Da La Repubblica del 23/11/2006

spionaggio e veleni, Londra

Agenti e miliardari al capezzale Sasha avvelenato dal Cremlino

L' ansia della 'Mosca del Tamigi': il colonnello è un fantasma - Cecenia, Kgb, Mitrokhin: i misteri dietro l' avvelenamento di Litvinenko. I russi negano ogni coinvolminento - Sui marciapiedi davanti

di AA.VV.

LONDRA - Il primo ad arrivare è Alek Goldfarb, uomo d' affari russo emigrato in Gran Bretagna con la prima ondata dall' ex-Unione Sovietica. «Ho visto Aleksandr, non parla più, è cosciente ma le sue condizioni si sono chiaramente deteriorate», dice quando esce dall' University College Hospital. Più tardi fa una capatina Akhmed Zakayev, l' ex-comandante ceceno con passato di attore shakesperiano che ha ricevuto asilo politico grazie alle pressioni di Vanessa Redgrave: «Adesso i metodi che Putin usava contro i dissidenti in Cecenia e in Russia verranno usati anche contro i nemici di Putin all' estero», ammonisce all' uscita dell' ospedale. Boris Berezovskij, il miliardario che un tempo mediava con i ceceni per conto di Eltsin ed ora è ricercato da Mosca per corruzione, giunge verso sera, spalleggiato da robuste guardie del corpo. «Non ho dubbi», accusa dopo una visitina all' interno, «è stato il Cremlino ad avvelenare Aleksandr Litvinenko. Ma non so chi ha dato l' ordine e chi lo ha eseguito». Entrano ed escono dalla porta girevole di questo moderno ospedale a due passi da Regent' s Park, come in un carosello. Ecco un regista, Andrei Nekrassov: «Ho incontrato Aleksandr due mesi fa, era pieno di energie, ora è un fantasma». Ecco Marina Litvinenko, moglie dell' ex-colonnello del Kgb: pallida, a testa bassa, fugge senza dir niente ai giornalisti. Tra i quali, schierati come un picchetto d' onore davanti all' ingresso della clinica con telecamere, teleobiettivi e bloc notes, non mancano gli inviati dei media di Mosca. Quanti volti e accenti slavi, in questa folla raggruppata su un marciapiede di Londra: semplici curiosi; immancabili devushke, le fanciulle russe che hanno invaso la capitale e ora pensano di poter fare conoscenze anche qui; un paio di diplomatici dell' ambasciata russa, «è nel nostro interesse - dichiara uno - cooperare per trovare i veri responsabili di una brutta storia che vuole avvelenare i rapporti tra Londra e Mosca»; sicuramente qualcuna delle trenta spie dell' Fsb, il successore del Kgb sovietico, che secondo gli esperti si nascondono sotto falsi incarichi tra il personale dell' ambasciata russa. Ogni tanto un capannello si stacca, fa rotta verso un pub all' angolo, ne fuoriesce dieci minuti più tardi dopo un cicchetto. Viene in mente Cechov: la vodka è bianca, ma ti fa il naso rosso e la reputazione nera. Sono duecentomila i russi residenti a Londra: una piccola città nella città, ribattezzata dai giornali Moscow-on-the-Thames, Mosca sul Tamigi. Il più famoso è certamente Roman Abramovich, il petroliere proprietario del Chelsea Football Club. Altri custodiscono gelosamente l' anonimato - come il consigliere del Cremlino in cui una volta mi sono imbattuto, che col suo modesto stipendio ha acquistato un appartamento da un milione e mezzo di euro in uno dei quartieri chic della metropoli, per tenerci moglie e figlia. O come Andrej Lugovoy, altro ex-colonnello del Kgb, poi capo della sicurezza di Berezovskij a Londra, quindi direttore di un' agenzia di detective privati a Mosca: sento dire, nei capannelli davanti all' ospedale, che fu lui, insieme a un russo di nome Vladimir, a prendere il tè in un albergo della capitale britannica con Litvinenko, lo stesso giorno in cui quest' ultimo si è sentito male. Dopo il tè, quel giorno Litvinenko pranzò a Piccadilly da Itsu, uno dei tanti ristorantini di una catena giapponese, con il suo contatto italiano Mario Scaramella. «Di sicuro non è stato il mio pesce a farlo avvelenare», giura il proprietario di Itsu, quando vado a trovarlo, invitandomi a un assaggio: offerta che, con la scusa della fretta, declino. Di ritorno dal pub all' angolo, due russi dicono di avere appena bevuto un drink insieme a Oleg Gordievskij, il doppiogiochista del Kgb che passò alla Gran Bretagna nel 1985: amico, pure lui, di Litvinenko. Macchè Gordievskij, sbotta la corrispondente di una tivù di Mosca, avvertendo che piuttosto qui sta per arrivare Vladimir Bukovskij, il dissidente liberato sul muro di Berlino nel 1976 dopo un decennio nel Gulag sovietico: Litvinenko conosceva anche lui. Quante coincidenze, forse troppe: mi sembra di essere tornato a Mosca, agli anni dei misteri della perestrojka. L' ultima voce che ascolto, davanti all' University College Hospital, è la più romanzesca: l' ex-colonnello del Kgb sarebbe stato avvelenato per una videocassetta in cui Vladimir Putin viene ripreso in «atteggiamenti sessuali compromettenti». Una copia l' avrebbe Litvinenko, un' altra l' oligarca Abramovich, e il primo sarebbe stato colpito per spaventare il secondo, più difficile da raggiungere dai sicari. Scoop clamoroso? O vecchia frottola? Rabbrividisco: non so se per il freddo di quest' umida sera londinese o al pensiero che il killer, colui che ha somministrato il veleno a "Sasha" Litvinenko, potrebbe essere qui anche adesso, tra i russi che s' infilano nella porta girevole dell' ospedale, al capezzale della sua vittima.

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