposti estremismi - conferma che anche tra le forze politiche ha tardato a farsi strada la reale comprensione del fenomeno terroristico. Solo la vicenda Moro ha fatto loro compiere un salto di qualità nella consapevolezza della pericolosità del fenomeno e finalmente tutte le forze politiche hanno riconosciuto il terrorismo come nemico del sistema e dell'ordinamento democratico e costituzionale del Paese.

(1) Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), strage di Peteano (31 maggio 1972), strage di Brescia (28 maggio 1974), attentato al treno Italicus (4 agosto 1974), strage alla stazione di Bologna (2 agosto 1980).
 
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