Da News Italia Press del 31/10/2005
Graziano Mesina guida turistica
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Messina - Graziano Mesina il bandito, il re del Supramonte sardo, è sempre stato un uomo che ha saputo affascinare chi lo incontra, prima e dopo i suoi trent'anni di carcere. Un esempio per tutti. Indro Montanelli che, dopo essere stato con lui per qualche ora, ebbe a dichiarare: «Casomai dovesse darsi nuovamente alla latitanza, sappia che per lui la porta della mia casa è sempre aperta: troverà un letto e un piatto di minestra». Un anno fa, dopo la grazia e la libertà, il 62enne bandito disse di se stesso: «Ho fatto le ossa alla vita». Entrato così, per la prima volta, in una «vita qualunque», Mesina è ritornato ieri a far parlare di sé perché gli ambasciatori in Italia di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania e Marocco, dopo aver partecipato a Nuoro a un convegno organizzato dalla Camera di commercio Italo-Araba, hanno scelto proprio Grazianeddu come loro guida turistica.
E l'ex bandito li ha accompagnati in Supramonte, vicino alla foresta di San Giovanni, dove – dopo aver solamente guardato l'organizzazione di un pranzo pastorale con pane «carasau», formaggio e «porcetto» arrosto: siamo in Ramadan e gli ambasciatori non possono, di giorno, toccare cibo – i diplomatici hanno passeggiato ascoltando Mesina descrivere le bellezze naturali della zona. Una spiegazione intercalata con aneddoti e racconti della sua infanzia, delle sue fughe e delle latitanze.
Dopo una passeggiata ad Orgosolo dove hanno ammirato i "murales" che raccontano anche l'invio, negli anni Sessanta, dei "baschi blu" per combattere il banditismo, al momento del commiato Grazianeddu ha regalato agli ambasciatori un libro con il racconto della sua vita. «È stata proprio una bella giornata – ha commentato, scherzando – e mi sa che sul Supramonte ci dovrò tornare per cercare di perdere quel poco di chilogrammi che ho messo su negli ultimi tempi e che mi stanno creando problemi con le donne».
Qualcuno ha fatto notare agli ambasciatori islamici un capitolo di quella biografia in cui si sottolineavano le norme di quell'antico banditismo: «Regola numero uno: niente morti. Regola numero due: niente trucchi. Regola numero tre: rispetto per i perdenti». Non solo Montanelli era rimasto affascinato dall'uomo Mesina. Ovviamente, anche il sardo Francesco Cossiga che disse al giornalista Aldo Cazzullo: «Sa qual è la differenza tra i sardi e i continentali? Noi comprendiamo i continentali e i continentali non comprendono noi. Il banditismo sardo nasce contro una legislazione estranea, imposta da un potere esterno, la Spagna o i Savoia.
Vi rimando al testo di Antonio Pigliaru, grande filosofo della Sardegna profonda: il codice della vendetta barbaricina in cui si descrivono le norme di un'autotutela «barbara», ma comprensibile in una società in cui non vi era giustizia vera e le leggi erano imposte da Madrid o da Torino». Da ragazzo, Graziano Mesina era stato arrestato più volte perché trovato armato o perché aveva devastato la casa di uno che gli aveva ucciso il cane. Il salto verso il vero e proprio banditismo avvenne nel 1960 quando i suoi fratelli, benchè innocenti, furono accusati del sequestro e dell'uccisione del commerciante Pietrino Crasta.
Arrestato, riuscì rapidamente ad evadere e tornò a Orgosolo dove era stato assassinato un suo fratello: irruppe in un bar e tentò di vendicarsi ferendo a colpi di pistola un giovane del clan che aveva commesso quel primo omicidio. Atterrato con una bottigliata in testa fu arrestato e condannato a 16 anni. Fuggì di nuovo, incarnando in pieno la figura del bandito-ribelle specializzato in sequestri di persona, una figura giudicata tanto pericolosa da far sbarcare nell'isola mille uomini dei reparti speciali. A catturarlo, nel 1968, fu però una pattuglia della Stradale durante un normale controllo.
E l'ex bandito li ha accompagnati in Supramonte, vicino alla foresta di San Giovanni, dove – dopo aver solamente guardato l'organizzazione di un pranzo pastorale con pane «carasau», formaggio e «porcetto» arrosto: siamo in Ramadan e gli ambasciatori non possono, di giorno, toccare cibo – i diplomatici hanno passeggiato ascoltando Mesina descrivere le bellezze naturali della zona. Una spiegazione intercalata con aneddoti e racconti della sua infanzia, delle sue fughe e delle latitanze.
Dopo una passeggiata ad Orgosolo dove hanno ammirato i "murales" che raccontano anche l'invio, negli anni Sessanta, dei "baschi blu" per combattere il banditismo, al momento del commiato Grazianeddu ha regalato agli ambasciatori un libro con il racconto della sua vita. «È stata proprio una bella giornata – ha commentato, scherzando – e mi sa che sul Supramonte ci dovrò tornare per cercare di perdere quel poco di chilogrammi che ho messo su negli ultimi tempi e che mi stanno creando problemi con le donne».
Qualcuno ha fatto notare agli ambasciatori islamici un capitolo di quella biografia in cui si sottolineavano le norme di quell'antico banditismo: «Regola numero uno: niente morti. Regola numero due: niente trucchi. Regola numero tre: rispetto per i perdenti». Non solo Montanelli era rimasto affascinato dall'uomo Mesina. Ovviamente, anche il sardo Francesco Cossiga che disse al giornalista Aldo Cazzullo: «Sa qual è la differenza tra i sardi e i continentali? Noi comprendiamo i continentali e i continentali non comprendono noi. Il banditismo sardo nasce contro una legislazione estranea, imposta da un potere esterno, la Spagna o i Savoia.
Vi rimando al testo di Antonio Pigliaru, grande filosofo della Sardegna profonda: il codice della vendetta barbaricina in cui si descrivono le norme di un'autotutela «barbara», ma comprensibile in una società in cui non vi era giustizia vera e le leggi erano imposte da Madrid o da Torino». Da ragazzo, Graziano Mesina era stato arrestato più volte perché trovato armato o perché aveva devastato la casa di uno che gli aveva ucciso il cane. Il salto verso il vero e proprio banditismo avvenne nel 1960 quando i suoi fratelli, benchè innocenti, furono accusati del sequestro e dell'uccisione del commerciante Pietrino Crasta.
Arrestato, riuscì rapidamente ad evadere e tornò a Orgosolo dove era stato assassinato un suo fratello: irruppe in un bar e tentò di vendicarsi ferendo a colpi di pistola un giovane del clan che aveva commesso quel primo omicidio. Atterrato con una bottigliata in testa fu arrestato e condannato a 16 anni. Fuggì di nuovo, incarnando in pieno la figura del bandito-ribelle specializzato in sequestri di persona, una figura giudicata tanto pericolosa da far sbarcare nell'isola mille uomini dei reparti speciali. A catturarlo, nel 1968, fu però una pattuglia della Stradale durante un normale controllo.
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