Lo sviluppo delle indagini

Documento aggiornato al 25/02/2004
Con una serie di operazioni di notevole rilievo compiute l'1 e il 2 ottobre 1978 dai carabinieri di Milano, furono scoperte le basi BR di via Montenevoso, di via Olivari e di via Pallanza. In tali occasioni furono arrestati Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Domenico Gioia ed altri sospetti brigatisti, e fermato Flavio Amico, titolare di una tipografia in via Bruschi, nella quale venne rinvenuto un residuo combusto di una carta di identità dello stesso tipo di quelle trovate nel covo di via Montenevoso. Nei confronti di Bonisoli e Azzolini - su cui già gravavano indizi di responsabilità fondati su riconoscimenti fotografici - il Consigliere Istruttore del Tribunale di Roma emetteva il 10 ottobre 1978 mandato di cattura per i reati relativi alla strage di via Fani ed al sequestro e all'omicidio di Aldo Moro.
Particolare rilevanza ha avuto la scoperta della base di via Montenevoso, ove furono rinvenuti, oltre al materiale consueto dei covi terroristici (armi, esplosivi, moduli per carte di identità in bianco, volantini rivendicanti attentati, ecc.) copie dattiloscritte di alcune lettere inedite e del così detto memoriale dell'onorevole Aldo Moro, nonché dell'interrogatorio subito dallo stesso durante la prigionia.
Ulteriori progressi nelle indagini si registravano nel corso del 1979. La prima operazione di rilievo compiuta fu l'arresto, effettuato il 17 marzo 1979 dalla Questura di Torino, del ricercato Vincenzo Acella e di Raffaele Fiore, sin allora ignoto capo della colonna torinese delle BR. Sulla base del materiale trovato in loro possesso, la DIGOS di Roma segnalava i due all'Ufficio istruzione quali corresponsabili dell'eccidio di via Fani e del sequestro Moro: l'indicazione, per quanto riguarda Fiore, ha poi trovato riscontro nelle dichiarazioni del brigatista pentito Patrizio Peci. Altra operazione di notevole importanza fu effettuata il 29 maggio 1979 dalla DIGOS e dalla squadra mobile della Questura di Roma, che in un appartamento di viale Giulio Cesare arrestavano Adriana Faranda e Valerio Morucci. Insieme ai due noti esponenti della colonna romana delle BR veniva arrestata anche la proprietaria dell'appartamento, la signora Giuliana Conforto, docente universitaria di fisica, che aveva fornito ospitalità ai due - secondo quanto la stessa ha dichiarato al magistrato - dietro richiesta degli esponenti di Autonomia Operaia Lanfranco Pace e Franco Piperno. La Conforto è stata assolta il 4 luglio 1979 per insufficienza di prove dal reato di concorso in detenzione di armi, e successivamente, nel settembre 1982, sempre per insufficienza di prove, dal reato di favoreggiamento.
Tra il materiale rinvenuto nell'appartamento particolare importanza ha la mitraglietta Skorpion, che i periti balistici hanno stabilito inequivocabilmente essere stata l'arma usata per uccidere l'onorevole Aldo Moro.
L'arresto di Morucci e Faranda, che pone tra l'altro in luce l'esistenza di una profonda spaccatura, all'interno dell'organizzazione terroristica, tra un'ala definitasi "movimentista", alla quale appartenevano appunto i due brigatisti arrestati, ed una frazione più rigida e militarista, rappresentata, tra gli altri, da Gallinari e Moretti, conferiva nuovo impulso allo sviluppo delle indagini.
L'acquisizione della prova della presentazione di Morucci e Faranda alla signora Conforto da parte di Pace e di Piperno indirizzava su di essi l'indagine giudiziaria, e finiva per coinvolgerli nelle stesse gravi imputazioni di concorso nei fatti di via Fani e nell'organizzazione ed attività terroristiche contestate agli altri brigatisti. Le stesse accuse venivano rivolte al professor Antonio Negri, arrestato il 7 aprile 1979, dopo che alcuni avevano ritenuto di riconoscere nella sua voce quella della persona che, il 30 aprile 1978, aveva telefonato alla signora Moro. Con ordinanza del giudice istruttore Cudillo del 23 aprile 1980 il professor Antonio Negri veniva scagionato dall'accusa mentre è ancora in corso il processo così detto "7 aprile" presso la Corte di Assise di Roma.
Sempre a Roma, il 24 settembre 1979, dopo un conflitto a fuoco, veniva arrestato, da parte di personale della Questura, Prospero Gallinari, che si trovava in compagnia di Mara Nanni, già nota come appartenente ad altra formazione terroristica e successivamente transitata nelle Brigate Rosse. Tra i documenti sequestrati a Gallinari c'era un piano particolareggiato per una incursione di brigatisti sull'isola dell'Asinara, allo scopo di provocare una evasione in massa dei detenuti politici.
Nel corso di una operazione avvenuta il 15 dicembre 1979 a Torino, concretatasi nella scoperta di due covi e di una base delle BR e nell'arresto di quattro persone, tra le quali Giuseppe Mattioli, i carabinieri trovavano una delle armi usate dal commando di via Fani. Si tratta della pistola mitragliatrice MAB che - secondo quanto si apprendeva successivamente da Peci - era stata usata nel corso della strage di via Fani da Mario Moretti.
Lo sviluppo delle indagini subiva un'ulteriore accelerazione a seguito dell'operazione compiuta dai carabinieri di Torino, il 19 febbraio 1980, che portò all'arresto dei brigatisti Patrizio Peci e Rocco Micaletto.
A seguito di un accorto condizionamento Peci forniva ampi ragguagli sulla struttura organizzativa e sull'attività delle BR, illustrava la preparazione e la dinamica dell'agguato di via Fani e dava notizie copiose sulla detenzione di Aldo Moro, sul comportamento dello statista, ed infine sul tragico epilogo della vicenda.
Peci, dichiaratosi peraltro del tutto estraneo all'eccidio di via Fani ed al sequestro e all'uccisione di Aldo Moro, vicende i cui particolari ha asserito di avere appreso da Fiore indicava come partecipanti alla strage del 16 marzo Raffaele Fiore, Lauro Azzolini, Franco Bonisoli, Adriana Faranda, Prospero Gallinari, Mario Moretti, che avrebbe diretto l'operazione, nonché altri due elementi da lui non conosciuti, aggiungendo però di non potere escludere la partecipazione di altre persone. Informava inoltre che il sequestro era stato preceduto, sei mesi prima, da una sorta di dibattito interno all'organizzazione terroristica, cui parteciparono tutte le colonne delle BR e che si concluse con la decisione di sequestrare Moro, adottata congiuntamente dai fronti di massa e logistico e dal comitato esecutivo. All'epoca facevano parte del fronte di massa Micaletto, Piancone, Bonisoli, Nicolotti, Gallinari, Faranda e forse Balzerani; mentre il comitato esecutivo era composto da Moretti, Micaletto, Azzolini e Bonisoli.
Peci riferiva altresì che il progetto iniziale delle BR era di eseguire contemporaneamente il sequestro di un uomo politico e quello di un industriale ad alto livello per costringere lo Stato a trattare; tale progetto sarebbe stato però ridimensionato, nel senso che il progetto di sequestro di un esponente del mondo industriale fu abbandonato a seguito dell'approvazione, avvenuta subito dopo i fatti di via Fani, della legge che impone ai proprietari l'obbligo di denunciare alla Questura i nominativi degli inquilini affittuari.
La preparazione vera e propria di via Fani, a detta di Peci, sarebbe durata tre mesi, ed avrebbe comportato, tra l'altro, esercitazioni di tiro effettuate sul litorale laziale e lo studio accurato delle abitudini della vittima. Morucci e Faranda avrebbero provveduto ad eseguire un sopralluogo del percorso prescelto.
Sempre Peci riferiva che la sera del 15 marzo erano state squarciate le ruote del motofurgone del fioraio di via Fani per evitare che questi fosse coinvolto nell'agguato; che poco prima delle ore 9 del 16 marzo alcuni elementi della SIP, legati alle BR, avevano attuato un intervento sui telefoni per interrompere alcune linee; che nell'azione erano state impiegate nove autovetture, tra cui uno o due autofurgoni; che uno dei terroristi era rimasto leggermente ferito nell'operazione; che l'onorevole Moro era stato fatto salire prima su un'auto e poi su un furgone, dove era stato rinchiuso in un baule; che le tre autovetture ritrovate in via Licinio Calvo, in giorni diversi, erano state lasciate in quella via contemporaneamente, e che pure nella zona erano state abbandonate altre due auto poi non ritrovate.
Gli interrogatori dell'onorevole Moro sarebbero stati condotti da Moretti, e ad essi Moro avrebbe risposto, con coraggio e dignità, in termini generali, rivendicando la funzione popolare della DC e senza rivelare nulla.
La telefonata del 30 aprile alla signora Moro veniva da Peci, sulla base dell'ascolto della registrazione, attribuita a Moretti.
L'esecuzione dell'onorevole Moro sarebbe stata decisa nel momento in cui fu compilato il comunicato n. 9. Se le BR lasciarono passare qualche giorno, lo fecero perché, pur non credendovi, speravano tuttavia in qualche novità di natura politica.
La decisione sarebbe stata presa dall'esecutivo, che nei giorni del sequestro avrebbe elaborato i comunicati e sarebbe rimasto riunito in permanenza, dopo aver interpellato le colonne. Qualche dissidenza dalla decisione sarebbe emersa in particolare nella colonna romana.
Peci forniva altresì notizie sulla dissidenza di Morucci e Faranda, rivelando che questi si erano addirittura posti fuori dell'organizzazione terroristica, dopo avere manifestato divergenze in ordine alla linea politica, quattro-cinque mesi prima del loro arresto. Secondo Peci, le BR si erano convinte a posteriori che i due avevano intrattenuto, anche durante i cinquantacinque giorni, rapporti con i "grandi capi" di Autonomia, Scalzone, Piperno e Pace, delle cui tesi Morucci e Faranda erano stati appunto i portavoce all'interno dell'organizzazione. Anche le notizie, indubbiamente provenienti da militanti, riportate negli articoli del giornalista Scialoja sull'Espresso dal 26 marzo al 23 aprile 1978, dovevano essere state, ad avviso belle BR, fornite a Scialoja da Morucci o da Faranda, probabilmente per il tramite di uno dei tre "grandi capi" dell'Autonomia. Lo stesso Morucci veniva indicato da Peci come probabile fonte del fumetto della rivista "Metropoli", nel quale è stata ricostruita la vicenda Moro in modo giudicato da Peci corrispondente a quanto era a sua conoscenza sull'argomento.
Nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione Peci ha confermato le circostanze rese note agli inquirenti, aggiungendo che la sorte dell'onorevole Moro sarebbe stata diversa se egli avesse inteso collaborare con i suoi rapitori.
I primi frutti concreti delle rivelazioni di Peci venivano colti con la scoperta della base di via Fracchia a Genova, avvenuta il 28 marzo 1980 ad opera dei carabinieri. In uno scontro a fuoco con i carabinieri che stavano per fare irruzione nel covo rimasero uccisi i brigatisti che si trovavano nell'appartamento: Riccardo Dura, Lorenzo Betassa Anna Maria Ludrnann e Pietro Panciarelli. Nel corso del conflitto riportò ferite anche uno dei militari.
L'episodio ha una qualche connessione con la strage di via Fani, in quanto il brigatista Riccardo Dura faceva parte, all'epoca del sequestro di Aldo Moro, del fronte di massa che partecipò - secondo quanto dichiarato da Peci - alla decisione di rapire il Presidente della DC.
Nella medesima giornata del 28 marzo 1980 un'altra operazione condotta dai carabinieri in località Occhieppo Inferiore di Vercelli portava al sequestro dell'arma usata da Fiore in via Fani.
L'immediato arresto, da parte della DIGOS di Napoli il 20 maggio 1980, dei responsabili dell'omicidio dell'assessore della Regione Campania Giuseppe Amato consentiva di assicurare alla giustizia anche il brigatista latitante Luca Nicolotti, incriminato dall'Ufficio istruzione del Tribunale di Roma per la strage di via Fani e per il sequestro e l'omicidio di Aldo Moro, in seguito alle dichiarazioni di Patrizio Peci.
Successivamente una serie di operazioni condotte dai carabinieri di Roma tra il 20 maggio e il 10 giugno 1980 conduceva alla scoperta di una base operativa in via Ugo Pesci e di un covo in via Silvani, nel quale ultimo veniva tra l'altro rinvenuta la pistola WPPK, che gli accertamenti balistici hanno stabilito essere stata usata, insieme con la Skorpion, nell'omicidio di Moro. Nel covo di via Silvani, che deve ritenersi la base logistica della colonna romana, venivano trovati altresì documenti di identità, timbri e contrassegni.
Nella medesima base veniva catturato il brigatista Francesco Piccioni, la cui posizione processuale in ordine alle vicende oggetto dell'inchiesta è stata definita nel processo cosiddetto Moro-bis.
Infine il 5 aprile 1981, la DIGOS di Milano catturava Mario Moretti, latitante da lunghi anni e più volte sfuggito all'arresto. Insieme con Moretti venivano tratti in arresto il professor Enrico Fenzi ed altri due militanti delle BR.
Va sottolineato che dodici componenti del "commando" che ha operato in via Fani sono stati individuati e tutti, con la sola eccezione di Barbara Balzerani, sono stati assicurati alla giustizia e già condannati dalla Corte d'Assise di Roma con sentenza pronunciata il 24 gennaio 1983.
 
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