Valerio Morucci

Militante politico − Italia

Valerio Morucci, nato a Roma nel 1949, entra nelle Brigate Rosse nel 1976. Famiglia di ex artigiani, falegnami, comunisti. Frequenta senza risultati il liceo linguistico ed il liceo artistico, poi il padre lo iscrive alla scuola alberghiera. Lavora come cameriere al cocktail lounge dell'aeroporto di Fiumicino, ma alla fine del 1967 si licenzia. Inizia a rifrequentare gruppi intorno al Liceo Mameli. Si appassiona ai temi del presessantotto: dalla psicanalisi alla linguistica. Legge Steinbeck, Dos Passos, Hemingway, Neruda, Garcia Lorca, Prevert. Ascolta Bob Dylan e Lucio Dalla. Nel '68 entra nel Movimento. Successivamente aderisce a Potere Operaio, dove diventa subito responsabile degli studenti medi. Dopo arrivano il coordinamento del Servizio d'ordine e le prime molotov. Nel febbraio del 1974 viene arrestato al valico di Chiasso per “tentata introduzione di armi e munizioni”, insieme a Libero Maesano. Tra il 1976 ed il 1977 è uno dei dirigenti delle F.A.C., Formazioni Armate Comuniste, che partecipano alla fondazione della colonna romana delle Br. Il 16 marzo 1978 partecipa alla strage di Via Fani. Il suo compito, come da lui stesso dichiarato nel corso del processo, fu quello di eliminare insieme ad un altro brigatista i due uomini che accompagnavano Moro, Oreste Leonardi e Domenico Ricci. In sede di processo Morucci minimizzò la leggenda della "potenza geometrica" delle Brigate Rosse, una famosa espressione di Franco Piperno, un leader della sinistra extraparlamentare. Per esempio proprio la sua arma nel momento dell'agguato si inceppò. Nei giorni del sequestro, insieme ad Adriana Faranda, svolge la funzione di postino delle lettere del presidente democristiano.

In questo periodo la Digos invia un rapporto alla magistratura nel quale segnala l'appartenenza di Morucci e Faranda alla colonna romana delle Br. L'8 maggio, secondo le dichiarazioni rese da Adriana Faranda alla magistratura il 23 ottobre 1994, si svolge in via Chiabrera una riunione della direzione della colonna romana delle Br. Morucci, Seghetti, Balzerani, Faranda e Moretti stabiliscono le modalità dell'uccisione di Moro ed il trasporto del cadavere. Per alcuni giorni, nei primi mesi del 1979, Morucci e Faranda sono ospitati in casa di Aurelio Candido, grafico de Il Messaggero e militante del Partito Radicale. Nel corso del processo Metropoli, qualche anno dopo, Candido dichiarerà di aver concesso loro ospitalità su richiesta di Lanfranco Pace, che tuttavia non lo informò sulla loro identità. Il 24 marzo 1979 Morucci e Faranda si installano in Viale Giulio Cesare 47, nell'abitazione di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto. I due vengono arrestati il 29 maggio. In casa viene ritrovata la mitraglietta Skorpion, usata per uccidere Moro.



Il 5 luglio 1979, Lotta continua, ripresa da L'Espresso, pubblica un documento dei dissenzienti delle Br, contenente dure critiche alla direzione delle stesse. I nomi non sono pubblicati ma gli autori sono identificati nei fuoriusciti dalla colonna romana, tra i quali Morucci e Faranda. Pochi giorni dopo, i brigatisti dell'Asinara replicano alle critiche con un documento. Il 27 ottobre 1980, nel supercarcere di Nuoro, esplode la rivolta dei detenuti che chiedono di essere trasferiti in continente. Nel corso della rivolta due di loro vengono uccisi, mentre rimane ferito Roberto Ognibene. Le trattative, guidate da Alberto Franceschini e Valerio Morucci, si concludono positivamente con l'accettazione delle condizioni poste dai detenuti. Il primo settembre del 1984 Morucci dichiara al giudice istruttore Ferdinando Imposimato: “Tutti i comunicati emessi dalle Br durante il sequestro Moro ci vennero dati dal responsabile del comitato esecutivo (Mario Moretti, ndr) inserito nella colonna. Il contenuto dei comunicati veniva espresso esclusivamente dal comitato esecutivo, nel cui ambito veniva discusso a Firenze, in un luogo messo a disposizione dal comitato rivoluzionario toscano. I comunicati dati a giornali, in qualunque città venissero diffusi dalle Brigate rosse, provenivano tutti dalla stessa macchina e dallo stesso ciclostile che erano a Firenze”. Nell'ottobre del 1984, in un'intervista a Il Corriere della Sera, Morucci e Faranda affermano che la “lotta armata” è fallita. Da Genova, il 5 novembre successivo, Moretti replica che “la verità di Morucci e Faranda è una delle tante versioni di comodo per i partiti e in generale per il sistema politico italiano”.



Il 18 gennaio del 1985, nel processo d'appello in corso a Roma per il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro, Morucci legge un documento di dissociazione dalla lotta armata firmato da 170 detenuti. Il 14 marzo successivo la Corte di assise riduce a ventidue le condanne all'ergastolo e diminuisce la pena a molti imputati: a Valerio Morucci e Adriana Faranda l'ergastolo precedentemente inflitto è commutato in trenta anni di reclusione. Il carcere a vita è invece confermato per Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Prospero Gallinari e Mario Moretti. Il 20 febbraio 1986 si conclude a Roma il processo a carico di 16 militanti delle FAC: Morucci è condannato a dieci anni di reclusione, Faranda a otto, Luigi Rosati a sei, Renato Arreni, Giancarlo Costa, Giancarlo Davoli, Bruno Seghetti, Germano Maccari a quattro, Antonio Savasta ad uno. Nel 1990 Morucci redige un memoriale. Il 13 marzo, il vicedirettore del quotidiano Il Popolo, Remigio Cavedon, recapita al presidente della Repubblica Francesco Cossiga il documento avuto da suor Teresilla Barillà. Il 26 aprile successivo, Francesco Cossiga, lo invia al ministro degli Interni. Il 7 giugno il memoriale giunge nelle mani del giudice competente per l'inchiesta sul caso Moro. Poche settimane dopo Rosario Priore deposita l'ordinanza di rinvio a giudizio relativa all'inchiesta cosiddetta Moro quater.
Il 30 settembre dello stesso anno Morucci e Faranda ottengono la semilibertà dopo aver scontato undici anni di carcere; il 10 ottobre iniziano a lavorare a Roma, presso l'Opera don Calabria, nel quartiere Primavalle. Il 17 novembre 1991 Morucci dichiara al settimanale L'Espresso: “Se nella prigione di Moro è entrata una quarta persona, cosa che a me non risulta affatto, non poteva che appartenere alla ristretta cerchia dei capi Br”. Due anni dopo, il 7 ottobre 1993, sia Faranda che Morucci confermano la presenza di un quarto uomo nel rifugio brigatista di via Montalcini. Qualche giorno più tardi, in un’intervista a Giampiero Mughini pubblicata dal settimanale Panorama, Morucci racconta che i brigatisti rossi presenti all'agguato di via Fani non erano sette ma nove, e fra questi c'era anche Rita Algranati. Il 15 marzo 1998, su Repubblica, appaiono le dichiarazioni di Bettino Craxi in merito agli incontri avuti nella primavera del 1978 con Pace, Signorile e Landolfi, da un lato, e Morucci e Faranda, dall'altro. In anni recenti Raimondo Etro, un altro brigatista, riferendo una confidenza fattagli da Alessio Casimirri, ex terrorista ora latitante, ha affermato che ad uccidere il 17 maggio del '72 il commissario milanese era stato un certo "Matteo" poi individuato come Valerio Morucci, coinvolto anche nel rapimento e nell'uccisione di Aldo Moro. Leonardo Marino e lo stesso Morucci avevano definito le dichiarazioni di Etro una "leggenda metropolitana".
E' autore di un precedente libro di racconti, A guerra finita, pubblicato da Manifestolibri nel 1994. E' sposato e ha un figlio.

 
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