Oreste Scalzone
Militante politico − Italia
Leader indiscusso di Potere Operaio prima e di Autonomia Operaia dopo, è uno degli intellettuali dell'estrema sinistra rifugiatisi in Francia durante gli "anni di piombo" per sfuggire alla galera. Oggi sessantenne (è nato a Terni nel '47 da mamma Eugenia e papà Giuseppe), Scalzone è stato tra i protagonisti del '68 romano e leader del movimento studentesco che si distinse per gli scontri di Valle Giulia.
Trasferitosi a Milano, partecipa all'organizzazione dei "Comitati comunisti", emanazione dell'allora Potere Operaio del quale era stato co-fondatore con Franco Piperno e Toni Negri: ma nel '72, dopo il congresso di Rosolina, Potere Operaio si scioglie e i Comitati comunisti - attivi soprattutto alla Pirelli e all'Alfa-Arese - diventano autonomi, mentre Scalzone contribuisce all'affermazione della nascente "Autonomia operaia".
Sono gli anni bui del terrorismo, degli attentati, della contiguità tra intellettuali e brigatisti, tra coloro che teorizzano la lotta armata e coloro che sparano. Per Scalzone il 7 aprile del '79, scattano le manette, nella sede della rivista Metropolis: il provvedimento (che colpisce anche Tony Negri e Emilio Vesce) viene emesso nell'ambito dell'inchiesta del giudice Calogero, nota come inchiesta "Sette aprile", in base alla quale l'ex vertice di "Potop" viene accusato di associazione sovversiva e banda armata.
In seguito Scalzone è anche imputato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, sempre nell'ambito dell'inchiesta del giudice Calogero secondo la quale Potere operaio era la culla di tutte le organizzazioni armate, "Brigate Rosse" comprese.
Scalzone finisce detenuto a Cuneo, poi a Palmi, quindi viene trasferito per le sue cattive condizioni di salute a Roma, dove - dopo un ricovero al "Gemelli" - ottiene la libertà provvisoria. Nell'81 lascia senza autorizzazione la casa dell'amico ingegnere che lo ospita in via Ripetta: è l'inizio di una latitanza che, dopo un anno in Danimarca, lo porta a Parigi.
Mentre nell'83 viene condannato in contumacia a 16 anni di carcere, poi ridotti a nove nell'87, Scalzone diventa a Parigi un vero e proprio punto di riferimento di quel centinaio di italiani, rifugiati degli "anni di piombo", per i quali la Francia non concede estradizione, fedele ad una tradizione inaugurata da François Mitterrand.
Nel '98, come rivelato da alcuni quotidiani, torna clandestinamente in Italia via Corsica e dopo una tappa nel Mugello torna sui luoghi simbolo della sua giovinezza a Roma: il servizio de L'Espresso è corredato delle foto scattate a ponte Sant'Angelo e davanti al'Altare della Patria.
"Il mio viaggio - spiega - (organizzato con il direttore del periodico Frigidaire, ndr) ha avuto un senso simbolico-provocatorio: da più di dieci anni si parla di amnistia per i detenuti e gli esuli politici ma non è mai successo niente".
L'amnistia resta al centro della sua battaglia: nel febbraio 2005 lancia un appello a Ingrao, Cossiga e Pannella: "Mi offro come capro espiatorio simbolico - dice - torno in Italia rinunciando alla prescrizione di nove anni di carcere per aprire un dibattito sull'amnistia", e un paio di mesi più tardi, a sostegno della stessa causa, inizia uno sciopero della fame destinato a durare tre settimane, interrotto dai medici.
Nell'agosto del 2006, fisarmonica in braccio, partecipa ad una manifestazione davanti all'ambasciata italiana in segno di solidarietà con Paolo Persichetti, ex militante dell'Unione dei comunisti combattenti, estradato quattro anni prima e detenuto a Viterbo. Oggi la notizia della prescrizione. E le prime, emozionate parole: "Certo che torno. Sarò un pendolare per condurre in Italia nuove battaglie di libertà".
Trasferitosi a Milano, partecipa all'organizzazione dei "Comitati comunisti", emanazione dell'allora Potere Operaio del quale era stato co-fondatore con Franco Piperno e Toni Negri: ma nel '72, dopo il congresso di Rosolina, Potere Operaio si scioglie e i Comitati comunisti - attivi soprattutto alla Pirelli e all'Alfa-Arese - diventano autonomi, mentre Scalzone contribuisce all'affermazione della nascente "Autonomia operaia".
Sono gli anni bui del terrorismo, degli attentati, della contiguità tra intellettuali e brigatisti, tra coloro che teorizzano la lotta armata e coloro che sparano. Per Scalzone il 7 aprile del '79, scattano le manette, nella sede della rivista Metropolis: il provvedimento (che colpisce anche Tony Negri e Emilio Vesce) viene emesso nell'ambito dell'inchiesta del giudice Calogero, nota come inchiesta "Sette aprile", in base alla quale l'ex vertice di "Potop" viene accusato di associazione sovversiva e banda armata.
In seguito Scalzone è anche imputato di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, sempre nell'ambito dell'inchiesta del giudice Calogero secondo la quale Potere operaio era la culla di tutte le organizzazioni armate, "Brigate Rosse" comprese.
Scalzone finisce detenuto a Cuneo, poi a Palmi, quindi viene trasferito per le sue cattive condizioni di salute a Roma, dove - dopo un ricovero al "Gemelli" - ottiene la libertà provvisoria. Nell'81 lascia senza autorizzazione la casa dell'amico ingegnere che lo ospita in via Ripetta: è l'inizio di una latitanza che, dopo un anno in Danimarca, lo porta a Parigi.
Mentre nell'83 viene condannato in contumacia a 16 anni di carcere, poi ridotti a nove nell'87, Scalzone diventa a Parigi un vero e proprio punto di riferimento di quel centinaio di italiani, rifugiati degli "anni di piombo", per i quali la Francia non concede estradizione, fedele ad una tradizione inaugurata da François Mitterrand.
Nel '98, come rivelato da alcuni quotidiani, torna clandestinamente in Italia via Corsica e dopo una tappa nel Mugello torna sui luoghi simbolo della sua giovinezza a Roma: il servizio de L'Espresso è corredato delle foto scattate a ponte Sant'Angelo e davanti al'Altare della Patria.
"Il mio viaggio - spiega - (organizzato con il direttore del periodico Frigidaire, ndr) ha avuto un senso simbolico-provocatorio: da più di dieci anni si parla di amnistia per i detenuti e gli esuli politici ma non è mai successo niente".
L'amnistia resta al centro della sua battaglia: nel febbraio 2005 lancia un appello a Ingrao, Cossiga e Pannella: "Mi offro come capro espiatorio simbolico - dice - torno in Italia rinunciando alla prescrizione di nove anni di carcere per aprire un dibattito sull'amnistia", e un paio di mesi più tardi, a sostegno della stessa causa, inizia uno sciopero della fame destinato a durare tre settimane, interrotto dai medici.
Nell'agosto del 2006, fisarmonica in braccio, partecipa ad una manifestazione davanti all'ambasciata italiana in segno di solidarietà con Paolo Persichetti, ex militante dell'Unione dei comunisti combattenti, estradato quattro anni prima e detenuto a Viterbo. Oggi la notizia della prescrizione. E le prime, emozionate parole: "Certo che torno. Sarò un pendolare per condurre in Italia nuove battaglie di libertà".
Annotazioni − Fonte: La Repubblica
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