Da Left - Avvenimenti del 13/10/2006

La memoria del Moby Prince

Troppe navi da guerra erano nella rada di Livorno quel giorno. Un documento Usa prova che le armi trasportate sparirono nel nulla. L’avvocato Carlo Palermo ha scoperto nuovi documenti sulla tragedia del 10 aprile 1991 in cui morirono 140 persone. E ora chiede di riaprire il caso.

di Paola Pentimella Testa

Centosettantuno pagine per cercare di riaprire il caso Moby Prince. Per conoscere quanto avvenne la sera del 10 aprile 1991 e per portare alla sbarra i responsabili della morte di 140 persone. È l’istanza presentata alla procura di Livorno dall’avvocato Carlo Palermo, su incarico di Angelo e Luchino Chessa, i figli del comandante del traghetto della Navarma che si schiantò contro la petroliera Agip Abruzzo, provocando la morte di coloro che si trovavano a bordo. Una relazione dettagliata, supportata da documenti già noti ma mai presi in considerazione, e da nuovi elementi venuti alla luce nei due anni di lavoro che sono serviti al legale Palermo per mettere a punto la richiesta di apertura del procedimento penale.

Allarme guerra del Golfo
Quella sera al porto di Livorno esisteva una situazione di preallarme militare. Una circostanza determinata dalla prima Guerra del Golfo e che prevedeva la copertura radio “h 24”, cioè la radio accesa 24 ore su 24 per le comunicazioni. L’operazione Desert Storm sarebbe stata dichiarata “chiusa” proprio la notte tra il 10 e l’11 aprile. Quindi, dal giorno dopo, le navi presenti nelle acque italiane sottoposte al diretto comando del governo statunitense sarebbero state messe a disposizione per altre operazioni militari. È stato accertato che in quei giorni si trovavano nel porto e nella rada di Livorno almeno sette navi, e non quattro, sottoposte al controllo Usa. Navi che dovevano effettuare il trasbordo di armamenti provenienti dal Golfo nella base militare di Camp Darby, collegata alla rada del porto tramite il canale dei Navicelli. Le operazioni avvenivano con l’ausilio di imbarcazioni più piccole, per transitare nel canale e passare sotto il ponte levatoio Calabrone. La sera del 10 aprile 1991, però, come testimoniato da ufficiali della guardia di finanza, avvennero operazioni di trasbordo di armamenti da una delle navi Usa «sull’altra nave», mai identificata. Quella notte, dunque, le armi trasportate dalle imbarcazioni presenti nel porto di Livorno sono scomparse nel nulla, ovvero non sono mai arrivate alla base di Camp Darby. Ebbene, questa ipotesi è avvalorata anche da alcuni straordinari documenti forniti dalle autorità statunitensi e recentemente recuperati. Come quello, datato 15 aprile 1991, in cui il comando militare Usa precisa che «la nave Efdim junior conteneva materiali di proprietà del governo degli Stati Uniti destinati alla base Usa/Nato di Camp Darby. Questi materiali sembrano essersi volatilizzati. Per quanto ci risulta».

Canale dei Navicelli
C’è un’altra circostanza, finora inedita, che evidenzia come le “movimentazioni” di armamenti che avvennero quella sera non seguirono le rotte da o per il canale dei Navicelli. Negli atti del pm Carlo Cardi, che condusse l’inchiesta prima del processo, c’è un documento, mai esaminato in dibattimento, né menzionato nelle sentenze di primo e di secondo grado, che prova che il 10 aprile, l’ultima apertura del ponte Calabrone avvenne alle 15.45. La prima della mattina dopo alle 9.10. Il tenente della guardia di finanza Cesare Gentile, che si trovava sulla motovedetta che per prima salpò e si diresse verso l’Agip Abruzzo - la petroliera contro cui si schiantò il Moby Prince - vide che a nord «c’era una barca che imbarcava le armi» e «all’altezza del Calabrone c’era la nave americana che stava caricando le munizioni». Tutto questo intorno alle 23.45.

Documenti scomparsi
Il giorno dopo, il tenente Gentile e gli altri colleghi che erano a bordo dell’imbarcazione fecero rapporto e inviarono tutto alla procura di Livorno. La nota degli ufficiali ritrovata dall’avvocato Palermo è però diversa da quella originale depositata e descritta dal tenente Gentile. A iniziare dalla data: 15 aprile e non 11 aprile. Ma, soprattutto, non contiene l’estratto giornaliero degli ufficiali e le tre relazioni delle motonavi impiegate nelle operazioni di soccorso, che pure furono inviate. Ovvero sono scomparse le uniche prove dell’avvenuta “movimentazione” di armamenti.

Elicottero in volo
Più testimoni videro quella sera volare sul porto di Livorno un elicottero militare, fra le 22.35 e le 22.45. Nessun elicottero di soccorso presente nelle basi militari più prossime a Livorno - anche se in servizio di allarme permanente - avrebbe potuto decollare e raggiungere la rada della città toscana in quella fascia d’orario, ovvero fra i 9 e i 14 minuti successivi all’allarme via radio per l’avvenuta collisione. I tempi necessari per ricevere la richiesta di intervento; allertare i piloti e il personale tecnico preposto ai controlli; avviare e completare le necessarie procedure di controllo e di avviamento; raggiungere il porto di Livorno; individuare il bersaglio in volo notturno rendono impraticabile tale ipotesi. La ricostruzione più probabile, come suppone l’avvocato Palermo nella sua relazione, è che l’elicottero abbia raggiunto la rada prima della collisione. Che provenisse da una portaerei americana d’appoggio all’operazione militare?

Esplosivo a bordo
La maggior parte dei 140 corpi del traghetto è stata ritrovata in un unico locale, nel salone Delux. Le vittime avevano bagagli e giubbotti, come se fossero pronte a sbarcare. Il marconista, con il compito di lanciare il may day, non si trovava al suo posto, ma sul ponte di comando, come se fosse stato chiamato dal comandante perché, una qualche circostanza, aveva messo in allarme il traghetto prima che si schiantasse contro la petroliera dell’Agip. Un evento eccezionale, ma non fatale, che stava costringendo il comandante a ritornare in porto? Tutte ipotesi, ovviamente. Quel che è certo, invece, è che a bordo del Moby Prince, come risulta dalla relazione di Alessandro Massari, chimico della Criminalpol, nel locale motore dell’elica di prua c’erano tracce di esplosivo: nitrato di ammonio; etilenglicoledinitrato nitroglicerina; Dnt dinitrotoluene; Tnt 2,4,6 trinitrotoluene; pentrite; T4 1,3,5; trimetilene 2,4,6 esaciclotrinitrammina. I primi cinque sono tipici di composizioni esplosive a uso “civile”, mentre gli ultimi due sono presenti soprattutto in esplosivi militari e in plastici da demolizione. Resta accertato che le sostanze identificate, con la sola eccezione del nitrato di ammonio, sono tutti esplosivi ad alto potenziale sia singolarmente che in miscela.

Foto satellitari
Il 13 luglio scorso l’avvocato Carlo Palermo ha trovato al tribunale di Livorno uno scatolone sigillato e perfettamente integro trasmesso alla Procura il 27 maggio 1995 dal Nucleo anticrimine dei carabinieri di Livorno. Nel ’95 il processo di primo grado doveva ancora celebrarsi. All’interno dello scatolone, bobine originali riguardanti le immagini satellitari Telespazio acquisite dalle stazioni di rilevamento di Maspalomas (Spagna) e di Oberpfaffenhofen (Germania) dal Satellite NOOAA nei cinque passaggi su Livorno:
9 aprile 1991 ore 13.17
10 aprile 1991 ore 01,35
10 aprile 1991 ore 6.37
10 aprile 1991 ore 13.06
11 aprile 1991 ore 12.54.
In una successiva relazione esplicativa, del marzo 1996, si spiega che «nulla appare visibile con l’ingrandimento di zoom 4X». Tali rilievi fotografici sono i primi a comparire nell’inchiesta e non sono stati mai periziati. Come spiega l’avvocato Palermo: «è quasi superfluo ricordare che oggi sono ben possibili ingrandimenti superiori a quelli eseguiti a quell’epoca». Quindi esiste la fotografia della situazione dei luoghi e delle direzioni (i punti di fonda) di tutte le navi in rada alle ore 13.06 del giorno 10 aprile: gran parte dei quesiti rimasti irrisolti per quindici anni potrebbero, almeno in parte, dissiparsi. Almeno quelli connessi alla posizione di tutte le navi presenti nella rada del porto di Livorno.

Dov’era l’Agip Abruzzo?
Scatoloni mai aperti e fascicoli svaniti nel nulla, come quello relativo al punto di fonda della petroliera Agip Abruzzo. Fra gli incartamenti prodotti durante l’inchiesta della capitaneria di porto, messi a disposizione dell’autorità giudiziaria, vi era un documento di dodici pagine (Allegato 1), denominato “Questionario M/C Agip Abruzzo”. L’allegato comprendeva numerose domande, rivolte al comandante della petroliera, Renato Superina, circa l’esatta posizione alla fonda della nave cisterna la sera del 10 aprile 1991. È bene ricordare che, al di là delle ipotesi e dei rilievi postumi, il comandante di una nave è l’unica persona in grado di fornire quelle risposte. Il questionario era parte integrante del “Volume primo” dell’inchiesta, da pagina 23 a pagina 34. Qualcuno, però, ha sottratto dal fascicolo processuale l’Allegato 1. A dirlo saranno proprio i giudici nella sentenza della corte d’Appello, il 5 febbraio 1999: «Nel Volume 1 dell’inchiesta sommaria mancano le carte da 23 a 34, cioè l’Allegato 1, che secondo l’indice conteneva il Questionario M/C Agip Abruzzo». E ancora: «In questo processo vi sono aspetti meno chiari, alcuni di minore importanza altri di maggior rilievo (…), ad esempio, la distruzione di un registro dell’Agip Abruzzo e la mancanza di una parte della relazione conclusiva dell’inchiesta sommaria, quella concernente il questionario dell’Agip Abruzzo».

Il superstite
C’è un solo sopravvissuto alla tragedia. Il mozzo del Moby Prince Alessio Bertrand, un giovane napoletano al suo primo imbarco per la Navarma, che riesce a salvarsi rimanendo aggrappato per un’ora e mezza al corrimano di poppa, in attesa di quei soccorsi che arriveranno con molto ritardo. Quando è ormai allo stremo delle forze e sta per mollare la presa, arrivano due ormeggiatori a bordo di una barca di sette metri e lo traggono in salvo. La mattina dopo, agli Spedali riuniti di Livorno riceve la visita di due ufficiali di polizia giudiziaria inviati dal magistrato. Secondo i verbali di quel giorno, il mozzo riferisce quanto ha visto e sentito quella sera e nel racconto non c’è traccia di nebbia, come invece sosterrà la capitaneria di porto per spiegare la collisione fra le due imbarcazioni.
Dopo questa prima versione dei fatti, il 26 aprile 1991 Bertrand viene convocato dalla capitaneria di porto di Livorno e dichiara invece: «Quando ero nel corridoio delle cabine passeggeri, mi sono imbattuto anche nel timoniere, anche lui era in preda al panico: gli ho chiesto che cosa era successo e mi ha risposto che c’era nebbia e che avevamo urtato un’altra nave». L’unico sopravvissuto del Moby Prince accredita quindi la versione della capitaneria di porto di Livorno. Questa tesi consentirà al Tribunale e alla corte d’Appello di accreditare la causa della collisione alla nebbia, abbandonando le altre piste. Tra i documenti rinvenuti tre mesi fa dall’avvocato Palermo al Tribunale di Livorno, c’è un accertamento sul teste Bertrand eseguito dai carabinieri di Livorno del Nucleo anticrimine. Si tratta di verifiche eseguite sul suo tenore di vita e sulla sua condotta. Perché? Nel documento si legge che la sorella, Rita Bertrand, ha riferito ai militari dell’Arma di essere a conoscenza che «ad Alessio fu erogata la somma pari a circa 200milioni di lire a titolo di risarcimento, e che percepiva una pensione pari a circa due milioni».

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Documenti


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Una lettera del Presidente dell'Associazione dei familiari delle vittime "140"

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Il testo integrale dell'istanza presentata l'11/10/2006 dall'avvocato Carlo Palermo, difensore di parte civile del figlio dell'ammiraglio Chessa, il pilota del traghetto deceduto nella tragedia.
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