Da Panorama del 01/12/2005

Imperdonabili (per ora) quegli anni

di Bianca Stancanelli

Chiudere i conti con i protagonisti del terrorismo? Sarebbero quasi tutti d'accordo. Ma rinviando il discorso al dopo elezioni
«In Italia i condannati per reati di terrorismo hanno scontato 50 mila anni di galera, 500 secoli di reclusione. Non è abbastanza?». A fare i conti è un ex terrorista, Sergio Segio. Tra i fondatori di Prima linea, è stato l'ultimo di quell'organizzazione a saldare i debiti con la giustizia: condanne per 22 anni, fine pena nel 2004. Oggi è ricercatore, dirige a Milano il gruppo Abele. Ha pubblicato un libro, Miccia corta. Contiene anche una stima di quel che fu il partito armato: «Ventimila inquisiti, 4.200 incarcerati con l'accusa di banda armata o associazione sovversiva, 600 condanne superiori ai 15 anni, centinaia di ergastoli». Oggi restano in una cella poco più di un centinaio di condannati, mentre 143 sono fuggiti all'estero.

Fino a sabato 26 novembre Adriano Sofri era uno di loro. Il più famoso, sicuramente. Il suo dramma, la malattia, ha riaperto di colpo il dibattito sulla grazia. Ma c'è chi pensa che un gesto di clemenza verso l'ex leader di Lotta continua non possa restare isolato. Prevede, a destra, Enzo Fragalà, deputato di An: «Se si smuove una pietra, cade il palazzo. Se si risolve il caso Sofri, possiamo ricominciare a pensare di poter chiudere un'epoca con una soluzione sudafricana: una commissione di verità che garantisca l'amnistia a chiunque racconti tutto quel che sa sugli anni del terrorismo». Rilancia, a sinistra, il verde Paolo Cento: «Sarebbe inaccettabile che si trovasse una soluzione solo per Sofri. Il Parlamento ha il dovere storico di ricostruire la verità sulla stagione della violenza, liberandola dal condizionamento giudiziario».

Per Cento, lo strumento migliore sarebbe un'amnistia e un indulto, in modo da aprire le porte del carcere ai reduci degli anni di piombo. Dai neri come l'ex terrorista del Fronte nazionale rivoluzionario Mario Tuti (in semilibertà) o la coppia Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati all'ergastolo per la strage di Bologna e oggi in libertà condizionata, ai rossi come il brigatista Mario Moretti, anche lui in semilibertà, o gli irriducibili del terrorismo degli anni Ottanta come Fabio Ravalli e Maria Cappello. Osserva Cento: «Non si può trovare una soluzione solo per gli amici».
In tanti dubitano che si riesca a trovarla. A cominciare dal presidente della commissione Giustizia della Camera, il forzista Gaetano Pecorella: «C'è una generazione dispersa per il mondo, ex giovani condannati per reati associativi ma che non si sono macchiati di omicidi. È un tema che bisognerebbe affrontare, senza insultarsi e senza scontrarsi. La rappacificazione è un segno di forza, non di debolezza, di una società. Ma è l'inizio di una legislatura, non la sua fine, il momento per discuterne».
Concorda Giuseppe Fanfani, responsabile giustizia della Margherita: «La situazione preelettorale è nemica degli atti di clemenza». Ma ci sono ben altri ostacoli a una soluzione politica per gli anni di piombo, sostiene Marco Boato, amico fraterno di Sofri e parlamentare verde: «Con le carceri che scoppiano, ipotizzare provvedimenti rivolti solo ai detenuti politici sarebbe esplosivo. Senza contare che parlarne oggi, comunque, è un segno di enorme cinismo politico perché una riforma della Costituzione, varata nel 1992, ha prescritto che amnistia e indulto siano approvati dal Parlamento con la maggioranza di due terzi dei componenti, rendendoli di fatto impossibili».
Boato ha presentato un progetto di riforma della riforma, ha raccolto le adesioni di uno schieramento trasversale. Hanno firmato tutti, tranne la Lega. Che resta contraria a tutto, compresa la grazia a Sofri. «Ha ottenuto la sospensione della pena: basta così» dichiara il leghista Guido Rossi, componente della commissione Giustizia della Camera. «Quanto alla soluzione politica per gli anni di piombo, è un tema che fa chic, ma non c'è una vera volontà politica di chiudere quella stagione. E al paese reale non interessa». Sarà per questo che il capogruppo di An alla Camera, Ignazio La Russa, ritiene che sia frutto di «fervida immaginazione» ogni ipotesi di rivisitare gli anni di piombo. Ricorda: «Anni fa, con Gianni Alemanno e Adolfo Urso, preparammo un disegno di legge: pensavamo che si dovesse eliminare almeno l'aggravante del terrorismo. Gianfranco Fini non lo contestò. Ma ci furono gli assassinii di Massimo D'Antona e poi di Marco Biagi, il riacutizzarsi del fenomeno brigatista e il discorso non andò più avanti».
Ammette la diessina Anna Finocchiaro: «Quei due delitti sono ferite straordinarie». Ma domanda: «Trent'anni dopo non possiamo provare a guardare a quella stagione per rileggerla, ragionando anche su questo sguaiato risorgere delle vecchie fiamme? Dopo il fascismo, la guerra, la resistenza arrivò un'amnistia. Ma oggi, una classe dirigente politica ostaggio delle sue paure non ha la capacità di fare i conti col passato, di ricominciare. E non si rende conto che chiudere una stagione non significa dimenticare né seppellire, ma piuttosto indicare responsabilità».

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